Il rappresentante speciale dell’Unione Europea per la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Prishtina, Miroslav Lajčák, ha confermato, lo scorso 10 Dicembre, nella ricorrenza particolarmente simbolica della Giornata Internazionale dei Diritti Umani, la ripresa del dialogo tra Serbia e Kosovo sui temi delle questioni finanziarie e delle proprietà, nell’ambito del processo negoziale, sempre più lento e problematico in questa fase, con la mediazione e la facilitazione dell’Unione Europea.

Anche quest’ultimo round, tuttavia, si è concluso senza significativi passi avanti: «Abbiamo proseguito il confronto sulle questioni finanziarie e relative alle proprietà; il dialogo riprenderà nel 2021». In conseguenza del fatto che le posizioni di Belgrado e Prishtina su tali questioni sono, allo stato, diametralmente opposte, la delegazione serba ha proposto l’introduzione di una «cornice di principio» da seguire nei colloqui, vale a dire un approccio metodologico al fine di aprire spazio per il dialogo, in assenza di una qualsivoglia convergenza effettiva sui diversi temi che sono alla base delle rispettive posizioni. Ciò si spiega anche in ragione del fatto che si tratta di temi delicati, dal momento che le questioni finanziarie e, soprattutto, sulla proprietà sono al centro delle rivendicazioni contrapposte e alludono allo status del Kosovo, uno status ancora irrisolto e controverso nelle sedi internazionali.

Inoltre, tali questioni impattano su un altro tema, fondamentale e delicato, quale l’istituzione della Comunità dei Comuni serbi del Kosovo, concordata da entrambe le parti nel 2013, confermata nel 2015, tuttavia mai attuata. Lo scorso settembre, Miroslav Lajčák ha dovuto annullare una riunione delle squadre negoziali della Serbia e del Kosovo a causa della pandemia di coronavirus: all’ordine del giorno di quella riunione c’erano anche le questioni inerenti agli accordi per le comunità non maggioritarie (le comunità non albanesi, tra le quali quella più rilevante resta la comunità serba del Kosovo, dove, su una popolazione totale di 1.9 milioni di persone e una maggioranza albanese pari al 90% della popolazione, il 5% è costituito dai Serbi del Kosovo, il 3% da Slavi Musulmani, tra cui i Bosgnacchi e i Gorani, circa l’1% da Rom e il restante circa 1% da Turchi). Tra le questioni, anche l’istituzione della Comunità dei Comuni serbi del Kosovo (in serbo, Zajednica Srpskih Opština, ZSO).

Una clausola che prevede l’integrazione dei Comuni a maggioranza serba del Kosovo settentrionale e del Kosovo interno nell’ordinamento kosovaro, con una propria autonomia su una ampia serie di materie, è inclusa nell’Accordo di Bruxelles dell’aprile 2013 sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo; ma la clausola non ha ancora trovato, come si diceva, alcuna implementazione, da parte delle autorità kosovare. L’accordo per l’istituzione della Comunità dei Comuni serbi riguarda e include i comuni a maggioranza serba di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Leposavić, Zvečan, Štrpce, Klokot, Gračanica, Novo Brdo, Ranilug e Parteš. L’area totale di questi comuni è di circa 1.700 km quadrati, circa il 15% della superficie totale della regione. Tra questi ci sono sei comuni con più di 10.000 abitanti, come K. Mitrovica (29.460), Leposavić (18.600), Zvečan (16.650), Zubin Potok (15.200), Štrpce (13.630) e Gračanica (10.675). La Comunità dei Comuni serbi dovrà essere dotata, in base agli Accordi, di ampia autonomia nelle aree dello sviluppo economico, dell’istruzione, della sanità, della pianificazione urbana e rurale. Inoltre, dovrà essere istituita come un organismo istituzionale nel quadro kosovaro ed in base agli Accordi del 2013 e del 2015, e quindi dotata di un proprio Presidente e Vicepresidente, di una propria Assemblea e di un proprio Consiglio.

L’Accordo, tra le altre cose, prevede che il sistema giudiziario sia integrato all’interno del quadro giudiziario kosovaro, riservando ai serbi del Kosovo la maggioranza di alcune corti, con una corte (il Tribunale Distrettuale di Mitrovica) basata a K. Mitrovica; analogamente, tutte le attività di polizia saranno integrate nel quadro della polizia del Kosovo, ma il comandante regionale per le aree a maggioranza serba dovrà essere un comandante serbo del Kosovo, scelto sulla base di un panel fornito dai Comuni serbi; infine, come accennato, le questioni relative allo sviluppo locale territoriale e alle funzioni fondamentali del welfare definiranno il perimetro dell’autonomia di queste municipalità.

