Abbiamo avuto l’occasione di intrattenerci con Silvia Pacella, giovane laureata in Scienze dello Sviluppo e Cooperazione Internazionale che nei suoi viaggi più recenti è entrata in relazione con le comunità dei Mapuches. Ne è venuta fuori un’intervista interessante e stimolante per i suoi temi in materia di difesa dei diritti dei popoli originari.

Negli scorsi mesi hai avuto modo di viaggiare in Argentina e in particolar modo nelle terre abitate dai Mapuches. Che impressioni hai portato a casa al rientro dal tuo viaggio in merito a questa comunità indigena?

Tutta questa esperienza è iniziata a Roma. Cercavo d’informarmi sulla vicenda Mapuche e più leggevo, più mi accorgevo che era difficile andare a fondo in questa storia, caratterizzata da pareri discordanti, notizie false. Da lì, insieme ad altre mie amiche, abbiamo iniziato a pensare d’intraprendere un viaggio per l’Argentina, per comprendere con i nostri occhi quello che realmente stava accadendo, senza intermediari, ma attraverso un’esperienza vissuta in prima persona. Così abbiamo preso contatti con l’associazione Ya Basta! Êdî bese!, e grazie a loro, il 6-7 Gennaio 2018, abbiamo partecipato in Argentina, nel Corcovado, in un territorio recuperato dalla comunità mapuche Pillan Mahuiza, a un Trawn, un incontro parlamentare. Si dibatteva sul progetto d’installazione di 6 dighe che inonderanno il suddetto territorio. Tutto ciò sta avvenendo nonostante vi sia sufficiente produzione di elettricità per il consumo interno sia per le popolazioni e per le comunità che abitano quel territorio, sia per la comunità civile.

Qual è la situazione a livello di diritti umani?

Nei secoli, i Mapuche hanno subìto costantemente l’espropriazione dei territori, la repressione, le violazioni dei diritti umani, nonostante questi diritti siano stati riconosciuti alle popolazioni indigene a livello internazionale e nazionale (come la convenzione n°169 OIT o la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle Popolazioni Indigene), nonostante sia stata riconosciuta ai Mapuche la loro pre-esistenza. Ma, questo popolo continua a essere oppresso. Le multinazionali come il Gruppo Benetton, perseverano nell’appropriarsi dei territori appartenenti alle comunità indigene in nome dello “sviluppo”, ignorando completamente i loro diritti.

Per comprendere appieno il clima in Argentina, ci tengo a riportare le indagini in corso per terrorismo mosse nei confronti di Moira Millan, weichafe (guardiana, difensora) della comunità Mapuche Pillan Mahuiza. Nel periodo che ho trascorso nella comunità Moira ci raccontò come a seguito della sparizione di Santiago Maldonado (avvenuta il 1 agosto 2017), e delle successive azioni da parte della polizia, Moira insieme alle comunità si presentarono davanti al tribunale di Esquel, in maniera del tutto pacifica per denunciare il clima repressivo e la sospensione immediata delle persecuzioni ai loro danni. Nei giorni seguenti Moira Millán ricevette violente minacce di morte per telefono e continue persecuzioni da parte delle forze di polizia. Successivamente, il 26 giugno 2018 per ordine del Giudice Guido Otranto, le fu notificata l’incriminazione per “sequestro di persona aggravato” per le stesse proteste tenute il 20 settembre di 2017 nel Tribunale di Esquel.

Che puoi dirci sulla mediatizzazione di queste violazioni in Argentina?

I Mapuche lottano per la loro stessa sopravvivenza, combattono contro un giornalismo repressivo che li definisce terroristi, spesso senza alcuna prova, applicando in Argentina come in Cile, la legge anti-terrorismo. Si è creato così questo grande nemico pericoloso, il violento Mapuche che lotta per fondare un proprio Stato autonomo all’interno dell’Argentina; ma in realtà questi popoli originari auspicano il riconoscimento della libera determinazione. E’ un concetto collettivo (a differenza dell’autonomia che è individuale) e che quindi appartiene al popolo; richiedono il riconoscimento della pluri-nazionalità dei territori, ossia, l’organizzazione dei territori in base all’ecosistema e non a partire dalla definizione geografico-politica dello Stato.

