Nils Melzer ritiene che il fondatore di WikiLeaks sia stato vittima di una campagna diffamatoria destinata a distogliere l’attenzione dai crimini che ha scoperto.

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Nils Melzer, ha pubblicato mercoledì scorso un articolo in cui assicura che il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato vittima di una campagna diffamatoria. Successivamente, Melzer ha scritto un tweet in cui afferma che ha inviato il suo articolo a molti dei principali media occidentali, ma si sono rifiutati di pubblicarlo.

In un articolo pubblicato su un portale del blog in occasione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura, Melzer descrive il percorso che ha intrapreso per rendersi conto che Assange non è né uno stupratore né un hacker, né una spia russa, né “un narcisista egoista”, come sostengono alcuni media occidentali.

Il destino della democrazia

“Alla fine, mi sono reso conto che la propaganda mi aveva accecato e che Assange era stato sistematicamente diffamato per distogliere l’attenzione dai crimini che aveva esposto”, dice l’esperto delle Nazioni Unite. Sottolinea inoltre che la campagna contro il fondatore di WikiLeaks è passata dalla semplice calunnia e dalla persecuzione dello stato alla piena tortura psicologica.

“Una volta disumanizzato dall’isolamento, dal ridicolo e dalla vergogna […] è stato facile privarlo dei suoi diritti più fondamentali senza provocare sdegno pubblico in tutto il mondo”, continua Melzer. Sulla stessa falsariga, l’esperto delle Nazioni Unite assicura che è necessario coprire mediaticamente la questione di Assange per “prevenire un precedente che possa segnare il destino della democrazia occidentale”. “Una volta che è diventato un crimine dire la verità, mentre i potenti godono dell’impunità, sarà troppo tardi per reindirizzare il corso”, ha concluso l’autore dell’articolo.

Alla fine Melzer ha citato l’elenco dei giornali ai quali ha inviato, senza successo, il suo articolo: The Guardian, The Times, The Financial Times, The Sydney Morning Herald, The Australian, The Canberra Times, The Telegraph, The New York Times, The Washington Post, Thomson Reuters Foundation e Newsweek.

Melzer sottolinea che nessuno di loro “ha risposto positivamente”, così ha deciso di pubblicarlo sul portale del blog Medium.

L’articolo originale può essere letto qui