Sanzioni, guerra psicologica, propaganda, finanziamenti all’opposizione, appoggio a vicini spesso ostili, l’occidente le ha tentate tutte per piegare l’Eritrea. Ma eccola qui, imbattuta e orgogliosa, che progredisce.

Alcuni la definiscono la Cuba africana, o potrebbe essere chiamata anche il Vietnam africano ma la verità è che l’Eritrea non è come nessun altro paese sulla terra ed è felice di restare tale, unica. “Non vogliamo essere etichettati”, mi è detto in continuazione e ogni volta che chiedo se l’Eritrea è un paese socialista. “Guardate Amilcar Cabral, della Guinea-Bissau”, mi dice Elias Amare, uno degli autori e pensatori esperti dell’Eritrea, che è anche Membro Anziano del Centro di Costruzione della Pace nel Corno d’Africa (PCHA). “Cabral diceva sempre: ‘Giudicateci per quello che facciamo sul campo’. Lo stesso può essere applicato all’Eritrea”.

La maggior parte dei leader dell’Eritrea, la maggior parte dei suoi pensatori, o è marxista o almeno in cui cuor suo è molto vicina a ideali socialisti. Ma qui si parla pochissimo di socialismo e quasi non ci sono bandiere rosse. La bandiera nazionale eritrea è al centro di tutto ciò che accade, mentre l’indipendenza, l’autonomia, la giustizia sociale e l’unità dovrebbero essere considerati i pilastri fondamentali dell’ideologia nazionale.

Secondo Elias Amare: “L’Eritrea ha registrato successi, progressi sostanziali, in quelli che le Nazioni Unite definiscono gli ‘Obiettivi di Sviluppo del Millennio’, in particolare garantendo istruzione primaria gratuita a tutti; assicurando l’emancipazione femminile e l’uguaglianza delle donne in tutti i campi. Nell’assistenza sanitaria ha realizzato una spettacolare riduzione della mortalità infantile e anche la riduzione della mortalità da parto. Sotto questo aspetto l’Eritrea è considerata esemplare in Africa; pochi altri paesi hanno realizzato altrettanto. Dunque, nonostante tutti gli ostacoli che il paese affronta, il quadro è positivo”.

“L’Eritrea prosegue sulla via dell’indipendenza nazionale. Ha una visione progressista della costruzione dell’unità nazionale. L’Eritrea è una società multietnica, multireligiosa. Ha nove gruppi etnici e due religioni principali: il cristianesimo e l’islamismo. Le due religioni coesistono armoniosamente e ciò è principalmente dovuto alla cultura di tolleranza costruita dalla società. Non ci sono conflitti o animosità tra i gruppi etnici o i gruppi religiosi. Il governo e il popolo sono attenti a mantenere questa unità nazionale”.

Ma l’Eritrea è davvero un paese socialista? Voglio saperlo; insisto. “Vada a scoprirlo da sé”, mi sento dire ripetutamente.

Vado. Mi è permesso di andare a vedere. Sono portato in luoghi che voglio capire. Mi ci faccio degli amici; amici decisi, istruiti e bene informati.

Pushkin ad Asmara (era in parte eritreo) – (foto di Andre Vltchek)

Pushkin ad Asmara (era in parte eritreo) – (foto di Andre Vltchek)

La propaganda diffusa dall’occidente definisce l’Eritrea uno stato ‘paria’ eremita, chiuso al resto del mondo, militarizzato e oppresso. Ma dopo aver vissuto e aver lavorato sei anni in Africa, sono riuscito rapidamente a rendermi conto che è vero il contrario. In Eritrea costato grande speranza per il paese stesso e per il continente; vedo istruzione, lavoro duro, pianificazione meticolosa di un futuro migliore, vedo un nuovo e sano modello di sviluppo. Ci sono scuole e università nuove di zecca, postazioni sanitarie rurali, cliniche per il cancro e le patologie cardiache, strade che tagliano le montagne accompagnate da pali dell’elettricità. Ci sono dighe che sono utilizzate per l’irrigazione; elementi importanti del progetto della sicurezza alimentare.

