Uno spazio di riflessione in occasione della presentazione di “Ordalie. Memorie e Memoriali per la Pace e la Convivenza”.

 

Tanti segnali hanno portato la riflessione, condotta nell’ambito dell’incontro “Memorie e Memoriali per la Pace e la Convivenza”, tenuto lo scorso 23 maggio nello splendido scenario del Complesso Monumentale di Santa Maria la Nova a Napoli, assai vicina non solo alla mente, ma anche al cuore dei presenti. Un pubblico plurale nella sua composizione e, con ogni probabilità, anche nell’interesse che ha portato ciascuno e ciascuna a prendere parte all’evento e nella sensibilità con cui ha inteso cogliere ora l’uno ora l’altro dei temi posti al centro della conferenza. Un lavoro ricco e prezioso, di riflessione e di approfondimento, è stato infatti sviluppato dalle relatrici coinvolte, che hanno animato un confronto pubblico in più tratti appassionante e che hanno saputo dialogare in maniera “correlata”, con una continuità di temi e di spunti che hanno, alla fine, reso la conferenza una sorta di continua digressione sul tema grande della convivenza, quindi, in particolare, dell’amicizia tra i popoli e della costruzione della pace, a partire dai patrimoni culturali e dai luoghi della memoria collettiva, specie in relazione al loro portato storico e simbolico.

L’ex Jugoslavia, in particolare la Serbia, la Serbia centrale e meridionale, il Kosovo, sono particolarmente ricchi di luoghi memoriali in senso lato: patrimoni culturali, alcuni dei quali inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità e, in alcuni casi, in pericolo, come, ad esempio, gli splendidi monasteri di Gračanica e Dečani, in Kosovo; e luoghi della memoria, punti di sedimentazione delle memorie collettive, ma anche istanze, occasioni, emergenze di formazione di memorie sociali, attorno alle quali non solo si scolpisce un carattere, un valore, un’ideologia che intende informare di sé quella memoria, ma si esercitano anche i poteri costituiti con l’intento di forgiare una narrazione ufficiale, un utilizzo della storia a proprio uso e consumo. Su questi temi, a partire dalla ricerca-azione condensata nel volume dal titolo “Ordalie. Memorie e Memoriali per la Pace e la Convivenza” (Napoli, 2017), del quale la conferenza è stata anche occasione di presentazione, gli spunti, talvolta problematici, non potevano mancare e in effetti sono stati numerosi.

Il binomio cultura-violenza è, a tutti gli effetti, uno dei più problematici e provocanti nello stesso tempo: le forme della violenza culturale sono infatti tra le più antiche e dolorose, tra quelle che si sperimentano nel contesto del conflitto violento, e intervengono sistematicamente a montare pregiudizi e costruire stereotipi, narrazioni negative o disumanizzanti, ma anche ad aggredire i luoghi della memoria e i patrimoni culturali del nemico percepito, con lo scopo di violarne la memoria e di distruggerne la soggettività, che, soprattutto in relazione alle proprie configurazioni identitarie, proprio in quei luoghi si rappresenta e si manifesta. Questo spiega, insieme con altre istanze e motivazioni, la particolare distruttività con cui la violenza, in particolare nei conflitti di natura etno-politica, si scatena contro simboli e narrazioni, contro chiese e monasteri, contro monumenti e luoghi di culto, proprio al fine di colpire il nemico percepito nella sua più vitale, intima e profonda identità, in quanto più significativamente lo identifica nel suo profilo socio-culturale. Nella sua relazione, è stata Manuela Marani a ricordare ai presenti e alle presenti la distruzione della Biblioteca di Sarajevo, nella Monumentale Vječnica, con cui la guerra di Bosnia subì la sua definitiva accelerazione.

«S’alzano i roghi al cielo / s’alzano i roghi in cupe vampe; / brucia la biblioteca degli Slavi del Sud, / Europei dei Balcani / bruciano i libri / possibili percorsi, le mappe, le memorie, / l’aiuto degli altri». Così “Cupe Vampe” dei CSI. Non solo “memoria”, ma anche “relazione”, che, della costruzione della memoria collettiva è, a ben vedere, presupposto. Come ha ricordato infatti Dorotea Giorgi, si può ri-costruire un ponte (ad esempio a Mostar, ma anche a Mitrovica), ma è ben più difficile ricostruire la convivenza, che richiede una volontà attiva, aperta, disponibile; e la stessa dinamica di confine, sia come immagine del confine sia come vita di confine, va oltrepassata per consentire una relazione attraverso il confine, l’incontro e l’intesa, lo scambio e il meticciato. Riprendendo Galtung: l’arte che è capace di creare solidarietà e ponti tra le culture. La “mediazione”, su cui si è soffermata, in particolare, Maria Teresa (Maite) Iervolino, viene così ad assurgere a strumento di relazione solidale e costruttiva, nel mediare il contenuto culturale di un dato patrimonio memoriale per renderlo fruibile e trasmissibile attraverso le culture e nel costruire ponti di conoscenza reciproca, tra i popoli e le comunità, che possano efficacemente aiutare a valicare quei confini e costruire reciprocità.

È anche un esercizio democratico, perfino, nella costruzione di spazi di intesa e di cooperazione, di «diplomazia di pace», sulla quale ha richiamato l’attenzione la Console Generale a Napoli del Venezuela, Amarilis Gutierrez Graffe. Se le prospettive della riconciliazione e della convivenza, come ha ricordato Rosanna Morabito, nella regione, e in particolare in Kosovo, restano ardue e problematiche, anche per il retaggio lungo di una storia di dissidi e di controversie e per la compresenza di vivaci fermenti culturali e antiche pratiche ancestrali, è l’intero Mediterraneo, «spazio continuo di città e comunità, di conflitti e attraversamenti», a essere segnato, oggi più che mai, da queste dinamiche. Ancora nella relazione di Immacolata Caruso, così i Balcani, come, per altri versi, il Mediterraneo, restano, al tempo stesso, il nostro spazio di prossimità e il luogo immaginato dell’alterità, dove vicino e lontano sovente si confondono, dove la vicenda migratoria assume contorni troppo spesso drammatici se non allarmanti, e dove si dipanano, infine, mille sperimentazioni multi-culturali e inter-culturali e le sfide dell’accoglienza e della convivenza.