Vladdo si meraviglia perché in Colombia protestiamo contro l’assassinio di George Floyd, e di fronte alla violenza giornaliera che c’è qui non ci preoccupiamo nemmeno di metterci la faccia. Perché? Può darsi che ci siamo anestetizzati e abbiamo perso la capacità di empatia di fronte a livelli così elevati di violenza e a tassi così elevati di impunità. Ma la politologa Arlene Tickner, nel suo editoriale di mercoledì, indica una ragione più valida. Dice che, sebbene “la maggior parte dei bianchi o meticci” si consideri antirazzista, “molti di noi praticano una sorta di negazione” che ci fa ignorare ciò che accade alle persone di origine africana e ai popoli indigeni. Ottimo approccio. Unendomi a diversi editorialisti, raccolgo le storie di vita di tre leader assassinati, per dargli un volto e tirarli fuori dalle semplici statistiche o dalle scarne notizie propinate dai media.

Il maestro: Aulio Isarama Forastero era un giovane dai tratti indigeni e uno sguardo amichevole che ha dedicato la sua vita all’insegnamento nelle comunità Embera di Alto Baudó, Chocó. Le sue caratteristiche da leader erano così palesi che finì per diventare governatore. Il 24 ottobre 2017 il fronte Cimarrón del Eln (Esercito di liberazione nazionale NdT) ha tenuto un incontro a Docasino, obbligatorio per tutta la popolazione, in cui Aulio ha protestato contro la presenza dei guerriglieri nel rifugio e per il reclutamento di giovani indigeni. I suoi amici gli raccomandarono di fuggire, ma lui sostenne che avrebbe dovuto continuare a servire come governatore e insegnante. Il 26, quattro uomini gli dissero di seguirlo con il pretesto di dialogare e lo uccisero. Aulio è stato colpito due volte alla schiena nudo, mentre veniva portato fuori di casa senza maglietta. Così, completamente indifeso, hanno privato, in modo vile, la comunità di un leader coraggioso, solo per essersi ribellato alla violenza.

Il ricorrente: nelle fotografie Porfirio Jaramillo Bogallo non sembra avere 70 anni. Era un contadino forte, con un’espressione determinata. Con la forza del suo amore per la sua fattoria denominata “No hay como Dios”, situata a Guacamayas, Turbo, da cui era stato sfollato dai paramilitari della casa di Castaño, è tornato a vivere lì dieci anni dopo, nel 2015. Per ben due volte è stato mandato via a causa delle minacce attribuite alle milizie paramilitari. Sebbene chiedesse protezione, lo Stato non gliel’ha mai data. Ritornò il 24 dicembre 2016, deciso a non farsi espellere. Si è dedicato ai suoi animali e a incoraggiare altri diseredati a riprendersi la loro terra. Il 29 gennaio 17, quattro uomini con i machete alla cintura sono arrivati a casa sua dicendo di essere funzionari dell’UNP** e che volevano salvarlo da un possibile omicidio. Il giorno dopo il suo corpo è stato trovato con ferite da taglio.

L’attivista: di Liliana Patricia Cataño sappiamo solo che era una donna di 39 anni che viveva nel quartiere El Socorro, nel comune di Medellín 13, che ha guidato la distribuzione e il ricordo per la restituzione dei terreni nella sua zona, e che ha sostenuto i vicini colpiti da un incendio che ha distrutto le loro case. Liliana, secondo i rapporti della polizia, è stata uccisa da un tizio chiamato Pocho, un membro della struttura criminale “La Agonía”, molto probabilmente perché aveva avanzato delle lamentele su bande che gestivano la vendita di terreni che non appartenevano a loro.

Ricordiamoci: secondo l’Indepaz, fino al 17 maggio sono già stati uccisi 100 leader.

Di Piedad Bonnett*

 

Traduzione dallo spagnolo di Francesca Grassia. Revisione: Silvia Nocera

* Poeta, scrittrice e drammaturga; filosofa e professoressa universitario La voce della Colombia nei festival letterari di tutto il mondo. Colonnista di El Espectador

**L’Unità di Protezione Nazionale o UNP è un’entità di protezione e di scorta presso il Ministero dell’Interno della Colombia.

Questo articolo fa parte di una serie di articoli scritti da giornalisti colombiani in memoria dei leader sociali assassinati nel loro paese. Leggi quelli già pubblicati su Pressenza, a questo link.