Isis e Boko Haram continuano a propagarsi dall’Iraq e Nigeria ai paesi limitrofi, i Talebani riprendono forza in Afghanistan e anche l’Europa nel 2015 è stata teatro di sanguinosi attacchi terroristici come mai prima.

Lo afferma il Global Terrorism Index 2016 (GTI), redatto dall’Institute for Economics and Peace (Iep) e uscito il mese scorso nella sua quarta edizione. “La fine della Seconda Guerra Mondiale ha inaugurato una tendenza storica caratterizzata dalla pace, ma negli ultimi 15 anni abbiamo assistito a progressivo un declino” spiega il ricercatore americano Daniel Hyslop durante la presentazione a Roma del report. Proprio il terrorismo, secondo lo Iep giocherebbe un ruolo importante in questa destabilizzazione generale, nonostante sia spesso più una conseguenza che una causa, tra guerre, conflitti asimmetrici e a bassa intensità, crisi economiche e dei tessuti sociali. E, sebbene la “classifica” globale di quest’anno abbia registrato il 10 per cento di morti in meno per attacchi terroristici rispetto all’ “anno nero” 2014 (29.376 contro 32.765), nel 2015 è salito a 23 il numero di paesi che registrano il loro più alto numero di morti, rispetto al precedente massimo di 17. Tra questi, vi sono la Francia, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Kuwait e Tunisia.

A proposito della Francia, la ricerca ci mostra come proprio nei paesi membri dell’OCSEle morti per terrorismo siano notevolmente aumentate, con 313 morti da 67 attacchi: un aumento di ben il 650 per cento rispetto al 2014. Ventuno dei 34 paesi OCSE hanno sperimentato almeno un attacco terroristico, con la maggior parte dei decessi che si sono verificati in Turchia e in Francia: insieme a Danimarca, Germania e Svezia, questi paesi hanno fatto registrare il bilancio peggiore di sempre. Ma se siamo ancora tutti sconvolti dagli attentati di Parigi e Bruxelles (dato il criterio – usato soprattutto dai media – secondo cui un fatto avvenuto in un luogo geopoliticamente o culturalmente vicino a noi ci colpisce di più rispetto a un evento analogo accaduto più lontano), è anche vero che questi dati vanno rapportati al contesto, e che l’Europa risulta toccata solo marginalmente dal fenomeno: i cinque paesi che nel 2015 sono risultati i più colpiti dal terrorismo sono infatti Iraq, Afghanistan, Nigeria, Pakistan e Siria, che insieme registrano il 72 per cento di tutte le morti per terrorismo del 2015.

Proprio in questi paesi agiscono i gruppi terroristici registrati come i più letali: il primo è Daesh (Isis), che ha rivendicato la responsabilità di 6.141 morti attraverso gli attacchi a più di 250 diverse città, superando così Boko Haram che scende al secondo posto. Entrambe le organizzazioni, però, si starebbero indebolendo sia in Iraq che in Nigeria – a questo è dovuta la diminuzione del 10 per cento dei morti registrata globalmente – probabilmente a causa delle operazioni militari in corso per debellarli. “Il problema è che questi due gruppi si stanno ampliando nei pasi limitrofi – spiega Hyslop –. Boko Haram si è allargato in Niger, Camerun e Ciad, aumentando il numero di persone uccise attraverso il terrorismo in questi tre paesi del 157 per cento. Nel frattempo l’Isis e i suoi affiliati sono risultati attivi in 15 nuovi paesi”. E mentre l’attenzione della comunità internazionale si è intensificata soprattutto su Daesh e le sue attività in Iraq e Siria, lo studio non manca di sottolineare come in Afghanistan i Talebani abbiano fatto registrare l’anno più letale: se il terrorismo qui è aumentato del 29 per cento con 4.502 morti nel 2015, anche le morti sul campo di battaglia sempre per mano dei Talebani sono aumentate del 34 per cento arrivando a oltre 15.000. Al quarto posto, infine, troviamo al-Qaeda, che risulta ridimensionata ma che pure continua a mietere vittime. Tutti insieme, Isis, Boko Haram, Talebani e al-Qaeda risultano responsabili del 75 per cento di tutte le morti legate al terrorismo.

Ma perché alcuni paesi sono più colpiti di altri? Secondo la ricerca, la diffusione del terrorismo in un determinato territorio sarebbe agevolata da una serie di fattori chiave, come la presenza di conflitti, il livello di sviluppo e la violenza politica. L’analisi rileva infatti come il 93 per cento di tutti gli attacchi terroristici tra il 1989 e il 2014 si sia verificato in paesi con alti livelli di terrore sponsorizzato dallo Stato, che implica omicidi extragiudiziali, torture e detenzioni senza processo. Contemporaneamente, oltre il 90 per cento di tutti i decessi per mano terroristica si è verificato in paesi già impegnati in qualche forma di conflitto, sia interno che internazionale. Nei paesi Ocse, invece, in cui nel bilancio hanno avuto un peso anche gli attacchi portati avanti da cosiddetti “lupi solitari”, i fattori più statisticamente significativi sono soprattutto quelli socio-economici come la disoccupazione giovanile, la militarizzazione, i livelli di criminalità, l’accesso alle armi e la sfiducia nel processo elettorale.

Infine la ricerca dello Iep ha analizzato anche i costi determinati dal terrorismo, registrando un impatto economico globale che nel 2015 è costato 89.6 miliardi di dollari. Un numero molto alto in sé, anche se comunque fortemente ridotto rispetto alle altre principali forme di violenza: si tratta infatti di appena l’1 per cento dell’impatto economico globale della violenza, che nel 2015 ha raggiunto ben 13,6 mila miliardi di dollari, ovvero il 13,3 per cento del Prodotto Interno Lordo mondiale. Solo in situazioni di intensa attività terroristica come quella irachena i costi del terrorismo sono risultati molto più significativi, ovvero pari al 17 per cento del PIL nazionale. “Mentre il terrorismo ha un impatto psicologico enorme sulle società che va a toccare, ci sono altre forme di violenza che sono più devastanti – si legge nel report – . I principali conflitti armati hanno provocato nel 2015 molti più morti, nonché la distruzione delle economie. E il tasso globale di omicidi è 15 volte il tasso di mortalità dal terrorismo”. Ma non solo. “Se confrontiamo questi numeri con le spese sostenute per mantenere la pace – conclude Hyslop – vediamo che sono molto, molto ridotte rispetto a quanto si perde a causa dei conflitti. Per la pace non si fa ancora abbastanza”.

Anna Toro