*Ìlaqatun ãtifiya bahta

Le relazioni tra la Turchia e Israele in questi ultimi quindici anni hanno attraversato diverse fasi. Anche se apparentemente sembra che il governo turco composto dal Partito dello Sviluppo e della Giustizia (AKP) sia quasi l’unica realtà governativa tra i paesi arabi e/o musulmani ad alzare la voce, dietro le quinte le cose non sono proprio come sembrano.

Inizio carriera

Nel lontano 2004, durante la sua visita negli Stati Uniti, l’attuale Presidente della Repubblica di Turchia riceveva il premio Profiles of Courage dal Comitato degli Ebrei degli Stati Uniti (American Jewish Committee), realtà fondata nel 1906 per difendere i diritti di tutti gli ebrei nel mondo. Il 28 marzo dello stesso anno per la prima volta il Partito dello Sviluppo e della Giustizia (AKP) vinceva le elezioni amministrative portando a casa la maggior parte delle municipalità del paese, con il 41% dei voti. Aveva appena compiuto due anni ed erano passati due anni dall’arrivo al potere dopo la coalizione di centro-sinistra governata dall’ex primo ministro Bulent Ecevit.

Il 2004 era anche l’anno dell’incidente ferroviario di Pamukova. Il primo notevole tentativo di una linea ad alta velocità in Turchia nel giorno della sua inaugurazione si concludeva con la morte di 41 persone. Il comitato scientifico costituito dopo l’incidente attirò l’attenzione sul fatto che la linea non fosse adatta per un treno ad alta velocità. Mentre in prima pagina il quotidiano nazionale Milliyet usava questo titolo: “Sono morti grazie ad un atto di sciovinismo”, l’ex primo ministro Recep Tayyip Erdogan commentava così l’incidente: “Incidenti del genere accadono da tutte le parti nel mondo”. All’epoca il Ministro dell’Infrastruttura era l’attuale primo ministro, Binali Yildirim. L’ex ministro non si è dimesso ed è rimasto al suo posto fino al 2007.

Contatto diretto

Pochi anni dopo, nel 2007, l’ex presidente di Israele, Shimon Peres, teneva un discorso nel Parlamento nazionale turco diventando così il primo presidente israeliano a fare una cosa del genere. Solo due anni dopo, nell’ambito del Forum economico mondiale (WEF), l’ex Primo Ministro della Turchia, in un dibattito riguardo alle recenti operazioni militari di Israele, si rivolgeva con queste parole a Peres: “Signor  Peres, lei è più anziano di me. La sua voce ha un tono molto alto. E questo tono ha a che fare con una coscienza colpevole. La mia voce, invece, non verrà fuori con lo stesso tono. Quando viene momento di uccidere, sapete bene come uccidere. Sappiamo bene come avete ucciso i bambini sulle spiagge”. Così l’ex primo ministro di Turchia raccoglieva le sue carte e usciva dalla sala per far ritorno nel suo paese, dicendo: “Davos, per me, è finito”.

Grazie all’esperienza a Davos, il leader dell’AKP passava come “il difensore dei palestinesi”, non solo in Palestina ma anche nella maggior parte dei paesi a maggioranza araba e musulmana. Forse anche nei cuori di una notevole parte delle sinistre europee. Tuttavia meno di mezz’ora dopo si presentava davanti le telecamere per dire queste parole: “Con il mio intervento non ho preso di mira né il popolo d’Israele né il Presidente della Repubblica Peres e nemmeno il popolo ebraico. Mi sono semplicemente arrabbiato con il moderatore del dibattito.”

Difficoltà interne, cambiamento di alleanze

Il 2009 segnò l’inizio di una serie di maxi processi  – Ergenekon, Balyoz ed OdaTv – che coinvolgevano politici, giornalisti, avvocati, poliziotti ed alti ufficiali dell’esercito. Anche se nel 2016 i processi vennero definiti “fasulli” dal sistema giudiziario, all’epoca l’ex primo ministro li difese con queste parole: “Io sono il procuratore di questi processi”. In un’occasione pubblica nel 2009 in Belgio difese anche il capo procuratore Zekeriya Oz dicendo: “Dovete rispettare questo procuratore importante, che ha portato avanti un processo di grande pulizia e trasparenza in Turchia”.