L’Eritrea è povera, ma è povera dignitosamente. Ed è chiaro che sta migliorando, i suoi indicatori sociali migliorano. L’alfabetizzazione è aumentata del venti per cento dopo l’indipendenza, nel 1991, (solo del dieci per cento per le donne) in direzione di un previsto ottanta per cento nel 2015. L’aspettativa di vita, secondo il dottor Misray Ghebrehiwet, Consigliere del Ministero della Salute, è salita da 49 a 63 anni, molto alta per gli standard africani. C’è un programma di vaccinazione obbligatoria e gratuita e tutti gli eritrei beneficiano di assistenza medica quasi gratuita, persino di medicinali.

Mi diviene presto chiaro che tutto questo è esattamente il motivo per cui l’Eritrea è emarginata, demonizzata e persino temuta dall’occidente: sta realmente facendo “troppo” per il suo popolo, e troppo poco o nulla per le imprese multinazionali e per l’Impero.

Si rifiuta di accettare ‘aiuto’ e respinge i prestiti. Quello che vuole è rispetto, collaborazione e trattamento da uguale. Vuole investimenti, anche nello strategico settore minerario, ma solo se lo stato mantiene la quota di controllo almeno su una percentuale dal 40 al 50 per cento della produzione mineraria.

***

Quando, alla fine del mio soggiorno, sono stato intervistato dalla ‘ERI-TV’ ho indicato che l’Eritrea è per l’occidente come un virus pericoloso, un’Ebola ideologica antimperialista. Ed è facile capire perché. Questa intera parte dell’Africa è sotto il controllo assoluto e brutale dell’occidente: Somalia e Djibouti, Etiopia, Kenya, Uganda, Ruanda, la Repubblica Democratica del Congo (DRC) e il Sudan del Sud.

E’ principalmente perché questa è una delle parti più ricche del mondo in termini delle sue materie prime; una delle più ricche e perciò una delle più devastate. Soltanto negli ultimi due decenni paesi occidentali, e le loro imprese multinazionali, prevalentemente mediante i loro delegati (stati vassalli come Ruanda, Uganda e Kenya) sono riusciti ad assassinare circa dieci milioni di esseri umani. E in termini di tenore di vita la popolazione di questa parte dell’Africa è chiaramente la più povera della terra.

Presso il confine con l’Etiopia; spettacolare paesaggio dove si nascondevano la popolazione e i combattenti (foto di Andre Vltchek)

Presso il confine con l’Etiopia; spettacolare paesaggio dove si nascondevano la popolazione e i combattenti (foto di Andre Vltchek)

Poi arriva l’Eritrea, che ha combattuto per decenni per la propria indipendenza, e a quel punto pretende che le sue risorse siano usate per dar da mangiare, curare, istruire e dare una casa alla sua gente. Insiste anche che l’intero Corno d’Africa debba godere della libertà e dell’autodeterminazione. Pericoloso, vero? E se i popoli delle vicine Etiopia, Somalia o Repubblica Democratica del Congo cominciassero a prestare attenzione e a rivendicare un tipo simile di società e di governo? E se chiedessero una rete sociale? Se insistessero che, come in Eritrea, i membri del governo andassero semplicemente in giro per strada senza guardie del corpo?

Il dottor Mohamed Hassan, un ex diplomatico etiopico a Washington, Pechino e Bruxelles, e anche parlamentare rappresentante del Partito militante Belga del Lavoro, mi ha spiegato, durante il nostro incontro ad Asmara: “L’Eritrea non è uno stato neocoloniale. L’Eritrea è uno stato indipendente. L’Eritrea non ospita basi militari, forze straniere. L’Eritrea ha la visione, ma non solo per l’Eritrea, anche per la regione. Sta anche promuovendo autonomia e integrazione regionale. Sta anche costruendo sull’ideale ‘usiamo le nostre risorse e costruiamo la nostra indipendenza’. Significa elevare la vita del popolo eritreo, particolarmente nelle aree rurali. Questo approccio è stato considerato in occidente, come ha detto Chomsky, una mela marcia”.

