Gli scenari che si prospettano a due giorni dalle elezioni – che hanno prodotto una situazione di stallo per mancanza di maggioranza assoluta sia da parte di Gantz che di Netanyahu – sono diverse, ma nessuna sembra poter fare a meno del vero ago della bilancia che è l’estremista di estrema destra, laico e nemico dei partiti religiosi, Avigdor Lieberman, uno dei più feroci avversari dei palestinesi, ammesso che si possa fare una classificazione di maggiore o minore ferocia tra i vari esponenti di punta della politica israeliana. Infatti, il quasi testa a testa tra il generale centrista Gantz, quello che si fregia di aver devastato Gaza nel 2014 e il plurindagato Netanyahu, a rischio galera se viene estromesso dal governo, forse non potrà sbloccarsi se non con quella manciata di seggi che gli ebrei russi affluiti in Israele hanno regalato a Lieberman.

Il successo della lista araba unita che ha ottenuto 13 seggi mettendo insieme i quattro partiti arabi di orientamento profondamente diverso tra loro rappresenta lo spauracchio agitato da Netanyahu contro Gantz in quanto potrebbe allearsi con questa forza parlamentare per formare il governo. In proposito, le parole d’ordine di Bibi l’indagato sono sempre le stesse, sempre fortemente razziste e fortemente illegali e inneggianti al furto (detto confisca e/o annessione), ma amate da una buona parte di israeliani. Variano dal “con me non ci sarà mai uno Stato palestinese” a “annetteremo la Valle del Giordano senza portarci dentro un solo palestinese che la abita” a “senza di me si farà un governo con gli arabi nostri nemici”. Forse era proprio l’ultima dichiarazione a far sperare ai rappresentanti dell’Anp, sebbene senza esternazioni pubbliche, e agli stessi palestinesi israeliani in una vittoria di Gantz.

Ma sarebbe un grave errore ritenere che tutti i palestino-israeliani che sono andati alle urne lo abbiano fatto per dar forza alla lista araba unita, magari seguendo le indicazioni del più famoso rapper mediorientale del momento, Tamer Nafar, che invitava al voto in un suo rap dicendo “se il nostro voto cancellerà Lieberman e manderà in prigione Netanyahu, allora siamo pronti” e che in un’intervista dichiarava che in questo Stato (Israele) non democratico verso la componente palestinese c’è uno strumento democratico, le elezioni, e quindi questo strumento va usato per farsi ascoltare in parlamento e guadagnare gli stessi diritti della maggioranza ebraica.

Crederlo sarebbe un errore che non tiene conto di una caratteristica umana diffusa ovunque: il collaborazionismo o, per dirla con termine neutro e benevolo, l’integrazione con le forze che hanno occupato il proprio Paese e ormai ne sono riconosciute padrone. Infatti, del circa 50% di palestino-israeliani andati alle urne, solo una parte ha votato per la lista araba unita, mentre il resto dei votanti ha scelto di dare la propria preferenza ai partiti israeliani, compresi quelli che si fregiano di aver ucciso molti arabi e distrutto le loro case e che non accetteranno mai una vera uguaglianza di diritti con i palestinesi. Quindi dentro quel 21% di palestino-arabi di cui circa una metà è andata alle urne, c’è una percentuale che non ha nulla da spartire con la propria provenienza e che è saltata a piè pari, come si dice in gergo figurato, sul carro del vincitore.

Insomma è una situazione complicata quella israeliana e non lo è meno quella palestinese dentro e fuori Israele. Ora vedremo se il capo dello Stato Rivling affiderà la composizione del governo a Gantz, che come merito morale rispetto a Netanyahu ha solo quello di non aver truffato lo Stato o se – come largamente improbabile – affiderà ancora una volta l’incarico a Netanyahu. Gli osservatori internazionali non lo credono, ma sappiamo che in politica può succedere di tutto e che, dichiarazioni come non staremo mai al governo con Netanyahu… o con Lieberman, o con gli arabi, a seconda di chi le pronunciasse, hanno già dimostrato di essere parole portate via dal vento degli opportunismi politici. Solo di una cosa, chi osserva la situazione israeliana e, per forza di cose, quella palestinese ad essa collegata è certo: la situazione palestinese non trarrà alcun beneficio dalla formazione del prossimo governo quale che sia. Tutt’al più si tratterà di limitare i danni, ma tutte le pedine già posizionate nelle diverse caselle da Netanyahu come fosse un gioco dell’oca, hanno lasciato il segno e messo radici.

In conclusione, quale che potrà essere il nuovo governo, o la comunità internazionale deciderà di intervenire nel rispetto della legalità internazionale violata, o la Palestina, grazie anche all’abominevole logica sottesa al piano Trump, non avrà pace. Ma neanche Israele ne avrà.