Nel 2015 questi maxi processi vennero definiti dei complotti ideati dalla comunità religiosa Hizmet, realtà guidata dall’ex imam Fethullah Gulen, in seguito accusata di essere dietro il fallito tentativo di colpo di stato del 2016. Grazie alla crescita del conflitto tra la comunità Hizmet ed il governo dopo un breve periodo di grande alleanza, alcuni personaggi vennero accusati di appartenere a questa comunità. Così anche Zekeriya Oz è stato allontanato dal suo posto di lavoro, ed in pochi mesi è stato emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. L’ex procuratore speciale dei maxi processi molto probabilmente si trova in Germania.

Mavi Marmara

Ovviamente non si può dimenticare il caso Mavi Marmara. Il 31 maggio del 2010 una flottiglia di attivisti pro-palestinesi, conosciuta come la Freedom Flotilla per Gaza, trasportava aiuti umanitari ed altre merci. L’obiettivo principale della spedizione era quello di tentare di violare il blocco israeliano di Gaza. Tuttavia la flottiglia è stata intercettata da forze navali israeliane nelle acque internazionali del Mar Mediterraneo e con un intervento militare sono stati uccisi 10 passeggeri e ne sono rimasti feriti 54. Le dinamiche di questo episodio sono tuttora piuttosto oscure, ma i punti chiari sono le posizione del governo in Turchia.

L’ex primo ministro Recep Tayyip Erdogan in un suo intervento presso il gruppo parlamentare dell’AKP accusava lo stato d’Israele di terrorismo e continuava così: “Israele ha le mani sporche di sangue. Quello che è accaduto è contro le leggi internazionali e deve essere punito”. Il 18 luglio del 2014, davanti alle telecamere parlava in questo modo dell’interruzione dei rapporti diplomatici: “Finché ricopro questo ruolo, non posso pensare a nulla di positivo con Israele. Finché siamo al potere non possiamo avere una visione positiva di Israele”.

L’autorizzazione di proseguire con la missione data alla flotta era uno dei punti dolenti della faccenda. Il 16 luglio del 2014, in una cena di fine digiuno nel mese di Ramadan ad Istanbul organizzata dall’associazione Dostluk Dernegi, Erdogan si definiva colui che aveva autorizzato la missione.

Rappacificazione

Con il passare del tempo le posizioni del Partito dello Sviluppo e della Giustizia e dei suoi vertici hanno subito una notevole evoluzione. Nel dicembre del 2015 grazie ad un accordo bilaterale la crisi turca-israeliana è stata ufficialmente archiviata. Israele avrebbe risarcito con 20 milioni di dollari le famiglie delle vittime, si sarebbero esclusi nuovi processi per ottenere ulteriori risarcimenti da parte di cittadini turchi, la Turchia avrebbe inviato degli aiuti umanitari per il popolo palestinese, consegnandoli ai responsabili israeliani presso il Porto di Asdod e gli ambasciatori dei due paesi avrebbero continuato a svolgere il loro lavoro come prima. L’accordo prevedeva anche la limitazione delle attività di Hamas in Turchia e l’espulsione di un suo membro,  Salih El Aruri, accusato di aver rapito e ucciso dei soldati israeliani. L’ultimo punto dell’accordo era puramente commerciale e riguardava l’acquisto del gas israeliano da parte della Turchia e la sua vendita all’Europa tramite la Turchia.

Mettiamoci una pietra sopra

Nel giugno 2016, in una cena di fine digiuno durante il Ramadan organizzata presso il palazzo presidenziale, parlando del caso Mavi Marmara Erdogan diceva: “Avete per caso sentito il Primo Ministro prima di portare degli aiuti umanitari dalla Turchia verso Israele? Noi comunque mandavamo degli aiuti umanitari. Quello che avete fatto è un gesto di sciovinismo”. Il Presidente della Repubblica di Turchia si rivolgeva con queste parole all’ong IHH,  che era tra gli organizzatori e gli sponsor della flotta. Le stesse critiche sono state fatte in televisione anche dall’ex Vice Primo Ministro Bulent Arinç.

