Sabato 2 aprile sala strapiena a Villa Mariani, a Casatenovo, per la serata sui Giusti del Mediterraneo: almeno duecentocinquanta persone tra chi riesce a trovare un posto e chi rimane per tutto il tempo in piedi o seduto per terra. L’incontro si inserisce nel ciclo ”Gente che vive duro”, organizzato dal Sant’Anna Social Club, in collaborazione con i Missionari della Consolata di Bevera e l’assessorato alla cultura del Comune di Casatenovo.

pubblico

Atmosfera intensa, a tratti commovente e drammatica, grazie alle voci di chi sta in prima linea nella difesa dei rifugiati, conosce il tema per esperienza diretta e la condivide con un pubblico attento a partecipe. Agli interventi di Agata Ronsivalle, della Campagna LasciateCIentrare, di Don Mussie Zerai, fondatore e presidente dell’agenzia Habeshia e candidato al Premio Nobel per la Pace e dell’attivista Nawal Soufi, in collegamento via skype dalla Grecia, si aggiungono intermezzi musicali dal vivo grazie a Lorenzo Monguzzi, leader dei Mercanti di Liquore. Modera Daniele Biella,  giornalista e autore del libro ”Nawal, l’angelo dei profughi”.

Agata + Mussie

Si entra subito nel vivo con il racconto di Agata, attiva insieme a Nawal nell’accoglienza ai profughi alla stazione di Catania soprattutto nel 2014 e 2015: un’emergenza ignorata dalle istituzioni, con arrivi quotidiani di centinaia di persone spesso prive di tutto, ustionate dal sole, sporche e senza cambi di pannolini per i bambini. Eppure, sottolinea, non c’è rassegnazione, ma una grande voglia di vivere che si esprime in canti e momenti di condivisione. Agata descrive la felicità di persone che finalmente non devono più camminare sotto le bombe e si sentono libere di respirare e la comunicazione che in qualche modo si instaura tra volontari italiani e profughi siriani o eritrei, pur senza una lingua comune. Sorgono molti problemi con chi cerca di approfittare dei profughi imbrogliandoli sul cambio, vendendo schede telefoniche e biglietti ferroviari a prezzi maggiorati e cercando in tutti i modi di estorcere loro denaro. Gli attivisti sono sempre in lotta con loro, ma alla fine si guadagnano il rispetto di diversi “balordi” e possono contare sull’aiuto e la solidarietà della gente del quartiere.

Il tema dell’umanità presente in tanta parte della società civile viene ripreso da Don Mussie Zerai, che ha vissuto direttamente l’esperienza del rifugiato politico, scappando a 17 anni dall’Eritrea. Un’umanità contrapposta al calcolo meschino e al cinismo di tanti politici dell’Unione Europea, a cui da 15 anni ripete invano la stessa cosa: bisogna prevenire, perché tanti esseri umani non siano costretti ad affrontare sofferenze indicibili nei viaggi che per alcuni “fortunati” finiscono con l’arrivo in Italia e per molti altri si concludono con la morte per i maltrattamenti e le torture, o con l’annegamento nel Mediterraneo. Perché obbligarli a correre tanti rischi e a subire tante violenze, quando si potrebbe aprire un corridoio umanitario, avviare le procedure per la richiesta d’asilo ancora prima dell’arrivo in Europa e facilitare i ricongiungimenti familiari? E invece, per favorire investimenti e interessi economici, l’Europa preferisce stringere il mostruoso e illegale accordo con la Turchia, che sta provocando rimpatri forzati e trasformando i centri per i profughi in prigioni, o con l’Eritrea, dittatura che costringe i giovani a un servizio militare infinito. Su questo punto rivela un fatto gravissimo e passato praticamente sotto silenzio: la Commissione Europea ha ignorato il parere negativo del Parlamento e concesso milioni di euro all’Eritrea per chiudere le sue frontiere.