Un Accordo salutato, all’epoca, con favore da diversi osservatori, uno dei pochi risultati di successo e l’unico di ampia portata nella strada, lastricata di turbolenze e di diffidenze, del dialogo tra le due capitali, ed in grado, seppure con un margine di approssimazione, di assicurare l’autonomia delle comunità dei Serbi del Kosovo pur preservando il quadro unitario dell’autogoverno kosovaro. E però, messo in crisi, sostanzialmente, proprio dalle autorità kosovare. Dopo che la Corte Costituzionale del Kosovo ha rilevato che 22 punti dell’Accordo non sono in linea con la Costituzione del Kosovo, nel dicembre 2015 le autorità kosovare albanesi hanno preso la decisione di non intraprendere l’iter di implementazione. Come ha dichiarato il premier Avdullah Hoti: «L’Associazione [termine usato dalle autorità kosovare per la Comunità dei Comuni serbi] è un tema concluso nel 2013. Siamo uno Stato indipendente, abbiamo principi chiari, in base ai quali siamo pronti al dialogo».

Il punto, tuttavia, è che il Kosovo non è uno Stato “a tutti gli effetti” o, come talvolta si dice, pleno iure; non è riconosciuto come Stato indipendente e sovrano dalla “comunità internazionale” in quanto tale e non è titolare di un seggio in Assemblea Generale. L’UE stessa non lo riconosce ufficialmente, non essendo il Kosovo riconosciuto da Spagna, Romania, Grecia, Cipro, Slovacchia, come ha fatto nuovamente emergere, ultimo in ordine di tempo, l’esito del sorteggio dei gironi di qualificazione per i Mondiali di Calcio 2022 in Qatar, dove il Kosovo è finito in un gruppo insieme a Svezia, Spagna, Grecia e Georgia; dove Spagna, Grecia e Georgia non riconoscono il Kosovo e dove rischia di aprirsi un ennesimo caso diplomatico, che ha già sollevato un dibattito tra gli analisti e gli osservatori.

Intanto, lo scorso 16 dicembre si è tenuta un’ampia consultazione, cui hanno, significativamente, partecipato anche il direttore dell’Ufficio del Governo serbo per il Kosovo e Metohija, Petar Petković, la Ministra dell’Energia, Zorana Mihajlović, il direttore generale della Elektroprivreda Srbije (EPS, la società statale dell’energia elettrica) Milorad Grčić e la direttrice della Elektromreža Srbije (EMS, la società statale della distribuzione di energia) Jelena Matejić, ampia consultazione tra il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e i rappresentanti politici ed istituzionali dei Serbi del Kosovo, con l’obiettivo di definire le attività congiunte volte a preservare gli interessi serbi nella regione. È appena il caso di ricordare che nel Nord del Kosovo, nel territorio delle municipalità serbe, trovano posto un importante bacino di energia idroelettrica (Gazivoda, a Brnjak, nella municipalità di Zubin Potok) e la parte fondamentale del complesso minerario di Trepča (nella municipalità di Leposavić).

L’Unione Europea ha già sostenuto che il Kosovo dovrà istituire la Comunità dei Comuni Serbi in base ai due accordi firmati a Bruxelles nel 2013 e nel 2015, tenendo in considerazione il riscontro della propria Corte Costituzionale in ordine ai profili sollevati. È il caso di osservare che gli Accordi sono stati ratificati da entrambi i parlamenti: l’Assemblea Kosovara nella forma di un accordo inter-nazionale, il Parlamento della Serbia non nella forma di un accordo inter-nazionale (non essendo il Kosovo riconosciuto dalle Nazioni Unite e considerandolo la Serbia una propria provincia, in base ai noti principi di sovranità statale e integrità territoriale richiamati anche nelle risoluzioni delle Nazioni Unite), bensì approvando una «Risoluzione – sull’attuale processo di dialogo politico e tecnico con le Istituzioni Provvisorie di Autogoverno di Prishtina con la mediazione dell’Unione Europea, ivi compreso il processo di implementazione degli accordi raggiunti – presentata dal Governo».

A proposito invece delle risoluzioni, cui si è fatto cenno, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, vale la pena almeno ricordare la Risoluzione 1244 (10 giugno 1999) e, tra quelle del periodo del conflitto serbo-albanese, la Risoluzione 1160 (31 marzo 1998). «Spetta al Kosovo proporre come andare avanti, con l’attuazione degli accordi del 2013 e del 2015, tenendo conto del parere della Corte Costituzionale», ha dichiarato il portavoce dell’UE Peter Stano. Difficile immaginare che la situazione, anche vista la delicata congiuntura politica odierna (Hashim Thaçi è detenuto nel carcere del Tribunale Speciale dell’Aja con l’accusa di crimini di guerra), possa sbloccarsi a breve; difficile anche, tuttavia, immaginare che una soluzione incapace di soddisfare bisogni, diritti ed aspirazioni legittime di tutte le parti coinvolte possa mai riuscire a portare pace, giustizia e convivenza nella regione.