Da un mese dopo il rapimento, per mano di una banda di criminali comuni, non ci furono più notizie sulla sorte della cooperante italiana, salvo che fosse in vita. Chi è Silvia. Il ruolo dei servizi segreti.

Silvia è libera. Una notizia bellissima e inattesa – dopo quasi 18 mesi – la liberazione della giovane cooperante rapita il 20 novembre del 2018 a Chakama, un villaggio a 80 chilometri da Malindi in Kenya. Silvia è stata sequestrata da un banda di 8 criminali comuni, che poi l’hanno venduta ai terroristi somali di Al Shabaab e portata in Somalia, dove è stata liberata. Tre dei sequestratori – Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraihm Adam Omar – sono stati arrestati e sono tutt’ora sotto processo, anche se le udienze sono state interrotte a causa dell’epidemia di coronavirus che sta colpendo anche il Kenya. Uno dei tre, Adam Omar, in libertà su cauzione e considerato l’uomo più pericoloso dei tre, è latitante, ha fatto perdere le sue tracce. Da allora, dal giorno dell’arresto dei tre uomini, e cioè il 26 dicembre 2018, non si è saputo più nulla. Si è saputo solo che il giorno di Natale Silvia Romano era in vita.

La lunga strada verso la Somalia

Sulla vicenda si sono fatte solo ipotesi. Studiate le possibili vie di fuga, i rifugi, le complicità in un sequestro che da subito appariva anomalo, da quando si è capito che a rapirla erano stati dei criminali comuni. In poche ore è caduta la pista del terrorismo somalo, che tuttavia rimaneva sullo sfondo, come se fosse ciò che bisognava scongiurare. Per arrivare alla Somalia la strada è lunga. Occorre percorrere territori aspri, pericolosi, la famigerata foresta di Boni dove, questo è noto, si nascondono criminali, banditi di ogni tipo, ma anche terroristi. Da lì il passo verso la Somalia è breve.

La seconda ipotesi, che piano piano si faceva largo, è che il rapimento fosse avvenuto su commissione, i mandanti sarebbero stati proprio i terroristi di al Shabaab. Ipotesi, supposizioni non hanno fatto altro che alimentare congetture improponibili, come quelle che il suo rapimento fosse legato a un traffico di avorio, oppure che la giovane italiana dovesse sparire perché sapeva troppo, o meglio avesse denunciato un sacerdote di pedofilia. Tutte congetture che non hanno avuto nessun riscontro reale.

Il lavoro degli inquirenti

La collaborazione tra inquirenti italiani e keniani c’è sempre stata, anche se ha avuto momenti difficili, ma si è rafforzata dopo la rogatoria del pm di Roma Sergio Colaiocco. Uno scambio di documenti, ma non solo, che ha portato i carabinieri dei Ros a rafforzare la convinzione che Silvia Romano si trovasse in Somalia. In base alle analisi dei documenti messi a disposizione delle autorità keniane, gli inquirenti sono arrivati alla conclusione che la giovane italiana si trovasse in un’area del paese, la Somalia, dove gravitano milizie locali legate al gruppo terroristico di matrice islamica, gli al Shabaab, appunto.

I magistrati, all’epoca, hanno valutato l’ipotesi di una rogatoria internazionale alle autorità somale. Il 30 settembre del 2019 fonti di intelligence italiane hanno detto all’Agi che Silvia Romano era “viva” e si stava “lavorando per riportarla a casa”. Poi il 18 novembre dello stesso anno la conferma che la cooperante si trovava in Somalia.

Intorno alla metà di febbraio di quest’anno, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia di inaugurazione di “Padova capitale del volontariato”, ha espresso “l’apprensione per le sorti di Silvia Romano, la giovane rapita in Kenya mentre svolgeva la sua opera generosa di solidarietà e di pace”. Poi non si è saputo più nulla, mentre in Somalia si intensificavano i raid aerei proprio sulle basi degli al Shabaab. Oggi l’annuncio della liberazione. Forse la più bella delle notizie di quest’anno.

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