Dietro invito degli organizzatori del Jallalla de Mujeres 2018, ho intrapreso l’avventura del ritorno a Jujuy, con l’opportunità di conoscere e scambiare opinioni con i membri della Tupac Amaru e dei Comitati per la Libertà di Milagro Sala di tutto il paese.

L’incontro delle donne aveva come obiettivo quello di far visita a tutti i prigionieri politici di Jujuy: Graciela López, Mirta Guerrero, Beto Cardozo, Gladys Díaz, Javier Nieva y Mirta Aizama, e inoltre quello di avvicinarci all’edificio dove Milagro Sala e Raul Noro sono tenuti prigioneri, nella località di El Carmen. Lì si è realizzata una trasmissione radio aperta nella quale noi presenti abbiamo potuto esprimere ai referenti della Tupac le ragioni che ci hanno portato a dimostrare la nostra solidarietà e vicinanza, e rafforzare la volontà di lottare per liberarli da questa detenzione ingiusta e arbitraria.

L’odissea è cominciata nella sede di Buenos Aires della Tupac, e da lì abbiamo intrapreso il viaggio su un bus carico di donazioni per la gente di Jujuy e delle tende nelle quali ci saremmo poi accampati nei pressi dalla “prigione domiciliare” di Milagro.

Donne di tutte le età e di diverse correnti politiche e ideologiche sono andate prendendo posto. Molte si conoscevano già da attività precedenti, ma per la maggior parte si trattava del primo viaggio per esigere la libertà della leader tupaquera.

Da Rosario, Córdoba, Tucumán, Santiago del Estero, Río Negro e Salta molte altre donne e alcuni compagni sono confluiti in questa assemblea dall’atmosfera festosa e di grande impegno sociale.

El Carmen

Dopo una notte di balli, cibo condiviso e cameratismo, la mattina presto ci siamo diretti verso la casa dove la Tupac aveva progettato di aprire un centro di riabilitazione per tossicodipendenti, che le schiere del viceré Gerardo Morales avevano distrutto e che è stata ripristinata a tempo di record affinché Milagro Sala potesse utilizzarla come prigione domiciliaria secondo il capriccio del giudice Pullen Llermanos.

Salendo per la strada sterrata che conduce alla residenza, intonando canzoni per la libertà di Milagro, l’abbiamo vista aspettarci dall’alto del muro dove la polizia di Jujuy ha posato fili taglienti che trasformano l’edificio in una prigione. Un cordone di poliziotti con fucili e poliziotti a cavallo completava il quadro del campo allestito dalla Gendarmeria sulla strada che conduce alla casa.

Insieme a Milagro stava affacciato anche Raúl Noro, compagno instancabile della leader e sostegno spirituale nei momenti di maggiore crisi de “La Flaca“, come viene chiamata a Jujuy la Sala. Anche i figli della leader, Sergio e Claudia, erano affacciati.

Donne indigene hanno ringraziato Milagro per averle “fatte esistere” e per avergli offerto l’opportunità di diritti che gli erano sermpre stati negati, hanno denunciato la prepotenza della famiglia Blanquier e hanno accusato Gerardo Morales di essere al servizio della famiglia più potente di Jujuy.

Le parole erano riconfortanti e l’afflato di guarigione arrivava da ogni angolo dell’Argentina. Milagro ringraziava ogni testimone e dopo aver ascoltato più di 50 persone ha iniziato la sua arringa a viva voce.

“Queste persone in uniforme obbediscono agli ordini e sono minacciate tanto quanto voi”, ha detto, e “bisogna che si uniscano alla lotta”. Ha parlato a noi, ma anche a loro e ha ricordato loro che facevamo parte dello stesso ambito popolare e che un giorno dovranno “togliersi gli elmetti e marciare con noi, come è successo di recente in Francia”.

