Né della lotta tra Petro e Uribe, in cui Uribe ha quasi accusato Petro di indossare le Crocs; né del triste 19 giugno, quando il governo ha vanificato lo sforzo di rinchiuderci per tre mesi offrendo un giorno senza IVA: questa volta non intendo scrivere niente di tutto ciò. Ho intenzione di scrivere di tre donne che non saranno con le loro famiglie questa domenica: due sono morte e un’altra è morta senza esser morta, perché il suo corpo non è stato ritrovato, e i suoi figli e la madre piangono la sua assenza con una speranza dolorosa, che sembra un’altra forma di punizione.

Il corpo di Concepción Corredor è stato lasciato su una strada di Casanare, colpito da un proiettile. Mai più i suoi figli, suo marito o suo fratello o un militante, come lei, del Partito dei Verdi, la vedranno: lo sforzo del suo lavoro di presidente del Consiglio d’Azione Comunale del villaggio di La Pradera è raffigurato ora in quel cadavere anonimo, cosparso di polvere della strada. La notte prima di essere uccisa, due tizi l’hanno trascinata via da casa sua, nel panico della sua famiglia. Se avete figli, sovrapponete il loro volto sul volto dei figli di Concepción Corredor e mettete il vostro volto su quello di Concepción Corredor: immaginate che vi portino via a strattoni, urlando, senza che nessuno sappia cosa sta succedendo; che vi carichino a forza su una moto il cui motore si perde nella notte. E che la cosa successiva che i vostri figli sanno di voi è che il vostro corpo viene trovato fra i cespugli di una strada polverosa. E che non vi vedranno mai più.

Karina Garcia amava i cani, aveva un figlio di tre anni e il giorno in cui venne uccisa morì per la seconda volta, essendo già stata uccisa dentro: il suo assassinio avvenne due volte. Un mese prima di morire dentro a un furgoncino in fiamme, si era diplomata come specialista in appalti pubblici e lottava per diventare il primo sindaco di Suárez, nel dipartimento di Cauca. La sua aspirazione aveva scatenato una ventata incessante di notizie false che non riuscivano a farla desistere: in opuscoli e messaggi si diceva che avrebbe riempito la città di paramilitari, che avrebbe preso la terra dai contadini per assegnarla alle multinazionali. Chiedeva clemenza. In rete gira un video in cui lei grida per difendere la sua reputazione. Aveva previsto che la calunnia l’avrebbe uccisa. E così è stato: l’hanno uccisa con la madre e cinque membri del suo partito e un agente di scorta dell’Unità di protezione nazionale, sorpresi dalla pioggia di spari sulla strada. Un altro membro della scorta è riuscito a fuggire: c’è un video in cui racconta di questo miracolo. Karina García, 31 anni. Aveva un neo sul palmo della mano sinistra. Ha lasciato un figlio che ora ha quattro anni, una cagna di nome Serenata. E un diploma.

Michel Forst, relatore delle Nazioni Unite, ha affermato che la Colombia è uno dei paesi più a rischio del mondo in tema di difesa dei diritti umani. Le cifre da sole non mostrano la tragedia umana dietro ogni caso. Ecco perché un gruppo di giornalisti ha voluto raccontare la storia di alcuni di loro.

Ho già raccontato di due donne assassinate, ma ora voglio parlare di Deyanira Guerrero. Il 2 maggio 2018, mentre James Rodriguez segnava un gol per il Bayern, Deyanira Guerrero salutava la madre e andava a lavorare al ristorante La Pesebrera, a La Hormiga, Putumayo, per guadagnare pesos extra da sommare a quelli che otteneva vendendo birra, granite e soda in un negozio.

Sua madre iniziò a chiamarla dalle cinque del pomeriggio, perché non si era fatta più sentire. La chiamò senza ricevere risposta, ma continuò comunque a chiamarla ripetutamente. Non seppe più nulla di lei.

Deyanira ha 38 anni o, meglio, ne avrebbe dovuti avere o ne dovrebbe avere: nessuno sa come parlare della presenza invisibile che è diventata. Jonier, suo figlio quattordicenne, dice che, per non essere triste, immagina che lei stia lavorando nel negozio, come sempre, e che nel pomeriggio verrà ad aiutarlo con i compiti, come ha sempre fatto; Yesid Santiago, l’altro suo figlio (dieci anni) parla poco. Entrambi devono immaginare cosa è successo e gestire l’insidiosa illusione che un giorno la loro madre torni a varcare quella porta.

Il nome di Deyanira Guerrero era apparso in un minaccioso volantino cinque mesi prima per il suo degno lavoro nell’Alleanza delle Tessitrici. Le piaceva il pesce stufato; le piaceva il vallenato (genere musicale colombiano N.d.T.); il giorno che se ne andò indossava una tuta di jeans. Deyanira è ora questo tipo di spettro che a nessuno è permesso di piangere veramente. Questa morte senza certezze impedisce di piangerla con un grido pieno di sfogo, senza freni né sensi di colpa.

Questa volta volevo scrivere di queste tre donne: dei loro due corpi senza vita distesi in mezzo alla strada; dell’altro introvabile corpo etereo. Mentre siamo tutti ugualmente divorati dallo stesso oblio, questa domenica voglio pensare a loro e ai loro figli e a questo paese di miseria che ha poco dolore per i suoi morti e a questo inutile mestiere, che non ha niente di meglio da offrire a Concepción, Karina e Deyanira che un triste ricordo che svanisce con il giorno.

di Daniel Samper Ospina

Editorialista e youtuber. Niente e nessuno ferma la sua capacità di mescolarsi con maestria, senso dell’umorismo, serietà critica, coraggio e denuncia. Giornalista e co-fondatore di #LosDanieles, un portale giornalistico di grande impatto e lettura in Colombia.

Traduzione dallo spagnolo di Flavia Negozio. Revisione: Silvia Nocera.

 

Questo articolo fa parte di una serie di articoli scritti da giornalisti colombiani in memoria dei leader sociali assassinati nel loro paese. Leggi quelli già pubblicati su Pressenza, a questo link.

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