E qui emerge un punto su cui tutti gli intervenuti insistono: l’importanza di INFORMARE, di raccontare la tragica situazione di guerra e miseria di tanti paesi da cui la gente scappa, di sensibilizzare l’opinione pubblica perché faccia pressione sui politici. Condizionati come sono dagli interessi delle lobbies legate ai poteri forti, alle multinazionali e al complesso militare-industriale, non cambieranno mai da soli. E così l’Europa continuerà a ricavare miliardi dalla vendita di armi, carri armati e bombe, proprio quelle bombe responsabili della distruzione delle case di chi poi cerca rifugio qui.

Non si fugge solo dalla guerra e dalle dittature, però, aggiunge Don Mussie, ma anche dalle carestie che si abbattono sull’Africa, mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Un fenomeno ciclico, che si presenta più o meno ogni dieci anni e che quindi si potrebbe prevedere e prevenire. Un fenomeno non dovuto solo a cause naturali, ma anche al cosiddetto “land grabbing”, con le multinazionali che si impossessano delle terre degli agricoltori per installarvi coltivazioni intensive, per esempio di fiori destinati all’India.

Si riesce a stabilire una connessione Skype con Nawal Soufi; purtroppo si sente male, ma la sua denuncia del fallimento delle politiche europee nei confronti dei profughi, in balia di mafie organizzate che li costringono – a caro prezzo – a viaggi sempre più pericolosi, arriva forte e chiara. Nawal offre anche due immagini di speranza: racconta il momento, a Lesbo, in cui in una macchina cristiani, musulmani ed ebrei pregano insieme perché il gommone che sta arrivando, sballottato dalle onde, riesca ad arrivare a terra e descrive il lavoro di tanti volontari che hanno lasciato studi e lavoro per aiutare i rifugiati nelle isole greche e al confine con la Macedonia.

Daniele Biella introduce una domanda centrale, che riporta la questione sul piano personale:  cosa possiamo fare davanti a  questa situazione? Chiederci: “Chi siamo?”, risponde Don Mussie Zerai. E se la risposta è: “Siamo persone con dignità e diritti”, allora dobbiamo riconoscerli anche agli altri. A quel punto come possiamo chiamarli “clandestini” o “illegali”? Non possiamo nasconderci dietro alle leggi; se non sono giuste per noi, perché dovrebbero esserlo per altri? Le leggi non sono sempre giuste, la storia ce l’ha insegnato, dunque la società civile deve ribellarsi, capire che isolarsi nella “Fortezza Europa” è un’illusione e fare pressione perché le politiche cambino. Accogliere, risponde sintetica Agata Ronsivalle, raccontando poi l’esperienza difficilissima della campagna LasciateCIentrare, i mille ostacoli burocratici opposti a chi vuole entrare nelle strutture dai nomi diversi (CIE, CARA, CAS, SPRAR, Hotspot), ma accomunate, in specifiche situazioni, dal trattamento disumano e dalla violazione dei diritti fondamentali a cui sono sottoposti gli immigrati là rinchiusi.

Daniele Biella mostra poi un sacchettino trasparente pieno di cartoncini con messaggi scritti in tigrino, la lingua parlata in Eritrea e nel nord dell’Etiopia, simile a molti altri trovati dopo i controlli di Frontex e chiede a Don Mussie di tradurli. Si tratta della lettera scritta da un marito alla moglie incinta prima della partenza. Lui le fornisce numeri di telefono da chiamare per chiedere aiuto e la incoraggia a impararli a memoria. Non sa se riusciranno a sopravvivere al viaggio o se verranno separati, arrivando in posti diversi  e teme che lei finisca per partorire prima dello sbarco in Italia, come purtroppo è successo a molte donne. Una storia vera e dolorosa, più eloquente di mille discorsi retorici e ipocriti e di tante fredde statistiche, a conclusione di una serata davvero utile e intensa.