Sala ha chiesto ai presenti di trasmettere il suo messaggio, che altro non era che “l’unico modo di essere solidali con i prigionieri politici è organizzandosi, lottando per le strade argentine, i quartieri e i villaggi. L’unico modo per aiutarci è lavorare sull’unità del popolo”.

“Noi non chiediamo la libertà dei prigioneri politici, noi chiediamo anche la libertà della testa, di smettere di avere paura, non tornare a chinare il capo”, arringava la jujeña, e ci chiedeva di non abbassare le braccia. Inoltre, ha assicurato che se qualcosa è a nostro favore “è stata l’esperienza di aver ricostruito la patria” e ha parlato del fatto che “molti leader stanno sotto il letto e credono che, dato che trattano con il governo di turno, ci faranno chinare la testa, non abbiamo paura di marciare, non possono vincere la strada”.

Compagno Raúl

Milagro Salaha voluto parlarci dello stato di salute del suo compagno, Raúl Noro. “Sono addolorata”, ha detto, e ha spiegato che le ultime indagini diagnostiche hanno dimostrato che Noro aveva il cancro, e dato che tante bugie sono state scritte su di loro, era necessario per lei poter dire con la propria bocca che suo marito non si dava malato per non andare a testimoniare, come lo accusavano da settori di Gerardo Morales.

“Non ci abbatteremo, perchè ci rendiamo conto ogni giorno di come militate per le strade, la forza che abbiamo dal muro a qui è grazie a voi”, ha insistito, per poi assicurare che vuole che i processi finiscano quanto prima, “che questa pagliacciata finisca”, ha affermato.

“Come ha detto Cristina, nemmeno io mi pento delle cose che ho fatto”, ha detto Sala prima di invitare tutti i partecipanti all’atto a formare un cerchio, ad abbracciarsi e a chiudere gli occhi. Oltre a chiedere benessere per Raúl e per tutti i prigionieri politici, ci ha chiesto di visualizzare il 10 dicembre 2019, e pensare al momento in cui questo incubo sarebbe finito, per finire con un augurio di “pace, forza e allegria per tutti e tutte”.

Questo è l’intervento completo di Milagro Sala dal muro della residenza di El Carmen:

Milagro Sala en el Jallalla Mujeres 2018

Este sábado 08 de diciembre Radio Hache estuvo en el Jallalla Mujeres que se realizó en Jujuy. En la mañana se realizó una radio abierta en la que las distintas participantes pudieron testimoniar las razones por las que se habían acercado hasta El Carmen, donde cumple "prisión domiciliaria" la líder de la Tupac Amaru y presa política, Milagro Sala. Esto le dijo a quienes estábamos congregados allí. #LibertadAMilagroSala#Jallalla2018 Jallalla Mujeres

Posted by Radio Hache on Monday, 10 December 2018

La visita

Le compagne avevano concordato con gli avvocati dei prigionieri politici visite in ciascuna delle carceri e nella residenza stessa di Milagro e Raúl. Oltrepassare il cancello, chiuso dall’esterno e che solo i gendarmi possono aprire, è stato un momento di grande intensità, abbracciare per la prima volta Milagro, un abbraccio forte e lungo, caldo, potersi emozionare con Raúl, un ospite magnifico, sempre attento ai piccoli dettagli che potevano rendere il nostro soggiorno più confortevole.

Appena seduti al tavolo della cucina, pronti a parlare bevendo un mate addolcito con stevia, Milagro ha mostrato a Raúl il mio cappello, dicendogli che era uno così che voleva che le comprasse. Naturalmente le ho detto che se voleva un berretto come quello, era già suo, e così è stato. Insieme ai libri di Pressenza, ho lasciato a Milagro il berretto che ha indossato durante la chiacchierata che abbiamo avuto e che, chiaramente, sta meglio a lei che a me.

“La cerimonia con gli occhi chiusi ha fatto un gran bene a tutti e a tutte”, le diceva Ayelén, che era entrata con me, e questo le ha consentito di raccontarci che “si trattava della cerimonia umanista”. “Quando ci sentiamo molto frustrati, facciamo le cerimonie per stare tranquilli, perdonare gli altri, accettare gli errori e le virtà dell’altro. Questo ci ha molto aiutato a crescere come organizzazione”, spiegava. Mi ha chiesto se conoscevo Ana López, che era la persona che “l’aveva salvata” insegnandole le cose dell’umanesimo. “Io credevo che la rivoluzione andasse fatta con le armi e con l’umanesimo ho scoperto che invece deve essere nella coscienza”, ci ha raccontato.

L’incontro si è incentrato sugli stessi temi che aveva espresso pubblicamente. La rabbia per le menzoglie che erano state dette su Raúl Noro, la sua necessità che gli chiedessero scusa. “Mio marito non mente”,  ha affermato, e ha spiegato che molte volte lui ha nascosto persino a lei i suoi dolori.

Ha insistito nell’idea che è il popolo organizzato quello che definirà la continuità del governo di Mauricio Macri, che non dipende tanto dai dirigenti bensì dalla mobilitazione popolare.

“E’ il lavoro di migliaia di compagni che cercano una vita migliore, non è Milagro”, ci diceva, ponendosi come esempio di costruzione collettiva. “non siamo una piaga, come ci dicono, siamo l’orgoglio dei popoli indigeni e ci facciamo rispettare”, ha spiegato.

Approfondendo il tema della leadership, ha detto che è necessario “gestire l’Io e non aver paura dell’unità del popolo”. “Non importa com’è l’altro, nè il colore delle bandiere, dobbiamo riempire le strade di migliaia di fiori per rinascere come popolo”, ha detto. “Se i dirigenti non si organizzano, siamo noi che dobbiamo organizzarci come popolo, dobbiamo dimostrare che siamo vivi”, ha detto, senza svalutare il lavoro dei dirigenti, “anch’io sono una dirigente, ma se vede che non convoco, che non faccio il lavoro che devo fare, il popolo deve uscire da solo”. E ci ha fatto riflettere sul paese o che lasceremo ai nostri figli e nipoti.

Ecco perchè ci ha detto che la formazione politica si fa per la strada, “da noi dipenderà quello che accadrà”. “Se la CGR non sciopera, fatelo voi lo sciopero”, ci aveva detto qualche minuto prima, e ha disprezzato i dirigenti che giustificano la loro inazione per paura di essere messi da parte. “Curano il loro cortile e non la casa intera”, ha affermato, e alla domanda di una compagna sulla candidatura di Cristina, ha detto che “deve presentarsi” perchè “i voti non si passano” e lei “ha già dimostrato di saper condurre la nazione”.

L’uscita dalla casa è stata un po’ affrettata perché c’erano ancora molti compagni in attesa di entrare, così ci siamo riabbracciati e abbiamo parlato brevemente con Raúl.

Quisi può vedere, dal programma Continentes y Contenidos, le immagini complete che siamo riusciti a ottenere dall’incontro di El Carmen:

Il commiato

Da El Carmen siamo andati al carcere di Gorriti, dove si è svolto un atto che chiedeva il rilascio di tutti i prigionieri politici di Jujuy, e poi abbiamo marciato fino all’ufficio del governatore.

Una marcia agitata, con le batterie ricaricate dal messaggio trasmesso da Milagro Sala, ma con il corpo usurato da tanta intensità. Abbiamo approfittato del momento per scambiare qualche souvenir tra le diverse organizzazioni e intrapreso la marcia ringraziandoci reciprocamente. Il nostro ringraziamento è stato per la bella accoglienza e per mantenere viva la fiamma della Tupac Amaru e quella degli abitanti di Jujuy, per aver portato loro solidarietà e vicinanza da tutto il paese, affinché sia chiaro che non sono soli e che da ovunque si chiede la libertà per i prigionieri politici, e che il ripudio verso Gerardo Morales è mondiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella