Personalmente ho delle grosse riserve circa questa revisione critica della normalità pre-COVID. Certamente lo slogan “la normalità era il problema che ha alimentato il virus”, è circolato molto nella fase acuta della pandemia, quando la morte bussava alle nostre porte. Ovvero la paura della morte fisica ha aperto qualche squarcio ideale in coscienze da troppo tempo omologate e perfettamente normatizzate. Però, come ho avuto modo di scrivere in quei giorni, tutto ciò che nasce dalla paura non è mai di buon auspicio. Normalmente produce la morte radicale, quella esistenziale.

Infatti gran parte della gestione della pandemia è stata e tuttora è affidata a procedure, protocolli, norme e sanzioni. La grande maggioranza della popolazione, quella cosiddetta normale, ovvero quella che poi sarà decisiva in sede elettorale, gestisce la sua paura della morte fisica affidandosi a questo apparato, tipico dello “Stato d’eccezione”, per dirla con il filosofo Giorgio Agamben.

Da questo quadro, sbrigativamente riassunto, mi chiedo: passata la paura della morte fisica, fino a che punto queste masse, perfettamente normatizzate, saranno in grado di mettere in discussione la norma-lità, che ci ha portato a questa catastrofe? Certamente esistono delle minoranze consapevoli e determinate nel voler vivere in una società altra, radicalmente diversa da questo neoliberismo plutocratico. A livello di coscienza diffusa nelle masse mi pare, però, che si vagheggi un cambiamento etereo, che deve essere a carico, o dipendere da “altri”, dagli altri. Per esempio non so quanti siano coscienti e disposti a contrapporsi all’ennesima campagna ideologica volta a far riaccendere l’economia, via aumento dei consumi.

Allo stato attuale dei rapporti di forza tra i grandi gruppi economico-finanziari e le esigenze reali delle classi popolari, non credo serva molto elaborare a tavolino sistemi socio-politici alternativi, attorno ai quali aggregare il consenso popolare. Purtroppo, sia per i fallimenti del passato, sia per le ridottissime attitudini a pensare da parte delle masse, penso che questa prospettiva finirebbe per aggregare i “soliti noti”.

Invece, seguendo un po’ lo stile di Piketty, metterei a fuoco quei 3-4 snodi fondamentali, sui quali avviare delle campagne a livello mondiale, ben sapendo che la loro messa in discussione potrebbe creare a medio termine condizioni per pensare modelli socio-economici alternativi. L’auspicio è che, nella misura in cui prendessero piede tali campagne, si formino partiti, o aggregazioni politiche, disposti a tradurle in leggi e programmi di governo.

Come ipotesi di lavoro io suggerirei:

1) Giustizia fiscale: lotta ai paradisi fiscali, trasparenza finanziaria per un sistema di tassazione progressivo e redistributivo. Revisione delle Borse valori in Borse per lo scambio di beni materiali ed economici.

2) Limite legale alla proprietà privata, sia personale, che delle persone giuridiche (banche, corporation, imprese…)

3) Primato del lavoro umano. Campagna per il pieno impiego universale; lavorare tutti, per lavorare meno. Salari minimi universali. L’uomo/donna che lavora è costretto a pensare in qualche modo. Se mangia senza lavorare diventa un ebete, perde i contatti con la realtà, diventa facile massa di manovra per populisti e dittatori.

4) Economia (solo) circolare. Conversione a un’economia green e dal minor impatto ambientale, attraverso un sistema di tasse ecologiche, per finanziare gli incentivi alle soluzioni virtuose.

La vera sfida è trasformare il vago ed etereo desiderio di cambiamento in progetti politici ed economici concreti, sui quali far convergere le nostre scelte quotidiane. Solo quando ampli strati della popolazione saranno disposti ad assecondare tali scelte, allora i cambiamenti diventeranno realtà.

A tale riguardo, tenendo conto della mia missione di prete, ciò che posso fare per favorire questi cambiamenti riguarda soprattutto l’ambito della sensibilizzazione e della formazione delle coscienze. Attualmente, viste le condizioni di esilio in cui mi trovo, ciò può avvenire solo attraverso la predicazione, qualche riflessione legata alla Dottrina Sociale della Chiesa e la Lettura popolare della Bibbia. Al di là di ciò, posso partecipare alle campagne legate a queste tematiche e collaborare nella loro divulgazione.

Sono don Marco Bassani, sacerdote della Diocesi di Milano. Ho 57 anni. Dopo aver lavorato in fabbrica ed aver frequentato le Magistrali, sono entrato in Seminario. Per i primi undici anni di ministero ho lavorato nelle parrocchie di Olgiate Olona e di S. Antonio Maria Zaccaria a Milano.

Nel 2002 sono partito per il Brasile come missionario “fidei donum”. Ho lavorato nello Stato del Maranhão nella Diocesi di Grajaú. Oltre al lavoro parrocchiale, ho rivestito vari incarichi a livello diocesano, tra i quali quello di Coordinatore diocesano della pastorale, responsabile delle Pastorali Sociali e delle CEBs (Comunità Ecclesiali di base).

Nel 2017, a seguito di una congiura ordita da alcuni preti d’accordo con il nuovo vescovo, mi è stato impedito di rientrare in quella Diocesi. Mentre sto cercando di ottenere qualche forma di giustizia, o di chiarimento ecclesiale, risiedo a Corenno Plinio e lavoro nella Comunità Pastorale di Dervio-Valvarrone, dove mi occupo soprattutto della Caritas e della Pastorale dei migranti.