Diritti umani, disuguaglianza, paradisi fiscali, rifugiati, militarismo, cambiamento climatico. Un appello per un mondo migliore al centro del discorso tenuto l’8 dicembre a Ginevra dal leader laburista britannico.

… Grazie per l’invito a parlare nello storico Palais des Nations a Ginevra, una città che è stata un luogo di rifugio e filosofia fin dai tempi di Rousseau. Prima della seconda guerra mondiale  era la sede della sfortunata Società delle Nazioni e ora ospita le Nazioni Unite.

Poter parlare qui è un privilegio speciale, perché lo statuto del nostro partito comprende un impegno a sostenere le Nazioni Unite, una promessa di “garantire a tutti pace, libertà, democrazia, sicurezza economica e protezione ambientale.”

Vorrei anche ringraziare gli altri oratori,  Arancha Gonzalez e Nikhil Seth e la procuratrice generale del governo ombra Shami Chakrabarti, che mi ha accompagnato qui, una formidabile attivista e una grande risorsa per il movimento internazionale per i diritti umani. E infine vorrei ringraziare tutti voi di essere qui oggi.

Mentre ci avviciniamo alla Giornata Internazionale dei Diritti Umani, vorrei concentrarmi sulle maggiori minacce che incombono sulla nostra comune umanità e sulle ragioni per cui, se vogliamo affrontare e sventare tali minacce, gli stati devono sostenere una vera cooperazione internazionale, i diritti umani individuali e collettivi, sociali ed economici, legali e costituzionali in patria e all’estero.

Il mio paese si trova davanti a un bivio. La decisione del popolo britannico di lasciare l’Unione Europea nel referendum dell’anno scorso significa che dobbiamo ripensare al nostro ruolo nel mondo.

Alcuni vogliono usare la Brexit per ripiegarsi su se stessi, rifiutando il mondo esterno e vedendo tutti gli altri come temuti concorrenti. Altri vogliono utilizzarla per accentuare al massimo le insicurezze e le disuguaglianze dell’attuale sistema economico, trasformando la Gran Bretagna in un paradiso fiscale senza regole per le multinazionali, con salari da fame, diritti limitati e tagli ai servizi pubblici, in una distruttiva gara al ribasso. Il mio partito vuole un futuro del tutto diverso per il momento in cui lasceremo l’Unione Europea, basato sulle migliori tradizioni internazionaliste del movimento laburista e del nostro paese.

Vogliamo stretti rapporti di collaborazione con i nostri vicini europei e con i paesi al di fuori dell’Europa, basati sulla solidarietà, il vantaggio reciproco e il commercio equo, insieme a un internazionalismo globale più ampio e dinamico. Siamo fieri del fatto che la Gran Bretagna sia stata il primo paese firmatario della Convenzione Europea dei Diritti umani e che la legge sui diritti umani del 1998 l’abbia inserita nelle nostre norme.

Come laburisti continueremo a lavorare con altri Stati europei, partiti progressisti e movimenti attraverso il Consiglio d’Europa, per assicurarci che il nostro e altri paesi rispettino i loro obblighi internazionali, così come il lavoro del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU aiuta a far sì che paesi come il nostro siano all’altezza degli impegni per esempio sui diritti dei disabili, che il rapporto di quest’anno ha giudicato insufficienti.

La collaborazione internazionale, la solidarietà e l’azione collettiva sono i valori che vogliamo infondere alla nostra politica estera. Questi valori saranno alla base di tutto ciò che il prossimo governo laburista farà sulla scena mondiale, usando la diplomazia per ampliare un sistema internazionale progressista e basato sulle regole, per dare a tutti giustizia e sicurezza. Per ottenere un appoggio e una fiducia globali le regole devono essere veramente universali e riguardare sia i forti che i deboli. Non si possono usare per disciplinare i deboli, mentre i forti fanno quello che vogliono, o verranno screditate come uno strumento al servizio del potere e non della giustizia.