Il cambio di posizione del governo sul caso Mavi Marmara e nei confronti dell’organizzazione IHH potrebbe  avere diverse motivazioni, ma va ricordato che il fallito tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016 ha fatto sì che il governo AKP cambiasse posizione riguardo a numerose questioni politiche ed economiche interne ed esterne. Tra queste potrebbe esserci anche il caso Mavi Marmara, dato che l’IHH è strettamente legata alla comunità religiosa Hizmet, accusata di essere dietro il fallito tentativo di golpe. In questo contesto va ricordato che nel 2014 il presidente dell’IHH, Bulent Yildirim, aveva fortemente criticato le mancate reazioni del governo AKP durante gli attacchi di Israele alla Moschea di al-Aqsa nei territori occupati.

Collaborazione stretta

In realtà nel 2010 le relazioni tra questi due paesi non si limitavano al caso Mavi Marmara. Poche settimane prima dell’episodio, il governo dell’AKP sostenne a livello internazionale la partecipazione di Israele all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che aveva osteggiato fin dal 2007. Mentre il governo sosteneva che con questo passo Israele sarebbe stato spinto a rispettare numerosi accordi internazionali, l’autorità palestinese lo invitava a cambiare posizione. Numan Kurtulmuş, l’attuale Ministro del Turismo e della Cultura del governo AKP, all’epoca oppositore appartenente a un altro partito politico, definiva così il caso: “Si tratta del più grande successo diplomatico che Israele abbia mai ottenuto . E questo grazie alla Turchia”.

Caso Gerusalemme

In un suo intervento del 2017, il parlamentare nazionale Eren Erdem, appartenente al partito di opposizione CHP, mostrava alcuni documenti importanti. Nelle pagine riguardanti l’accordo sul caso Mavi Marmara Gerusalemme veniva chiaramente indicata come la capitale di Israele; eppure nel dicembre dello stesso anno  Erdogan  l’aveva definita la “linea rossa dei musulmani” , parlando della decisione di trasferire l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme.

Un’anomalia del genere è stata registrata  anche nell’incontro straordinario dell’Organizzazione della cooperazione islamica, che si è tenuto a Istanbul nel dicembre del 2017. Nella dichiarazione finale teoricamente la città di Gerusalemme sarebbe stata riconosciuta come la capitale della Palestina, ma in realtà questo riconoscimento riguardava solo Gerusalemme Est. Nel testo tradotto in turco questo dettaglio è stato manipolato, così la maggior parte dei media main stream in Turchia non ha esitato ad applaudire l’operato del governo.

Una relazione totalmente sentimentale

Oggi si parla di nuovo delle posizioni del Partito dello Sviluppo e della Giustizia nei confronti del governo d’Israele. Mentre nella maggior parte dei cosiddetti paesi arabi e musulmani esiste un’idea collettiva di apprezzamento verso l’AKP e il suo leader, i numeri ed i fatti storici raccontano un’altra storia.

Per esempio nel 2004 il rapporto tra l’import e l’export tra questi due paesi aveva una differenza positiva di 601 milioni di dollari statunitensi; nel 2017 questa cifra saliva a 4 miliardi.

Ovviamente questo volume in crescita si basa su due pilastri importanti –  energia e armi. Nel 2015 un articolo del Financial Times specificava che quasi il 77% del petrolio utilizzato in Israele proveniva dall’autorità locale curda nord irakena. Il punto importante dell’approfondimento riguardava il ruolo della Turchia, che avrebbe fatto da tramite tra questi due paesi.

Rispetto al commercio delle armi la recente dichiarazione di Amikan Norkin, comandante delle forze aeree dell’esercito israeliano, può essere utile per chiarirsi le idee. Il 22 maggio del 2018 Norkin ha comunicato che Israele è stato il primo paese al mondo a usare gli aerei F-35 in un contesto di guerra, nella penisola del Sinai in Egitto e sul territorio nazionale del Sudan. Nel dicembre del 2016 l’esercito israeliano aveva ordinato 50 aerei. Gli F-35 sono il risultato di una collaborazione internazionale che coinvolge nove paesi, tra cui anche la Turchia.

In questi giorni di grande tensione forse è stato il quotidiano nazionale Haaretz a riassumere al meglio le posizioni del governo turco: “Anche se si arrabbia così tanto con Israele, il Presidente della Repubblica di Turchia non ha mai ostacolato l’andamento degli affari”.