Ciò che vogliono è proprio riprendere questa geopolitica ancestrale legata alla visione del continente propria del mondo indigeno. Chiedono solamente il loro diritto al territorio. Ma la maggior parte degli articoli scritti sui Mapuche li dipingono in maniera violenta, costruendo, come sempre, un capro espiatorio.

Da quanto si legge, si intuisce come buona parte dei giornalisti non abbia speso neppure una singola giornata con loro, e come non siano andati oltre ai titoli da scoop, e infine come non abbiano nemmeno cercato di capire per cosa stessero lottando. A mio avviso, mediaticamente, c’è uno sconcertante negazionismo che ha generato un’invisibilità dei popoli indigeni e alla loro discriminazione. I Mapuche non sono considerati neppure come esseri umani da questo mondo che molto più facilmente li scarta in nome del “progresso”.

Hai notizie più attuali sulla comunità Mapuche?

Attualmente non ci sono novità riguardanti la costruzione delle dighe nel Corcovado. La lotta continua ma non si sa se si riuscirà a fermare questo progetto. Inoltre, proprio nella giornata di ieri, è giunta la notizia che Moira è stata prosciolta dalle accuse di “sequestro di persona aggravato”. Come dicevo prima, sono notizie che non è semplice reperire, e questo dimostra ancor di più, a mio avviso, la strumentalizzazione dei media e quindi anche una scarsa copertura mediatica nei vari Paesi.

Mi preme aggiungere inoltre che proprio a breve è possibile incontrare personalmente uno dei rappresentante delle comunità Mapuche in visita in Italia per una serie di eventi.

Infatti a partire dal 16 ottobre giungerà nel nostro Paese Mauro Millan, fratello di Moira, lonko (guida spirituale) della Comunità Mapuche Pillan Mahuiza (Corcovado, Chubut), fondatore dell’organizzazione di comunità Mapuche e Tehuelche ‘11 de Octubre’ e della Radio Comunitaria Mapuche Petü Mogeleïñ.

Gli eventi si terranno martedì 16 ottobre alle 20:30 presso il Bocciodromo via Rossi, 198 Vicenza; mercoledì 17 ottobre alle 20:30 presso Bruno a Trento; giovedì 18 ottobre alle 21 presso CSO Django via Monterumici, 11 – Treviso; venerdì 19 ottobre alle 18.30 a Jesi (AN) e sabato 20 ottobre alle 18 presso la Galleria del Carbone Vicolo del Carbone 18 – Ferrara.

Tra i tanti argomenti di cui si discuterà in quelle date, si parlerà anche del legame tra Argentina e Italia e in particolare del modello di capitalismo estrattivo incarnato dal Gruppo Benetton. Si parlerà inoltre degli Stati Uniti che, con l’autorizzazione del governo argentino, stanno tentando di costruire tre nuove basi militari, strategicamente posizionate per il controllo delle risorse naturali necessarie agli interessi di un ossessivo sfruttamento.

Cosa si può fare a tuo avviso per aiutare i Mapuche nella loro lotta?

Innanzitutto dobbiamo iniziare a interessarci maggiormente a realtà che non fanno parte della nostra vita quotidiana, ma fanno comunque parte di noi, dell’essere umano. Ho deciso d’intraprendere questo viaggio perché è ingiusto che ci siano popolazioni oppresse così come è ingiusto che poche persone s’interessino a loro e poche persone si domandino cosa fare per sostenerle. Bisogna iniziare a essere più solidali, iniziare ad aiutarci a vicenda. Dobbiamo inoltre fargli comprendere che non sono da soli a lottare.

Siamo nell’epoca dei social media, dove potremmo essere tutti più vicini e più interconnessi, eppure non lo siamo. Condividiamo notizie false e fomentiamo l’odio.

Da qui si potrebbe partire, cercando notizie vere, restando uniti per lottare e per costruire un buen vivir, per vivere in armonia con gli altri esseri umani e con la natura. Dobbiamo essere più solidali gli uni con gli altri e comprendere che tutto ciò, ci riguarda. La nostra vita non è disciplinata da una sveglia, da un pranzo e una cena, ma dalla costruzione di un essere umano migliore, rispettoso degli altri. Ritengo realmente che questa possa essere una grande partenza, si può iniziare così a costruire una società che metta al primo posto i diritti umani e ambientali, che abbia a cuore le persone e non gli interessi, e da tutto ciò può solo venir del bene.

Fotoreportage con foto di Giorgia Cerasini, Erica Cianchi e Silvia Pacella