Per questo dobbiamo fare in modo che i potenti sostengano e rispettino le regole internazionali e il diritto internazionale. Se non lo faremo, gli ideali della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 resteranno un’aspirazione, più che una realtà e le regole internazionali verranno considerate una specie di optional per i poteri globali dominanti.

E’ urgente lavorare con altri paesi per far avanzare la causa dei diritti umani e affrontare le quattro minacce più grandi e interconnesse che incombono sulla nostra comune umanità.

Primo, la crescente concentrazione di ricchezza e potere al di fuori di ogni controllo nelle mani di una minuscola elite corporativa, un sistema che molti chiamano neo-liberismo e ha accentuato la disuguaglianza, l’emarginazione, la insicurezza e la rabbia in tutto il mondo.

Secondo, il cambiamento climatico, che sta creando instabilità, alimentando conflitti e minacciando il nostro futuro.

Terzo, il numero senza precedenti di persone che fuggono da conflitti, persecuzioni, abusi dei diritti umani, crisi sociali e disastri climatici.

E infine l’uso dell’azione militare unilaterale e degli interventi al posto della diplomazia e dei negoziati per risolvere le dispute e cambiare i governi.

Il sistema economico globale è fallito. Sta producendo un mondo in cui pochi ricchi controllano il 90% delle risorse globali. Un mondo di insicurezza crescente e di livelli grotteschi di disuguaglianza tra le nazioni e al loro interno, dove si calcola che oltre 100 miliardi di dollari ogni anno vengano persi per i paesi in via di sviluppo grazie all’evasione fiscale. Un mondo dove mille miliardi di dollari all’anno vengono sottratti al sud del mondo attraverso flussi finanziari illegali. Questo è uno scandalo globale. Le multinazionali più potenti non possono continuare a determinare come e per chi funziona il mondo.

Trent’anni dopo la devastazione causata dai primi programmi di adeguamento strutturale e dieci anni dopo la crisi finanziaria del 2008, l’ortodossia neo-liberista che li ha realizzati sta crollando. Questo momento, con una crisi di fiducia in un sistema economico e un ordine sociale in bancarotta, presenta un’occasione unica per costruire un nuovo consenso economico e sociale, che dia priorità agli interessi della maggioranza.

Il crollo del sistema globale delle elite e la loro prerogativa di incontrastato dominio hanno portato alcuni politici ad alimentare la paura e le divisioni e a deridere la cooperazione internazionale, presentandola come una capitolazione nazionale. Lo sciagurato Muslim Ban e la retorica anti-messicana del Presidente Trump hanno alimentato il razzismo e la misoginia e distratto da tutto quello che la sua amministrazione al servizio di Wall Street sta facendo.

In Gran Bretagna,  dove nell’ultimo decennio i salari sono scesi per la maggior parte della gente, mentre le multinazionali e i ricchi hanno beneficiato di enormi tagli fiscali, il nostro Primo Ministro ha adottato un approccio meno estremo, ma che punta comunque a distogliere l’attenzione dai fallimenti e dal vero programma del suo governo.

Theresa May minaccia di eliminare la legge sui diritti umani, che garantisce i diritti civili e politici del nostro popolo ed ha beneficiato tutti nel nostro paese. “Se credi di essere un cittadino del mondo, non sei un cittadino da nessuna parte”, ha dichiarato.

Esiste un’alternativa a questo sistema dannoso e in bancarotta. Non si può lasciare che le banche e le multinazionali più grandi del mondo continuino a dettare le regole e a truccare il sistema a proprio vantaggio. L’economia mondiale può e deve funzionare per il bene comune e per la maggioranza della gente, ma questo richiede cambiamenti reali, fondamentali e strutturali a livello internazionale.

Le Nazioni Unite hanno un ruolo centrale da giocare per ampliare un nuovo consenso e una convergenza basati sulla solidarietà, il rispetto per i diritti umani e le regole e la collaborazione internazionali. Questo significa che i leader democratici devono dire la verità riguardo ai poteri senza controllo.

