Il ridimensionamento della presenza militare in Iraq e Afghanistan e sei nuove operazioni, cinque nel continente africano e una in ambito NATO per la sorveglianza dello spazio aereo alleato. È quanto previsto dal decreto di finanziamento delle missioni internazionali delle forze armate predisposto dal governo Gentiloni-Minniti-Pinotti per il periodo compreso tra l’1 gennaio e il 30 settembre 2018, poi prorogate senza modifiche dall’esecutivo Conte-Salvini-Di Maio sino alla fine dell’anno. Per gli impegni del tricolore in terra africana è prevista una spesa di oltre 118 milioni di euro in nove mesi, il 15% dell’ammontare dei costi delle missioni di guerra in mezzo mondo; i 1.234 militari impiegati costituiscono il 19% di tutto il personale della Difesa schierato fuori dai confini nazionali.

Per comprendere le ragioni del rilancio delle avventure coloniali italiane in Africa è utile riportare alcuni dei passaggi della Relazione delle Commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei Deputati sulla Delibera del Consiglio dei Ministri in merito alla partecipazione alle operazioni militari internazionali, approvata il 16 gennaio 2018. “Le nuove missioni si concentrano in un’area geografica – l’Africa – che riveste interesse strategico prioritario per l’Italia, che, oltre a dover gestire i flussi migratori provenienti da tale continente, deve affrontare il rischio che un rallentamento del processo di pacificazione e di consolidamento delle istituzioni politiche della Libia sfoci in un nuovo fattore di minaccia per i propri interessi nazionali e per la sicurezza del bacino del Mar Mediterraneo”, riporta il documento. “Gli interventi previsti in Africa si concentrano su attività utili a incrementare la sicurezza e la stabilità internazionali (costruzione di capacità – capacity building) a favore di Paesi impegnati nella lotta al terrorismo e ai traffici illegali internazionali (…) Nella regione del Sahel molti Paesi continuano ad incontrare difficoltà nel controllo dei rispettivi territori e frontiere e si trovano a far fronte ad una minaccia terroristica che si salda con traffici criminali e disagio sociale ed economico di ampie fasce di popolazione; nel Corno d’Africa la minaccia di al Shabab rimane sempre molto alta e impedisce un avvio più deciso di una ripresa in Somalia”.

Nello specifico, le nuove operazioni che vedono protagoniste le forze armate italiane nel continente sono scaturite da accordi bilaterali (le missioni di assistenza in Libia e Niger) o da impegni assunti con le Nazioni Unite (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara – MINURSO), l’Unione europea (European Union Training Mission nella Repubblica Centrafricana – EUTM RCA) e la NATO (Tunisia). A queste si aggiunge anche il “rafforzamento” della presenza italiana nelle operazioni avviate dall’Unione europea nella regione del Sahel (EUCAP Niger, EUCAP Mali ed EUTM Mali) e, contestualmente, il comando della Cellula di Coordinamento Regionale delle tre missioni stesse. “La nuova missione di assistenza e supporto in Libia, che integra le attività della precedente missione denominata Operazione Ippocrate, conferma il carattere prioritario dell’impegno dell’Italia per la pace e la stabilità del Paese”, aggiungono le Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati nella loro relazione di gennaio. “La riorganizzazione degli impieghi nella nuova missione militare su base bilaterale in Libia ha l’obiettivo di rendere l’azione italiana di assistenza e supporto del Governo nazionale libico più incisiva ed efficace; l’ulteriore nuova linea di impegno militare dell’Italia, rivolta al Niger, avviene nel contesto di un complessivo innalzamento di livello delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, legati tra loro da una solida alleanza di tipo strategico corroborata da un impegno di lungo corso nella regione saheliana e nello stesso Niger attraverso gli strumenti della cooperazione allo sviluppo, anche grazie alle risorse stanziate con il cosiddetto Fondo Africa, nell’obiettivo di promuovere il controllo del territorio ed il contrasto dei traffici illeciti, a partire da quello di essere umani (…) Le missioni in Libia ed in Niger sono, quindi, strategicamente rivolte anche a contrastare l’endemizzazione di questo fenomeno, che sovrappone terrorismo e attività criminale…”. Nero su bianco, si ripropone la falsa narrazione del binomio terrorismo-migrazioni, mentre per fronteggiare la presunta minaccia rappresentata dai terroristi-migranti si fondono insieme l’intervento militare e gli “aiuti allo sviluppo”, le strategie bellico-sicuritarie e la “cooperazione”.

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