La situazione del CPR di Macomer si rivela molto problematica a poche settimane dall’apertura.

E’ un altro segnale del fallimentare sistema con il quale si gestiscono i migranti in attesa di asilo e in attesa di impatrio.

In generale, la criticità maggiore sembra essere legata alla gestione privata dei CPR, affidati ad Enti Gestori, che sono società a scopo di lucro, che hanno ampi margini di gestione dei trattenuti.

Di fatto una gestione che, al di là del gestore privato, crea notevoli problemi, la condizione dei trattenuti, privati della libertà personale, è, nei fatti, inadeguata per un sereno svolgimento della permanenza dei migranti all’interno delle strutture.

La situzione di Macomer è attualmente monitorata dal quotidiano La Nuova Sardegna che ha pubblicato diversi articoli al riguardo,

Abbiamo intervistato Francesca Mazzuzi, attivista di LasciateCIEntrare della Sardegna.

 

Buon giorno Signora Mazzuzi, il CPR di Macomer è stato aperto il 20 gennaio: la situazione pare già molto problematica, stante anche agli articoli pubblicati da La Nuova Sardegna. Cosa ci può dire della struttura del CPR?

Da poco più di mese è operativo anche in Sardegna il Centro di permanenza per il rimpatrio e la sede prescelta è l’ex casa circondariale di Macomer, che ospitava anche una sezione dedicata al reparto di alta sicurezza. La struttura chiusa dal 2014, pare perché non rispettasse i parametri minimi stabiliti dalla legge, ha subito dei lavori di adeguamento per poter riaprire come CPR.

A oggi, in seguito al termine della prima fase dei lavori può ospitare 50 persone, ma, una volta completati si arriverà a 100.

Non abbiamo certezza di come sia effettivamente strutturato al suo interno, ma è evidente che si tratta dell’ennesima gabbia destinata agli stranieri presenti nei nostri territori.

Secondo i progetti dei lavori e le relative planimetrie consultabili nel sito istituzionale della Prefettura di Nuoro sappiamo che il centro è composto da tre fabbricati. Uno è dedicato all’attività amministrativa del centro, mentre i restanti due costituiscono la vera e propria sezione detentiva, nei quali possono attualmente essere trattenute in uno 40 e nell’altro 10 persone.

Tutti i movimenti dei reclusi sono tenuti costantemente sotto controllo attraverso un sistema di videosorveglianza interno ed esterno e gli spazi sono stati rimodulati in modo da creare dei settori compartimentati per un massimo di 20/25 persone, divisi da cancelli in ferro invalicabili e che non permettano il contatto visivo tra le due parti. È anche prevista una barriera di filo spinato sui cornicioni dei fabbricati per evitare l’accesso al piano di copertura delle strutture, da dove spesso i reclusi gridano la loro disperazione nella speranza che la loro voce possa arrivare all’esterno dei CPR.

Anche sulle persone attualmente recluse non trapelano sufficienti informazioni, sappiamo solo che sono presenti una cinquantina di persone, tutti uomini – anche se nel progetto 10 posti sarebbero destinati a una sezione femminile – la gran parte trasferita da altre regioni, da altri CPR come Torino e Trapani (ora chiuso), dall’hotspot di Taranto e sono presenti anche alcuni degli algerini appena sbarcati sulle coste sarde.

Il Cpr di Macomer, infatti, è stato acclamato dai politici sardi proprio per fungere da deterrente per gli sbarchi degli harraga, i giovani che dall’Algeria giungono con i barchini nelle coste della Sardegna sud-occidentale. Come se negli ultimi vent’anni, la presenza dei centri per il rimpatrio abbia potuto formare quanti erano mossi dal desiderio o dalla necessità di cercare una nuova opportunità di vita in Europa, passando per l’Italia.

 

Chi è l’Ente Gestore?

La gestione del CPR è affidata alla Ors Italia s.r.l., filiale dalla società svizzera Ors che già amministra centri per migranti in diversi Paesi europei e che è sbarcata, appunto, in Italia nel 2018, grazie alle nuove norme che regolano l’accoglienza e la detenzione dei migranti.

La Ors è stata già al centro di polemiche sulla pessima accoglienza di un mega centro in Austria, tenuto in condizioni disumane, secondo una denuncia di Amnesty International. La stessa società è stata anche oggetto di un’inchiesta giornalistica sull’intreccio tra mondo politico svizzero e finanza internazionale che si cela dietro il gruppo Ors.

Insomma, l’ingresso di questi soggetti è l’inevitabile conseguenza del sistema di affidamento a privati dei Centri di detenzione amministrativa per stranieri, le cui gare d’appalto con offerte al ribasso non possono che favorire i grandi operatori economici e il prevalere delle logiche di mercato e la riduzione della qualità dei servizi erogati a discapito del rispetto dei diritti delle persone ristrette.

La gestione Ors nel CPR di Macomer è stata anche motivo di un’interrogazione parlamentare, presentata da Erasmo Palazzotto (deputato di Leu), che ha espresso dubbi sia sul sistema di affidamento dei Centri per migranti, sia sull’affidabilità della stessa società e sulla sua effettiva capacità gestionale.

 

Sono stati riportati un tentativo di suicidio e casi di autolesionismo: può confermare?

Gli stessi infermieri che operano all’interno del centro hanno denunciato le difficili  condizioni di vivibilità nel CPR: lesioni, aggressioni, episodi di autolesionismo, almeno un tentativo di suicidio. E queste sono solo le notizie che trapelano e che riescono ad avere eco sulla stampa. Ma continua a mancare la voce delle persone recluse come della Prefettura di Nuoro.

Gli abitanti di Macomer sentono frequentemente gli interventi delle ambulanze del 118 che si dirigono verso il Centro, spesso nelle ore notturne.

Un ultimo episodio eclatante è accaduto giusto di pochi giorni fa quando un uomo è salito sul tetto di uno dei padiglioni minacciando di buttarsi giù, in un atto di disperazione.

Purtroppo non sono eventi sporadici, ma rappresentano la normalità in strutture di questo tipo, dove sono trattenute persone con la sola colpa di non avere un permesso di soggiorno, senza alcuna prospettiva, dove si verificano abusi, violenza fisica e psicologica e dove in nome di una presunta sicurezza non vengono tutelati i più elementari diritti, neanche quelli di norma garantiti ai detenuti delle strutture penitenziarie.

 

Cosa ci può dire della gestione sanitaria all’interno del CPR di Macomer?

Nei CPR è prevista la presenza di un’area medica con la presenza di medico e infermieri. Questi ultimi sono stati assunti da un’agenzia interinale per conto della Ors.

Qualche settimana fa gli operatori sanitari hanno inscenato una protesta, minacciando l’astensione dal lavoro o le dimissioni, preoccupati per la situazione di tensione dentro il Centro e per la propria sicurezza. In particolare dopo un episodio in cui gli agenti di sicurezza sono intervenuti dopo circa un’ora e mezzo dalla richiesta di aiuto, quando un infermiere si era barricato nell’infermeria per paura di essere aggredito.

Medici e infermieri hanno chiesto di poter operare sotto la costante vigilanza delle forze di sicurezza, richiesta che pone anche la questione del diritto alla riservatezza della persona che non può essere visitata con la sistematica presenza degli agenti di Polizia.

Quanto sta accadendo non può che confermare che i CPR sono luoghi di privazione di diritti, in cui il trattamento cui sono sottoposte le persone recluse lede la dignità umana ed è causa di malessere, aggressività e disperazione.

Quello dei Centri per il rimpatrio non è un sistema che può essere riformato, ma deve essere semplicemente superato.

 

Le risulta che il controllo della sicurezza all’interno del CPR sia interforze?

Apprendiamo anche dalla stampa che sono circa un centinaio le forze distaccate per il CPR.

Polizia e Guardia di Finanza si occupano della sicurezza interna del centro, mentre Carabinieri ed esercito, con un battaglione della Brigata Sassari, si occupano di presidiare l’esterno.

Una presenza che è diventata alquanto ingombrante per l’intera popolazione frequentemente sottoposta a posti di blocco e non solo in prossimità del CPR.

