L’Africa è una terra di emigrazioni interne, come è sempre successo in tutti i continenti. La popolazione dei Bakongo arrivò nella regione del fiume Congo come parte della prima migrazione Bantù, portandovi la pratica dell’agricoltura e la lavorazione del ferro.
I Bakongo erano affascinati da una spiritualita fondata sul culto degli antenati e sugli intermediari tra loro e gli uomini. La divinità suprema era rappresentata da Tata Nzambi, creatore dell’umanità, che lasciò poi al suo destino ritirandosi in cielo.
Secondo la leggenda erano discendenti di Nkaka ya Kisina. Avevano un’organizzazione matriarcale e ricorrevano al dialogo per risolvere i conflitti. Il Mani Kongo o Mwene Kongo, il re scelto da 12 clan, viveva nella capitale Mbanza Kongo. Avevano una moneta chiamata nzimbu, costituita da conchiglie che venivano usate negli scambi commerciali. Il capo militare era chiamato ntinu, mentre il mfumu si occupava delle questioni sociali.
Dal XIV al XIX secolo il Regno del Congo dominò l’area corrispondente agli attuali stati dell’Angola e della Repubblica Democratica del Congo. Formalmente indipendente, dalla fine del XVI secolo subì sempre di più l’influenza del Portogallo, che ne minacciò l’integrità territoriale per espandere le proprie colonie.
E in effetti il primo europeo a visitare il Regno del Congo fu l’esploratore portoghese Diego Cão, un evento che segnò una svolta fondamentale per tutta l’Africa; arrivato in cerca di schiavi tra il 1482 e il 1483, rimase molto colpito dall’organizzazione dei Bakongo. Durante la sua permanenza in Congo Cão rapì alcuni membri della nobiltà del regno, portandoli come prigionieri in Portogallo. Nel 1491, quando Cão riportò gli ostaggi, il re Nzinga a Nkuwu accettò di convertirsi al cristianesimo e venne battezzato con il nome di João I.
Nonostante le proteste del re, i Portoghesi rapivano i giovani per portarli come schiavi nelle piantagioni in Brasile. Utilizzarono anche le divisioni già esistenti nel regno per accelerare il suo declino, creando molti regni vassalli, fornendo loro armi di cattiva qualità e firmando alleanze con alcuni capi per alimentare le guerre interne.
Immagine della capitale del Regno del Congo pubblicata nel 1668 da Olfert Dapper
Una svolta arrivò con Nzingha Mbande, regina di Ndongo e Matamba, due regni corrispondenti all’attuale Angola. Figlia del re Kiluanji Ngola e dalla sua seconda moglie Kangela, nacque nel 1581 con il cordone ombelicale avvolto intorno al collo e una sapiente predisse che sarebbe diventata regina, una novità assoluta per quei tempi. Fin dall’inizio il padre vide in lei le caratteristiche del vero capo e favorì la sua istruzione in vari campi: le insegnò ad andare a cavallo e a combattere, la sollecitò a studiare il portoghese e l’olandese e ad apprendere le arti della diplomazia e del commercio.
Il re Kiluanji cercò per tutta la vita di resistere all’invasione europea – a quell’epoca i Portoghesi avevano aperto porti per la tratta degli schiavi in varie parti dell’Africa ormai da cento anni. Alla sua morte gli succedette il figlio Mbande, che nel 1622 nominò Nzingha ambasciatrice e la mandò a Luanda, attuale capitale dell’Angola e a quei tempi porto principale per l’imbarco degli schiavi, per incontrare il governatore João Correia de Sousa e firmare un trattato di pace.
Il vero piano di Nzingha però era quello di cacciare i Portoghesi. Al suo arrivo a Luanda la popolazione l’accolse con grande gioia, ma il governatore per insultarla la invitò a sedersi per terra. Per dimostrare che non avrebbe negoziato da una posizione di inferiorità, lei sedette sulla schiena di una serva che si era messa a quattro zampe. Riuscì a raggiungere un accordo, i cui termini però non vennero rispettati dai portoghesi. Per una questione tattica si convertì al cristianesimo, prendendo il nome di Ana de Souza. Dopo il suicidio del fratello, nel 1623, a 42 anni, divenne regina e abbandonò il nome cristiano.
Ritratto di Nzingha, François Villain, litografo
Da allora e fino alla sua morte, avvenuta nel 1663, a 82 anni, Nzingha si dedicò a combattere i Portoghesi e la schiavitù. Offrì rifugio agli schiavi fuggiaschi e costituì un esercito in cui c’era posto anche per le donne. Sviluppò una nuova forma di organizzazione militare detta kilombo, in cui i giovani venivano allontanati dalle famiglie e crescevano in milizie comunitarie e strinse alleanze con popoli vicini, come gli Imbangala. Si alleò anche con gli Olandesi per combattere i Portoghesi, ma scoprì presto che erano anch’essi pronti a tradire promesse e trattati e volevano solo schiavizzare i popoli africani.
Con la sua forza, dignità, orgoglio, acume e intransigenza Nzingha divenne un simbolo della resistenza africana alla penetrazione europea e una fonte d’ispirazione per tutti quelli che scelsero di lottare contro il colonialismo e la schiavitù.