Un’occasione del genere si è presentata il 4 dicembre 1972, quando il presidente cileno Salvador Allende, eletto nonostante una furiosa opposizione e l’interferenza degli Stati Uniti, tenne un discorso davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Allende lanciò un appello per un’azione globale contro la minaccia rappresentata dalle multinazionali che non rispondono a nessuno Stato, Parlamento od organizzazione a cui stia a cuore l’interesse comune. Nove mesi dopo Allende venne ucciso durante il golpe del Generale Augusto Pinochet, a cui seguì una brutale dittatura durata 17 anni, che trasformò il Cile in un laboratorio della versione più fondamentalista del libero mercato.

Sono passati 45 anni e dovunque nel mondo la gente sta dicendo basta allo sfrenato potere delle multinazionali, libere di evadere le tasse, appropriarsi di terre e risorse pagandole al ribasso e distruggere forza lavoro e comunità.

Per questo oggi prendo davanti a voi l’impegno che il prossimo governo laburista britannico sosterrà con decisione gli sforzi del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti umani di creare un trattato vincolante che sottoponga le multinazionali al diritto internazionale. Le attività delle loro filiali e dei loro fornitori devono essere trasparenti. Bisogna farla finita con l’impunità per le multinazionali che violano i diritti umani o distruggono l’ambiente, come nei conflitti per i minerali nella Repubblica Democratica del Congo.

Troppo a lungo lo sviluppo è stato dominato dall’infondato dogma secondo cui i mercati senza regole e le multinazionali che non devono rendere conto a nessuno costituiscono la chiave per risolvere i problemi globali. Nel prossimo governo laburista il Ministero dello Sviluppo Internazionale avrà la missione non solo di sradicare la povertà, ma anche di ridurre la disuguaglianza in tutto il mondo.

Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo agire contro lo scandalo globale dell’evasione fiscale e delle attività commerciali senza l’emissione di fattura o documentazione, che derubano i paesi in via di sviluppo e sottraggono risorse ai nostri servizi pubblici. Si calcola che solo in Africa vengano persi ogni anno 35 miliardi di dollari per l’evasione fiscale e 50 per flussi finanziari illegali – molto di più dei 30 degli aiuti internazionali. Come i Paradise e Panama Papers hanno dimostrato, non ci si può aspettare che i super-ricchi e i potenti si regolino da soli.

Le multinazionali devono fornire rapporti paese per paese e le nazioni del sud del mondo hanno bisogno di appoggio per tenersi i miliardi sottratti alla loro gente. Il prossimo governo laburista lavorerà con le autorità fiscali dei paesi in via di sviluppo, come ha fatto la Zambia con la NORAD – l’ente per gli aiuti norvegese – per aiutarle a fermare questa rapina.

Il 9 dicembre si celebra la Giornata Internazionale contro la Corruzione. La corruzione non è qualcosa che succede lontano. Il nostro governo ha giocato un ruolo centrale nel consentirle di minare la democrazia e violare i diritti umani. E’ una questione globale che richiede una risposta globale.

Quando la gente è tenuta nella povertà, mentre i politici convogliano i fondi pubblici nei paradisi fiscali, questa è corruzione. Un governo laburista agirà in modo deciso contro i paradisi fiscali, introducendo rigide regole di trasparenza per i possedimenti della Corona e i territori oltremare, compreso un pubblico registro di proprietari, direttori, azionisti e beneficiari per tutte le compagnie e tutti i fondi.

Il cambiamento climatico costituisce la seconda, grande minaccia alla nostra comune umanità. Il nostro pianeta è a rischio. Il riscaldamento globale è innegabile. Il numero di disastri naturali si è quadruplicato a partire dal 1970. Gli uragani come quelli che hanno colpito di recente i Caraibi sono più violenti perché assorbono l’umidità da mari sempre più caldi.

E’ il cambiamento climatico, causato soprattutto dalle emissioni dei paesi più ricchi del mondo, a riscaldare i mari, eppure sono i paesi che inquinano di meno – in genere nazioni in via di sviluppo – a subirne le peggiori conseguenze. E i danni ambientali alimentano l’insicurezza alimentare e gli sconvolgimenti sociali.

Dobbiamo sostenerli in modo solidale. Due mesi fa ho promesso al Primo Ministro di Antigua e Barbuda, Gaston Browne, che avrei usato questo podio per lanciare un chiaro messaggio. La comunità internazionale deve mobilitare risorse e chi più inquina deve assumersi il peso maggiore.

Chiedo dunque ai governi dei paesi che inquinano di più, compreso il Regno Unito, di:

Primo, ampliare la capacità di risposta ai disastri in tutto il mondo. Le nostre forze armate, spesso le meglio addestrate e capaci del mondo, dovrebbero poter usare la loro esperienza per rispondere alle emergenze umanitarie. La Marina italiana per esempio sta diventando una forza più versatile e polivalente.

Secondo, inserire i costi del degrado ambientale nelle previsioni finanziarie, come i laburisti si sono impegnati a fare

Terzo, sostenere con fermezza gli storici accordi di Parigi sul clima.

Quarto, intraprendere passi seri e urgenti per la riduzione e la cancellazione del debito.

Come comunità internazionale dobbiamo agire contro l’ingiustizia per cui paesi che cercano di riprendersi da crisi climatiche che non hanno creato devono anche lottare per ripagare i debiti internazionali.

Vale la pena di ricordare le parole pronunciate nel 1987 da Thomas Sankara, Presidente del Burkina Faso, in un discorso all’Organizzazione dell’Unità Africana, pochi mesi prima di essere a sua volta assassinato in un colpo di stato: “Il debito non si può ripagare: se non lo ripaghiamo i prestatori non moriranno, ma se lo ripaghiamo saremo noi a morire.”

La crescente crisi climatica aggrava il numero già ora senza precedenti di persone che fuggono dai conflitti e dalla disperazione. Oggi ci sono al mondo più rifugiati e sfollati che in qualsiasi altro periodo dalla fine della seconda guerra mondiale.

I rifugiati sono persone come noi, ma a differenza di quanto è successo a noi sono stati costretti dalla violenza, dalla persecuzione e dal caos climatico a lasciare le loro case.

Una delle prove morali più grandi del nostro tempo riguarda il modo in cui rispetteremo lo spirito e la lettera della Convenzione sui Rifugiati del 1951.

Il suo principio di base era semplice: proteggere i rifugiati, eppure dieci paesi, che corrispondono al 2,5% dell’economia globale, accolgono oltre la metà dei profughi del mondo.

E’ ora che i paesi più ricchi si facciano avanti e mostrino la nostra comune umanità. Non farlo significa costringere milioni di siriani a spostarsi all’interno del loro paese distrutto o a lasciarlo. Significa riportare i Rohingya in Myanmar senza garanzie di cittadinanza e protezione dalla violenza dello stato e detenere rifugiati all’infinito in campi disumani come in Papua New Guinea o a Nauru. E lasciare che rifugiati africani vengano venduti come schiavi nella Libia sconvolta dalla guerra.

Questa realtà dovrebbe offendere il nostro senso di umanità e di umana solidarietà.

I paesi europei possono e devono fare di più, mentre il numero di migranti morti nel Mediterraneo continua a crescere.  Dobbiamo anche prendere misure più efficaci contro i trafficanti di esseri umani.

Siamo chiari, però: la risposta a lungo termine è una vera cooperazione internazionale basata sui diritti umani, che affronti alla radice le cause dei conflitti, delle persecuzioni e della disuguaglianza.