 

Le risulta che i telefonini di proprietà dei trattenuti siano stati sequestrati?

Quella del sequestro del telefonino una volta fatto ingresso nel CPR è una misura diffusa ed è una delle segnalazioni che abbiamo riportato, insieme ad ASGI, alla Prefettura e al Garante Nazionale dei diritti delle persone private delle libertà.

Questa prassi, tra l’altro, non fa che alimentare ulteriori dubbi su quello che accade in questi Centri, oltre a ledere la libertà di comunicazione con l’esterno che deve essere garantita a tutte le persone trattenute.

 

Avete fatto richiesta al Prefetto per poter accedere al CPR?

Già alla fine del mese di gennaio la Campagna LasciateCIEntrare ha presentato una richiesta di accesso alla struttura, ma non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta da parte della Prefettura Nuoro, se non che è ancora al vaglio del Prefetto.

Anche altre componenti della società civile hanno fatto una richiesta simile, ed è un fatto positivo, perché è di fondamentale importanza che questi centri siano gestiti in modo trasparente e che aprano le porte ad attivisti, giornalisti, legali e a tutti coloro che possano testimoniare quanto accade al loro interno, dando voce a chi non l’ha mai avuta, facendosi portatori delle istanze dei reclusi. E questo è proprio il motivo per cui è nata la Campagna LasciateCIEntrare nel 2011. Ma, nonostante sia stato fatto qualche progresso, oggi, come allora, i CPR sono ancora impermeabili alle richieste di apertura alla società civile. Prefetture e Ministero dell’Interno tendono a negare gli accessi. E, la Campagna, come altri, continuerà a opporsi a tali pratiche e a lottare per l’abolizione della detenzione amministrativa.

 

Come ritiene possa essere la situazione dal punto di vista della tutela legale dei trattenuti?

È certo che i legali hanno una forte limitazione oraria per incontrare gli assistiti, ma bisognerebbe sapere con chiarezza quali sono le procedure interne, se le persone ricevono un’adeguata informazione sulla loro situazione, se hanno la possibilità di poter nominare un legale di parte, fatto che può essere limitato per esempio dal ritiro del telefonino, non avendo più con sé i propri contatti di riferimento.

Bisogna tenere anche conto che le convalide dei trattenimenti avvengono in tempi molto brevi (entro le 48 ore) e si ricorre, perciò, ai difensori d’ufficio che non sempre sono esperti in diritto dell’immigrazione e tutto ciò va a discapito di chi deve ricevere un’adeguata tutela legale.

 

Cosa ci può dire di come la popolazione di Macomer sta reagendo all’apertura del nuovo CPR sul proprio territorio?

Sicuramente è mancata un’adeguata informazione. Per lungo tempo non si è capito che si sarebbe trattato di un centro di detenzione e non di accoglienza e infatti la popolazione era inizialmente preoccupata per la presenza degli stranieri nel territorio. Già nel 2017, quando Regione, amministrazione comunale di Macomer e Ministero dell’Interno scelsero Macomer come sede del Centro, si era formato un Comitato No CPR, espressione politica dell’allora opposizione del governo regionale e comunale di Macomer, che vedeva nella struttura un pericolo per la sicurezza della comunità.

L’apertura del CPR è stata presentata dall’amministrazione comunale come un’opportunità di sviluppo. Con la convinzione che i servizi attivati per le persone recluse nel centro avrebbero incentivato l’occupazione e che la presenza delle forze dell’ordine avrebbe contribuito a produrre una ricaduta economica positiva per il territorio.

Ma all’apertura del Centro è stato subito chiaro che non sarebbe stato così. Dal punto di vista economico le ricadute possono riguardare al massimo un paio di alberghi al completo e qualche ristorante convenzionato, mentre i costi sociali sono ben più pesanti e una parte della comunità macomerese si è spontaneamente organizzata per opporsi al CPR in quanto luogo di segregazione, discriminazione e violazione dei diritti, dando vita all’“Assemblea No CPR (né a Macomer né altrove)” che unisce Macomer e altri centri della Sardegna in un movimento solidale nella lotta contro i Centri di detenzione per il rimpatrio.

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