di Luca Kocci

Riabilitare i disertori della Prima guerra mondiale condannati a morte dai tribunali militari italiani. Per primo lo aveva chiesto un gruppo di storici, con un appello indirizzato all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, poi rivolto anche a Sergio Mattarella. Poi si sono mobilitati anche intellettuali, gruppi, riviste e militanti pacifisti. Infine il mondo cattolico: prima 13 preti del Nord Est in occasione della visita di papa Francesco al sacrario militare di Redipuglia del settembre 2014; poi addirittura l’ordinario militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò, in un’intervista all’AdnKronos, il 4 novembre 2014 (v. Adista Notizie n. 41/14 e Adista Segni Nuovi n. 7/15).

Il Parlamento ha ascoltato, e il deputato del Partito democratico Gian Piero Scanu si è fatto promotore – e primo firmatario – di un disegno di legge approvato dalla Camera il 21 maggio 2015 che prevede «la riabilitazione dei militari delle Forze armate italiane che nel corso della Prima guerra mondiale abbiano riportato condanna alla pena capitale»; l’inserimento dei loro nomi «nell’Albo d’oro del Commissariato generale per le onoranze ai caduti» e, «al fine di manifestare la volontà della Repubblica di chiedere il perdono», l’affissione di «una targa in bronzo che ne ricorda il sacrificio» all’interno del Vittoriano di Roma.

Quello stesso ddl è però fermo da tempo a Palazzo Madama. «Il Senato sta indugiando troppo», ha denunciato Scanu in un convegno promosso dal Forum della cultura cristiana che si è svolto lo scorso 24 ottobre nella sede dell’Ordinariato militare in Italia. «Mi auguro – ha proseguito il deputato Pd – che non sia un brutto segnale. Dopo l’approvazione del ddl al Senato, alcuni “sinedri” hanno manifestato la loro insofferenza. Voglio sperare che non sia stato fatto “apostolato” da parte di qualcuno per bloccare la legge».

Scanu non li nomina, ma i “sinedri” a cui si riferisce sono alcuni settori delle Forze armate e lo stesso Ministero della Difesa guidato dalla ex scout Roberta Pinotti, che ha costituito un apposito Comitato tecnico-scientifico di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella Prima guerra mondiale – e si sa che il miglior modo per far impantanare un provvedimento legislativo è quello di affidarlo ad una commissione ad hoc – presieduto dall’ex ministro della Difesa Arturo Parisi e composto per lo più da ufficiali militari. Del resto che le Forze armate e pezzi della Difesa non gradiscano la riabilitazione dei disertori è cosa nota. Pertanto è più che plausibile che mettano in atto iniziative di disturbo che rallentino o collochino la legge su un binario morto.

Sono stati 750 i soldati italiani condannati a morte dai tribunali militari ed effettivamente fucilati per “mano amica” durante la Prima guerra mondiale. A questi vanno aggiunti oltre 300 soldati che hanno subìto una fucilazione sommaria documentata, ma si tratta di una cifra di gran lunga inferiore alla realtà. Un numero complessivo molto più alto rispetto a quello degli altri Stati belligeranti nella Triplice Intesa, che pure combatterono un anno in più rispetto all’Italia: 700 condannati a morte dalla Francia, 300 dal Regno Unito. La ragione la spiega Nicola Labanca, docente di Storia contemporanea all’Università di Siena, intervenuto al convegno: «Nell’Italia del tempo, un consistente pezzo di Paese era contrario alla guerra, ecco perché la repressione fu particolarmente severa». Per loro, a differenza di quello che è accaduto negli altri Paesi – dove sono stati approvate leggi per la riabilitazione (nel Regno Unito, nel 2006) o eretti monumenti commemorativi (Regno Unito, Francia e Germania) –, non c’è spazio nella memoria, per responsabilità sia della politica sia della storiografia. Ora, nel centenario dell’inizio della Prima guerra mondiale, potrebbe essere la volta buona. Sempre che non si scelga ancora una volta l’oblio.

da Adista Notizie n. 38 del 7/11/2015