Insieme a molti altri ho passato la maggior parte della vita a sostenere la diplomazia e il dialogo rispetto alla guerra e al conflitto. Ho incontrato spesso reazioni ostili, ma rimango convinto che questo sia l’unico modo per fornire a tutti una sicurezza autentica e duratura. Perfino dopo le disastrose invasioni e occupazioni degli ultimi anni oggi assistiamo a una nuova pressione a favore dell’uso della forza militare, come se “America per prima” o “Impero 2.0” fossero la strada che conduce alla sicurezza globale. Io so che in Gran Bretagna la gente non è insensibile alle sofferenze altrui e nemmeno cieca davanti all’impatto e al contraccolpo causati dalle nostre sconsiderate guerre in altri paesi.

Guerre per cambiare regimi, invasioni, interventi e occupazioni in Iraq, Afghanistan, Libia e Somalia sono falliti, hanno devastato paesi e regioni e reso la Gran Bretagna e il mondo un posto più pericoloso. Il governo del Regno Unito difende alcuni diritti umani, ma in altri casi tace, se non è addirittura complice della loro violazione.

Troppi hanno chiuso un occhio davanti agli enormi e flagranti abusi dei diritti umani in Yemen, alimentati dalla vendita di armi all’Arabia Saudita per un valore di miliardi di sterline. L’approccio “non vedo, non sento, non parlo” mina la nostra credibilità e capacità di azione riguardo ad altri abusi dei diritti umani. L’aiuto fornito l’anno scorso dal governo britannico allo Yemen è stato di meno di 150 milioni di sterline – inferiore al profitto delle industrie belliche britanniche che hanno venduto armi all’Arabia Saudita. Che cosa rivela tutto questo sulle priorità del nostro paese, o sul ruolo del nostro governo nel disastro umanitario che flagella lo Yemen?

La nostra credibilità quando parliamo della pulizia etnica dei Rohingya musulmani è gravemente compromessa dagli aiuti forniti dal governo all’esercito di Myanmar.

Il nostro governo sostiene a parole una soluzione globale con due stati del conflitto tra Israele e Palestina, ma non fa niente per porre fine all’oppressione e alla spoliazione dei palestinesi.

Settant’anni fa l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato per creare uno stato palestinese insieme a quello che sarebbe poi diventato Israele. Mezzo secolo dopo che Israele ha occupato la Palestina storica, dovrebbe ispirarsi ad attivisti per la pace come Gush Shalom e Peace Now ed esigere la fine delle violazioni dei diritti umani che i palestinesi subiscono ogni giorno. L’occupazione prolungata e gli insediamenti illegali violano il diritto internazionale e ostacolano la pace. L’annuncio del presidente americano di voler riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, compresi i territori palestinesi occupati, costituisce una minaccia per la pace ed è stato giustamente condannato a livello internazionale. Questa decisione non è solo sconsiderata e provocatoria, ma rischia anche di allontanare ogni prospettiva di risolvere politicamente il conflitto tra Israele e Palestina.

Il discorso tenuto in settembre da Trump all’Assemblea Generale dell’ONU rappresenta una minaccia ancora più ampia alla pace. Il suo attacco al multilateralismo, ai diritti umani e al diritto internazionale dovrebbe preoccuparci seriamente. Non è il momento di rifiutare l’accordo nucleare con l’Iran, un accordo significativo tra l’Iran e un gruppo di potenze mondiali per ridurre le tensioni.

La minaccia non riguarda solo il Medio Oriente, ma anche la penisola di Corea. Perché Pyongyang dovrebbe credere nel disarmo, quando gli Stati Uniti abbandonano l’accordo nucleare con Teheran? Con i loro insulti assurdi e bellicosi Trump e Kim Jong-un minacciano di scatenare un terrificante confronto nucleare. Insieme a quasi tutto il resto dell’umanità, io dico a questi due leader: questo non è un gioco. Fate un passo indietro per allontanarvi dal baratro.

Ormai si sa che i problemi del mondo non si risolvono con la guerra e la violenza. La violenza porta ad altra violenza. Nel 2016 quasi i tre quarti delle morti per terrorismo sono avvenuti in cinque stati: Iraq, Afghanistan, Siria, Nigeria e Somalia. Schieriamoci dalla parte delle vittime della guerra e del terrorismo e trasformiamo in realtà la giustizia internazionale.

