La Turchia è nuovamente sotto i riflettori. Stavolta in occasione delle elezioni amministrative che avranno luogo il 31 marzo. La crisi economica, che impoverisce il Paese sempre di più e aumenta la disoccupazione, facendo fuggire il capitale straniero e svalutando la moneta locale, dovrebbe rappresentare lo stimolo principale per recarsi al voto per i 57 milioni di aventi diritto.

Ovviamente, dalla lista delle motivazioni non possiamo escludere anche la capillare e violenta repressione che pratica il governo da anni per mantenere il suo potere politico ed economico. Anche in questa tornata elettorale, il Paese assiste a una campagna molto aggressiva e piena di manipolazione e disinformazione. I protagonisti di questo gioco sono gli esponenti del governo centrale insieme al suo nuovo alleato e la maggior parte dei media main stream.

TRT blindato

İsmet Demirdöğen, membro del Comitato Superiore Radiotelevisivo, nella sua relazione evidenzia un punto molto interessante. Dal 16 al 20 marzo durante le trasmissioni di 10 canali televisivi privati che sostengono pubblicamente la coalizione del governo non è stato dedicato neppure un secondo di spazio alla coalizione dell’opposizione, tranne per dei momenti di antipropaganda.

Secondo Demirdöğen, la situazione è più drammatica visto che si tratta del canale televisivo statale, TRT. Dal primo febbraio al 20 marzo sono state prodotte 135 ore di trasmissione a favore della coalizione del governo. In questi 48 giorni, invece la coalizione delle opposizioni ha trovato solo 20 ore di spazio televisivo.

La questione diventa ancor più incredibile se si fa riferimento al Partito Democratico dei Popoli che conta ben 11 parlamentari in carcere; 15 ore di antipropaganda e nemmeno un secondo di spazio mediatico per il partito. Praticamente per il TRT questa espressione politica, che nell’ultima tornata elettorale ha incassato 6 milioni di voti, non esiste.

Monopolio dell’informazione a favore del governo

Caso dei giornali locali

Ormai è risaputo che la maggior parte dei media main stream sono al servizio del partito di governo e del suo nuovo alleato. Questo enorme problematica, in termini di libertà di stampa, si ripresenta in una buona parte del Paese anche quando si parla della stampa locale.

Il 22 marzo, il Presidente della Repubblica visita la città di Konya, la fortezza dell’elettore fondamentalista. Un giorno prima 13 giornali locali su 14 escono, in prima pagina, con lo stesso titolo e la stessa immagine. L’unico che non segue la “moda” è Yeni Meram. Secondo il portale di notizie, T24, sono gli stessi 13 organi di stampa che avevano agito allo stesso durante la tornata elettorale del 24 giugno del 2018.

Caso 8 marzo

Un altro esempio è relativo alla manifestazione dell’8 marzo. Da circa dieci anni, a Istanbul si organizza un corteo notturno per protestare contro la violenza maschile sulle donne. Quest’anno la polizia ha deciso d’impedire al corteo di accedere in Piazza Taksim e ha manganellato coloro che hanno provato a forzare gli scudi della polizia. In quel momento, per protestare contro la violenza della polizia e contro la limitazione della libertà di manifestare una buona parte del corteo ha fischiato proprio quasi nello stesso momento dell’appello alla preghiera.

Successivamente, il 10 marzo, in un’occasione pubblica, il Presidente della Repubblica, ha presentato la sua versione dei fatti con queste parole: “I nemici dell’appello per la preghiera e della bandiera erano per strada l’altro giorno. Il corteo organizzato dai partiti dell’opposizione CHP e HDP ha fischiato durante l’appello per la preghiera, è un gesto di grande maleducazione”. Ovviamente è stato per lui una grande occasione per criminalizzare l’opposizione in prossimità delle elezioni amministrative del 31 marzo.

Nonostante diverse prove dimostrassero che i fatti fossero andati diversamente, purtroppo, non è stato possibile fermare la campagna di calunnia e di disinformazione. L’indomani, 7 quotidiani nazionali importanti, sono usciti con gli stessi titoli e le stesse immagini, riprendendo le parole del Presidente della Repubblica e usando le foto di lui e del corteo dell’8 marzo. Ancora un’altra volta la stampa si è mostrata al servizio della propaganda del governo.

Caso delle liste dei nomi

Il 24 marzo, alcuni giornali importanti del Paese, hanno pubblicato la lista dei nomi di 325 candidati per le elezioni comunali, appartenenti ai partiti dell’opposizione. I titoli sono eloquenti e spiegano il motivo di questa scelta: “Ecco i candidati piazzati dal PKK, nella lista della Coalizione del Popolo”, “Sono stati identificati i candidati della Coalizione del Popolo, appartenenti al PKK”, “Ecco i candidati legati al PKK e HDP”. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il cosiddetto PKK, è un’organizzazione definita come “terroristica” da parte dello Stato quindi l’eventuale legame dei candidati con il PKK li renderebbe “terroristi”.

In questo caso è evidente che qualcuno abbia fornito ai giornalisti le informazioni legali e riservate di quei 325 cittadini. Chissà, magari si tratta dei servizi segreti. Eppure visto che questi cittadini sono stati accettati come candidati vuol dire che attualmente non c’è nessun impedimento legale per la loro partecipazione attiva alla vita politica. Per non parlare del fatto che esiste pur sempre il principio di presunzione d’innocenza fino a prova contraria. Nonostante tutti ciò alcuni giornali hanno calpestato i principi deontologici della professione e si sono messi a disposizione della propaganda governativa.

Il 28 marzo, il Presidente della Repubblica, ha dichiarato ufficialmente di avere nelle sue mani i dati legati alla fedina penale di queste persone citate parlando così: “Dopo le elezioni, a seconda dei risultati, ci comporteremo di conseguenza, abbiamo i dati di queste persone”. Successivamente la Corte Costituzionale, attraverso un comunicato, ha sottolineato che l’utilizzo improprio dei dati personali, in possesso dei servizi segreti, è un atto anticostituzionale.

Le dichiarazioni minacciose fatte da parte dei membri della coalizione del governo sono numerose e anche le false promesse non sfrenate. Definire gli oppositori come dei “traditori della patria” oppure come dei collaborazionisti delle “forze oscure straniere” e addirittura promettere il “paradiso” agli elettori sono tutte delle dichiarazioni di propaganda elettorale.

Questa tornata elettorale è molto importante per il futuro della Turchia, e non solo. La crisi economica e le complicate relazioni internazionali in cui si trova il Paese rendono ancora più importanti le votazioni di questa domenica. Il partito al governo dal 2015, in termini elettorali, per sangue, vista l’alleanza con gli ultranazionalisti, ora sembra che abbia abbastanza paura di essere sconfitto il 31 marzo e gioca tutte le carte a sua disposizione, anche quelle illegali.