Una stupenda intervista a Grazia Le Mura, da venti anni in Burkina con i bambini burkinabè.

“In Burkina Faso le decisioni politiche volte ad arginare la diffusione del coronavirus sono state tempestive: chiusura delle scuole, stop alle attivita’ che prevedevano assembramenti di persone, ma i problemi sociali derivanti da questa situazione sono tanti…E non dimentichiamo poi che nemmeno la pandemia ha fermato gli attacchi terroristici e le stragi” spiega Grazia Le Mura che vive in Burkina Faso da oltre venti anni ed è responsabile per il Burkina dell‘associazione Tante mani per… uno sviluppo solidale www.tantemaniper.org che si occupa di progetti di promozione umana e di sviluppo solidale e sostenibile.

Qual è la situazione dal punto di vista della salute, proprio intorno a te?
Vivo a Sokourani, un piccolo e poverissimo villaggio a circa 40 km dalla grande città di Bobo Dioulasso. A Bobo abbiamo il Centro “I Danse”, un Centro di prima accoglienza (che svolge anche un programma di accompagnamento nutrizionale per bambini denutriti e malnutriti e ha la mensa per gli allievi della scuola primaria che altrimenti resterebbero senza pranzo) e La Maison des Poussins, un centro per bambini da 3 a 5 anni – sempre con il pranzo, beninteso.
A Sokourani l’associazione gestisce una fattoria (Dugunkolo ye Yamamaya ye – La terra è vita) al cui interno si trovano Casa Sara, una casa-famiglia per bambini orfani, a rischio, in difficoltà, e La Maison des Poussins, un altro Centro per l’infanzia per bambini dai 3 ai 5 anni.
Qualche giorno fa è stato accertato il primo caso di coronavirus nel nostro villaggio. Un commerciante molto conosciuto che girava tanto nel villaggio. Dopo il prelievo, gli è stato raccomandato di non uscire da casa ma lui è stato tutto il giorno in giro per il mercato. La sera il risultato e il trasferimento all’ospedale di Bobo. Da noi, al momento va tutto bene. Viviamo con 14 bambini. Al mattino le due ragazzine più grandi fanno studiare tutti gli altri più piccoli. Nel pomeriggio, se necessario, riprendono lo studio, altrimenti di occupano delle cose comuni: cura degli animali, innaffiare le piante, pulire il cortile… E giocano.
Dall’inizio dell’emergenza al 18 aprile sono stati registrati 576 casi: 352 uomini 224 donne.
Il 18 aprile sono stati effettuati 87 tamponi. Il 18 aprile sono state dichiarate 17 nuove guarigioni e così il totale arriva a 338 guarigioni dall’inizio della pandemia in Burkina.
In totale sono stati registrati 36 decessi. Attualmente ci sono 202 casi in trattamento.
In questi ultimi giorni l’informazione è meno concentrata sulla statistica dei casi, delle guarigioni e dei decessi e offre ampio spazio alle informazioni sugli stanziamenti che lo stato sta mettendo in atto.

Bambini del Burkina con mascherine autoprodotte

Bambini del Burkina con mascherine autoprodotte

 

Sulla base delle misure governative, quali attività possono continuare?
Gli spostamenti sono limitati e controllati. Gli uffici sono chiusi in gran parte. I grandi mercati, organizzati con le varie postazioni, sono stati chiusi (da marzo a giugno i commercianti non dovranno pagare l’affitto per la loro postazione). La gente comunque mette il suo banchetto davanti alla porta per il suo piccolo commercio. I mercati dei villaggi, quelli che si fanno a rotazione ogni 5 giorni, sono stati sospesi. Da noi il 9 aprile è c’è stato l’ultimo mercato ufficiale, poca gente che vendeva. Dal 9 aprile comunque il mercato di riferimento per Sokourani, a Peni, ha avuto luogo nonostante il divieto, in modo ufficioso; c’era pochissima merce, quasi esclusivamente prodotti alimentari prodotti in zona – si direbbe a km 0 da contadini di Peni. Sokourani non ha nulla, solo la moschea, con annessa scuola coranica, e la chiesa protestante. Niente mercato, niente scuole (e due pozzi: uno all’interno degli spazi della moschea e l’altro al centro del villaggio).

La preparazione dell'irrigazione nei campi

La preparazione dell’irrigazione nei campi

 

Il Burkina, può permettersi di fermarsi?
Intanto questi mesi solitamente sono i più duri in assoluto: siamo nel bel mezzo della faticosa stagione secca, con caldo afoso e vento che alza la sabbia, e le piccole riserve familiari di mais o miglio sono finite e per averne di nuovo bisogna aspettare la pioggia e la nuova semina, anche le foglie che si coltivano vicino casa e si usano per la salsa che condisce il to (polenta) di mais o di miglio sono finite.
Il Burkina, come altri stati africani, più degli stati europei, non potrebbe permettersi di fermarsi… Si vive alla giornata, se non lavori non mangi. La rete web non permette né il lavoro a casa (quali case?) né lo studio su piattaforma. Il paese ha una piccola fetta di popolazione che abita in case all’europea e ha strumentazioni e risorse per accedere alla rete telematica. Altri vivono in case all’africana e anche se possiedono gli strumenti per navigare e rimanere connessi, non hanno le risorse economiche per utilizzarli come vorrebbe. Ma una grandissima parte vive in case fatiscenti e non ha accesso alla rete telematica.
Si parla di riapertura dei mercati, ma non è stato comunicato il giorno. Il coprifuoco dal 20 aprile sarà spostato dalle ore 19 alle ore 21. Alcuni settori, oltre al commercio, per esempio la ristorazione, uno dei comparti che vede tantissime donne impegnate e che con questa attività riescono a sfamare la famiglia, o i trasporti, sono letteralmente in ginocchio.

 

I bambini di tutto il paese non vanno a scuola; come studiano da casa?
Dal 16 marzo tutte le scuole di ogni ordine e grado, comprese le università, in tutto il territorio del Burkina, sono chiuse. Nessun supporto è stato offerto agli studenti. Qui non esiste nessuna piattaforma per studiare da casa, né tanto meno ogni studente ha a disposizione un computer o un tablet o uno smartphone e una connessione internet. Praticamente allievi, maestri e professori sono in vacanza. Molti insegnanti sono rientrati nei loro villaggi. Una Tv locale, Burkina Info, tutte le sere trasmette lezioni per le classi di esami (3me e terminale). Ma si parla di riaprire, forse il 28, tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Bambina Burkinabè

Bambina Burkinabè

 

Quali sono le ricadute sociali più gravi per la popolazione burkinabè, se si pensa alle misure anti-Covid19?
Intanto, dicono “restez à la maison”… ma rimanere in quali case? Nella stagione secca fa un caldo terribile. Molte (troppe) case sono fatiscenti e affollate di gente. Sono addossate l’una all’altra, con un piccolo spazio esterno spesso in comune con altre famiglie. Per tanti la casa è un unico ambiente, 13-15 metri quadrati in tutto e per tutto. I più fortunati hanno 4-5 m quadri in più, una piccola stanzetta adibita a camera da letto. Durante il giorno, il tetto in lamiera trasforma le stanze in saune.
Un altro punto dolente è l’igiene. Nei villaggi c’è il pozzo comune, quasi sempre in periferia, al crocevia di più villaggi. Nelle città, non in tutti i quartieri e non in tutte le case, la distribuzione dell’acqua è centralizzata. Nei villaggi un pozzo serve una miriade di persone ed è lontano quanto basta per scoraggiare anche i meglio intenzionati ad andare a prelevare l’acqua anche una sola volta in più rispetto all’organizzazione di sempre. In città la mancanza di acqua è giornaliera e riguarda spesso le ore pomeridiani quando il caldo è più insopportabile. Per non poche famiglie, anche l’acquisto di sapone in quantità maggiori rispetto alla normalità è un’operazione economica complessa – e poi, è tutto chiuso…

 