Esigiamo che le esportazioni di armi non siano solo legali, ma rispondano anche a obblighi morali. Questo significa non concedere più licenze per l’esportazione di armi se esiste il chiaro rischio che vengano usate per commettere abusi dei diritti umani o crimini contro l’umanità.

Il Regno Unito è uno dei maggiori esportatori di armi, dunque dobbiamo essere all’altezza dei nostri obblighi internazionali e allo stesso tempo cercare modi di convertire la produzione bellica in un’industria socialmente utile e di alto livello tecnologico.

Per questo apprezzo la recente e straordinaria risoluzione bipartisan della Camera dei Rappresentanti americana, che ha riconosciuto il ruolo degli Stati Uniti nella distruzione dello Yemen, compreso il rifornimento in volo degli aerei della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, essenziale nei bombardamenti e nella selezione degli obiettivi e ha reso esplicito il fatto che il Congresso non ha autorizzato questo coinvolgimento militare.

Lo Yemen costituisce una disastrosa catastrofe umanitaria, con la peggiore epidemia di colera della storia.  Il peso dell’opinione della comunità internazionale deve costringere i sostenitori della guerra dell’Arabia Saudita in Yemen, compreso il governo di Theresa May, a rispettare i nostri obblighi legali e morali riguardo alla vendita di armi e a negoziare un cessate il fuoco urgente e una soluzione a questo conflitto devastante.

Se davvero vogliamo sostenere la pace dobbiamo rafforzare il suo mantenimento e la cooperazione internazionale. La Gran Bretagna ha un ruolo importante da svolgere, dopo che negli ultimi anni non ha inviato truppe a sufficienza. Siamo decisi a cogliere l’occasione per diventare una forza positiva a sostegno della pace, della diplomazia e dei diritti umani.

I laburisti investiranno nelle capacità diplomatiche e nei servizi consolari e re-introdurranno i consiglieri per i diritti umani nelle nostre ambasciate in tutto il mondo. I diritti umani e la giustizia saranno al centro della nostra politica estera, insieme all’impegno a sostenere le Nazioni Unite.

L’ONU fornisce una base unica per la cooperazione e l’azione internazionale. Per essere efficace, abbiamo bisogno che gli Stati membri appoggino il progetto di riforma delineato dal Segretario Generale Guterres.

Il mondo esige che il Consiglio di Sicurezza risponda, diventi più rappresentativo e svolga il ruolo per cui è stato costituito riguardo alla pace e alla sicurezza.

Possiamo vivere in un mondo più pacifico. Il desiderio di aiutare a creare una vita migliore per tutti arde dentro di noi. Governi, società civile, movimenti sociali e organizzazioni internazionali possono contribuire a realizzare questo obiettivo.

Dobbiamo raddoppiare gli sforzi per creare un sistema globale basato su regole che si applicano a tutti e che lavori per la maggioranza e non per pochi.

Basta bombardare prima e pensare e parlare dopo.

Basta con il doppio standard in politica estera.

Basta usare le istituzioni globali come capro espiatorio per ottenere vantaggi politici nel proprio paese.

Abbiamo bisogno di solidarietà, calma e cooperazione.

Insieme possiamo:

  • Costruire un nuovo sistema sociale ed economico basato sui diritti umani e la giustizia.
  • Garantire la giustizia climatica e un modo migliore di vivere insieme su questo pianeta.
  • Riconoscere l’umanità dei rifugiati e offrire loro un posto sicuro.
  • Lavorare per la pace, la sicurezza e la comprensione.

La sopravvivenza della nostra comune umanità non richiede niente di meno.

Dobbiamo riconoscere e rendere omaggio ai difensori dei diritti umani in tutto il mondo, pronti a mettere la loro vita a rischio per gli altri. La nostra voce dev’essere la loro voce.

Grazie.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo