“Il rimpatrio dei rifugiati burundesi verso la Tanzania non è affatto volontario come il governo del Burundi sostiene. Il governo sta mentendo per ingannare l’opinione pubblica internazionale. I profughi, con cui sono in contatto quotidiano, mi dicono di aver paura di essere presi e portati in Burundi da un momento all’altro”. Così all’agenzia ‘Dire’ Arsene Arakaza, giornalista originario del Burundi e rifugiato in Uganda. Nel 2016 aveva dovuto lasciare il Paese per le minacce e le persecuzioni subite dopo aver preso parte a manifestazioni contro il presidente Pierre Nkurunziza.

Ad agosto la Tanzania – che riconosce lo status di rifugiato politico – ha siglato un accordo con le autorità burundesi per rimpatriare i profughi, che in totale stando a stime Onu sono circa 200mila sui 400mila totali che hanno lasciato il Paese. Ieri è cominciato il rimpatrio del primo gruppo di mille persone.

Una volta arrivato in Uganda, Akaraza ha fondato un’associazione di connazionali nonchè un giornale, ‘Plume du refuge”, con cui fornisce informazioni utili ai profughi sparsi nei Paesi vicini, ma punta anche ad accendere i riflettori sulle loro condizioni di vita, spesso difficili. “Sono in contatto permanente con i burundesi nei campi profughi di Nduta, Mutendeli e Nyarugusu, in Tanzania” spiega il giornalista. “Ora la situazione è calma. Le autorità avevano annunciato la chiusura dei mercati, ma ad oggi la misura non è stata ancora applicata”. Una notizia positiva, dal momento che la vendita di prodotti come farina di mais, piselli, olio, o piccoli pezzi di sapone frutto dei kit igienici distribuiti dalle organizzazioni umanitarie aiuta a racimolare qualche soldo in modo dignitoso.

Secondo Akaraza, “molte iniziative di solidarietà sono state intraprese, per sollecitare da parte della Tanzania il rispetto della Convenzione sui rifugiati”, che vieta a un Paese di respingere i rifugiati verso un Paese non sicuro. In prima linea in queste settimane ci sarebbero la Coalizione delle organizzazioni della società civile burundese, il Collettivo degli avvocati burundesi delle vittime di violazioni del diritto internazionale (Cavib), l’Atrocities Watch Africa e il Collettivo di avvocati Justice for Burundi.

Secondo Akaraza, però, “la maggior parte dei rifugiati burundesi non ha lavoro, ma tornare non è possibile perchè in Burundi esiste un grande problema di sicurezza che si sta aggravando con l’approssimarsi delle elezioni del 2020”. Nel 2015 l’annuncio di Nkurunziza di ricandidarsi alla presidenza sebbene la Costituzione non glielo consentisse aveva innescato proteste e manifestazioni popolari: “Chiedevamo solo libere elezioni e il rispetto della Costituzione” ricorda Arakaza, che una volta arrestato è finito in carcere. Da allora la situazione sarebbe peggiorata: “Il partito unico
ha avviato una campagna di persecuzioni” denuncia il giornalista.
“Molti giovani spariscono, gli arresti sono arbitrari e le risorse naturali sono gestite dall’elite. Così i servizi pubblici non esistono e il tasso di povertà è il più alto al mondo. La comunità internazionale deve intervenire e aiutarci”.