Inizio novembre 2020, riesco finalmente ad avere un appuntamento con Gherardo Colombo per intervistarlo. Capisco subito che non vi è stata alcuna supponenza nell’avermi fatto aspettare qualche settimana, ma che è veramente strapreso. Lo colgo subito dal suo essere lì in collegamento con me, ma allo stesso tempo sta rispondendo a qualcuno sul computer. Ha un’ora, non c’è molto tempo. Io parto dalle origini, lui mi ferma subito e mi dice: “Senta, facciamo prima, io le lascio un mio libro dove descrivo bene quello che lei mi chiede…” Ottimo, a fine intervista questa frase me l’avrà ripetuta più volte e il giorno dopo sono nella sua portineria a ritirare ben sette libri scritti da lui.

In questo mese e mezzo li ho letti quasi integralmente. A questo punto le domande si sono moltiplicate. Facciamo così: scrivo un primo pezzo, ma sono sicuro che ci sarà un seguito.

Gherardo Colombo nasce in una famiglia agiata, con proprietà terrene in un piccolo paese fuori Milano, nel quale passa molto tempo da bimbo e poi ragazzo. A scuola non è uno dei primi della classe, anzi! E’ un giovane inquieto, che deve arrivare al liceo per rendersi conto di come è importante studiare sodo per vivere consapevolmente. Ed è al liceo che decide che farà il giudice. E così avviene. Insomma, la sensazione, a leggere le sue pagine, è quella di un “crescendo” passo a passo, lento, graduale, costante. Fino a che si ritrova tra le mani vicende enormi. E saranno anni in cui si troverà su un vascello, a navigare tra le tempeste e i nubifragi della corruzione, del terrorismo e della mafia, a tirare e mollare le vele, per cercare di rendere vera la frase che compare nei tribunali, ossia che la legge è uguale per tutti.

La sensazione, ora che Gherardo Colombo vuole contribuire a mettere una nave in mare (www.RESQ.it) per salvare chi affoga, è ancora più forte. Le vedi quasi, le burrasche di allora, nelle quali ha tenuto il timone finché la nave non gli è stata più volte sottratta, sequestrata e portata nel placido porto di Roma… Bloccata perché non potesse più navigare.

E ogni volta eccolo su un’altra nave. Le sue navi principali si sono chiamate IRI, P2, Mani Pulite, più altre, di dimensioni diverse (come a battaglia navale…) che si sono incrociate alle maggiori. Ha conosciuto la fama, ma ha anche masticato la polvere. Ha fatto molto, ha lavorato tantissimo, ha sperato, ci ha creduto. A un certo punto ha detto: “Basta, signori, me ne vado. Ho capito che non è il mare giusto… Grazie. Esco da quello dei palazzi di giustizia, entro in quello, forse ancora più difficile e complesso, delle aule scolastiche.”

E’ tornato lì dove aveva lasciato qualcosa in sospeso, è tornato a scuola. Basta calpestare corridoi di tribunali, basta faldoni, armadi chiusi a chiave, incontri in corridoio con l’obiettivo di non essere ascoltati. Basta giornalisti, basta televisioni, basta urla della folla “Di Pietro, Colombo, andate fino in fondo! Colombo, Di Pietro, non si torna indietro!”. Un po’ di silenzio. Bisogno di riflettere, capire.

Ha detto: “Riavvolgiamo la pellicola e vediamo dove è iniziato il guasto…” Ha risentito l’odore dei corridoi delle scuole, quel profumo un po’ acido che viene dalla mensa, quei finestroni alti con le tende bianche e verdi delle vecchie scuole elementari di Milano. Quei corridoi che altrimenti si osservano solo quando si va a votare… Ha voluto ritrovare le scuole piene, non vuote. Non quelle con militari e scrutatori, ma quelle coi bimbi. E poi i ragazzi, medie (complicati) superiori (un po’ meglio).

E incontrandoli non riusciva a stare seduto al suo posto, doveva alzarsi e immergersi tra loro, come per sentire i loro odori, sentirli vicini. Un po’ di insegnanti se li sarebbe mangiati. Ma la pazienza l’aveva già imparata, ritrovava quella dei contadini che aveva osservato da ragazzo.

Forse aveva qualcosa da farsi perdonare, questo lo sa solo lui o forse nemmeno lui. Aveva mandato tanta gente in galera e ora aveva scoperto, come fulminato sulla via di Damasco (ma per quanto tempo era stato preparato quel fulmine), che il carcere non solo non era efficace, ma non serviva a nulla.

Penelope tesseva di giorno e disfaceva di notte; lui ha tessuto per 33 anni e da 13 anni disfa. Vuole farlo per altri 20 anni, sente che il tempo passa veloce e allora corre. Risponde a tutti e tutte, non riesce a dire di no, deve recuperare. Anzi no: Gherardo Colombo ha cercato di disfare “le trame” per 30 anni, ora da 13 anni sta tessendo altro, una nuova stoffa. E lo farà fino alla fine.

E quest’anno ha trovato la sintesi: sarà nella ciurma di terra di una nave concreta, che presto salperà. Come quelle donne formidabili che dicono: “L’ultimo posto che lascerò sarà la cucina… lì mi troverete fino all’ultimo!”, lui sarà ancora con la nave. Magari non a bordo, curerà le retrovie, preparerà i pasti. Mai con supponenza, ma con l’umiltà che non si addice ai personaggi con la sua storia.

Così qualche giorno fa gli ho proposto di fare insieme un incontro online con Carmelo Musumeci, ex ergastolano, che da anni si batte contro l’ergastolo ostativo, scrivendo spesso su Pressenza. Figuriamoci, Colombo è contro l’ergastolo tout court. Ci sta, lo faremo a gennaio o a febbraio, non appena troverà il tempo. Vi faremo sapere quando; venite, collegatevi, sarà interessante.

Una volta in piazza gridavano “Pagherete caro, pagherete tutto!!” Quella sera parlerà chi ha pagato e chi ha fatto pagare. Ora entrambi sono convinti che pagare non serva a nulla, anzi, che forse vada abolito direttamente il denaro…