E’ centrale il ruolo dei mercati locali?
La ricerca del cibo e la chiusura dei mercati è faccenda assai seria: purtroppo si mangia tutti i giorni anche in presenza del coronavirus! Solo pochi possono permettersi una riserva alimentare: una bottiglia di olio; un sacco di riso; un chilo di sale o di zucchero; un paniere di soumbala o di gombo secco o di arachidi. Ogni giorno si va al mercato o dalla vicina che fa piccolo commercio e si compra l’occorrente per il pranzo e la cena quotidiana perché i soldi a disposizione non permettono altro: si vive alla giornata e si mangia con il lavoro di ogni giorno. Sono in molti a comprare ogni giorno un cucchiaio di olio, magari dalla vicina che ha avuto la possibilità di acquistare un litro, lo ha meticolosamente distribuito in bustine e lo rivende per guadagnare i pochi soldi che le permettono di andare al mercato e comprare il pane quotidiano da mettere sulla tavola per sfamare se stessa e tutta la famiglia. E quegli spiccioli per comprare l’olio sono frutto, forse e senza forse, della vendita ancora di qualcosa, forse di bustine di pasta, perché a sua volta e stato comprato un chilo di spaghetti e, dopo averli spezzati, sono stati distribuiti in bustine e venduti al dettaglio. Ed è così per tutto: pomodori, cipolle, melanzane, peperoni venduti a unità o a piccoli mucchietti di 2 o 3 o 4; lo zucchero o il sale venduti in bustine di 50 o 100 grammi; il caffè in monodose. Si compra il dettaglio del dettaglio.
Se si ascoltano le donne che in Tv mettono a nudo la realtà vengono i brividi: con i mercati chiusi forse non si muore di virus, ma certamente si morirà di fame. Chiudere tutto in un Paese che vive di economia di sussistenza è come preparare il cappio e attaccarlo a un albero. Forse, alla chiusura e all’invito a stare a casa bisognava immediatamente attivare e affiancare un programma di supporto alimentare per tutte quelle famiglie che vivono di quello che producono. I dipendenti statali a fine marzo hanno ricevuto il loro mensile e teoricamente potrebbero andare avanti mesi, sono stipendiati, ma gli altri? Cosa ne sarà del loro futuro?

Grazia Le Mura e il progetto Tantemani

Grazia Le Mura e la sua missione in Burkina Faso

 

Già: ci sono misure di aiuto alla popolazione?
La gente è stanca perché qui è davvero dura. Le misure statali di aiuto non sono sufficienti e non sono state messe ben in atto come avrebbero dovuto. Noi abbiamo tamponato una situazione di emergenza distribuendo pacchi di viveri a decine di famiglie molto povere del quartiere dove è ubicato il nostro Centro di prima accoglienza “I Danse”. Produciamo uova, il prezzo di colpo è sceso di 100F a confezione, eppure tutto è aumentato. Anche a Pasqua abbiamo distribuito pacchi di viveri. E confezioni di 30 uova ciascuna a tutte le famiglie di Sokourani, ancora una goccia d’acqua in un oceano immenso. Uno dei nostri ragazzi ha fatto il giro delle famiglie. La distribuzione è sempre fonte di gioia, questa volta la gioia era velata di tristezza. Erano tutti a casa, anche gli uomini. Nessuno esce, tutti seduti sull’uscio di casa. Tutti senza parole perché qualcuno aveva pensato a loro. È dura. Il cibo comincia a mancare.

 

Le persone vanno in giro con le mascherine?
Noi la mettiamo quando usciamo dal recinto di Casa Sara – per esempio ieri siamo andati a sistemare nell’orto – perché nella Fattoria lavorano dodici persone esterne e vengono i clienti per gli acquisti. In giro, tantissimi usano la mascherina in tessuto, lavabile e riutilizzabile prodotta in Cina. Prima costavano 200 franchi cfa, adesso il prezzo è raddoppiato a 400 cfa, anche se è stato diffuso un listino prezzi nazionale per contrastare lo sciacallaggio. Non tutti la usano, ma certamente una gran parte di popolazione, almeno qui nel nostro villaggio e a Bobo Dioulasso. C’è da dire che, normalmente, a causa della polvere e del vento, chi va in moto già la indossava prima. Non era così nei mercati o per strada.

 

C’è paura?
In questi giorni, in questo fazzoletto di terra d’Africa in cui vivo, si vive l’ansia e l’angoscia per la malattia, ma soprattutto per il domani. È un dire e ridire: se non ci uccide il virus, ci ucciderà la fame. La situazione è molto critica, anche se sono convinta che il popolo burkinabè avrà certamente il coraggio di affrontare questa prova – come tante altre – con grande dignità e tenacia.
I dispensari sono sempre pieni di gente e lavorano in condizioni inverosimili: più che curare fanno miracoli. Ma non è il Covid: questo è il periodo in cui girano le infezioni, per esempio al momento a Sokourani abbiamo diversi casi di varicella. Naturalmente i malati sono portati in città. Le immagini che fanno vedere sono di persone in corsia isolate, alcune con l’ossigeno. I 202 casi in trattamento sono un’enormità per le strutture esistenti. Il responsabile del dispensario di Peni ci ha detto che hanno ricevuto un protocollo di azione per gestire eventuali malati di Covid, ma il materiale a disposizione sembra essere esiguo; perfino le mascherine. E’ difficile trovare qualunque cosa…