Gli chiedo: è la cosa principale che l’occidente teme? Quello che l’occidente teme è un ‘effetto domino’? Risponde prontamente: “Naturalmente! L’Africa ha circa il cinquanta per cento delle risorse naturali del mondo.  Allora consideri questo: la dirigenza di questo paese. Non ruba. Vive una vita normale, quella della gente comune. Nessuna dirigente di un qualsiasi altro paese dell’Africa vive come la nostra qui. Attraversi il confine: il primo ministro dell’Etiopia, appena deceduto, ha lasciato alla sua famiglia circa otto miliardi di dollari”.

Anche questo, naturalmente, è pericoloso. La corruzione è uno degli strumenti usati dalle potenze straniere per schiavizzare i paesi. Leader corrotti sono facili da manipolare, e di regola essi fanno ben poco per il loro popolo, e tutto per le loro famiglie e per l’Impero.

Massawa tuttora distrutta dalla guerra. (foto di Andre Vltchek)

Elias Amare conferma: “Le grandi potenze non vogliono che l’esempio eritreo sia copiato in Africa. Lo dico di nuovo: l’Africa ha enormi risorse naturali. Le grandi potenze stanno oggi cercando di appropriarsi di tali risorse. Che cosa succederà se altri governi dell’Africa dovessero cercare di seguire l’esempio dell’Eritrea? Decisamente non sarebbe vantaggioso per loro.”

In assenza di un argomento più realistico, le potenze occidentali stanno accusando l’Eritrea di ‘appoggiare il terrorismo’, particolarmente il somalo ‘al-Shabaab’, che risulterebbe operante anche in Kenya,. Ma l’Eritrea non ha un’aviazione in grado di trasportare armi e tra i suoi porti e la Somalia c’è uno dei sistemi di sorveglianza più avanzati della terra: quello di Djibouti, un paese che ospita basi militari statunitensi e francesi.

***

In conseguenza delle sue politiche l’Eritrea sta sperimentando incessanti attacchi ideologici e propagandistici dall’estero; è chiaramente sulla ‘lista dei bersagli’ dell’occidente, sulla stessa lista in cui si trovavano e si trovano paesi come l’Iraq, la Libia e la Siria.

L’occidente sta utilizzando al massimo la sua propaganda tossica al fine di infangare il paese, di confondere il suo popolo e di costringere i più istruiti all’esilio distorcendo i dati e dipingendo il paese come un inferno in terra. Gli Stati Uniti addirittura rilasciano periodicamente visti a quegli eritrei che non sono in possesso di un passaporto.

Stanno anche promuovendo, finanziando e fabbricando sistematicamente ‘l’opposizione’ qui, come fanno in tutto il mondo nei paesi che considerano ‘ostili’. Oltre ai consueti strumenti politici e propagandistici, l’occidente ha addirittura impiantato in Eritrea movimenti religiosi pentecostali di estrema destra.

Periodicamente grandi campagne della BBC o di Al-Jazeera puntano direttamente su Asmara, cercando di aizzare la ribellione: il presidente, un venerato ex combattente per la libertà, sta ‘costantemente morendo’ e ‘il governo è regolarmente rovesciato’.

Notizie false sono diffuse regolarmente e svergognatamente. Milena Bereket mi ha detto che al picco del colpo di stato che non c’è mai stato  (gennaio 2012) African Strategie, il suo gruppo di esperti con sede all’Asmara, ha dovuto operare da forza di contrasto per aiutare i patrioti eritrei di tutto il mondo a opporsi al fuoco di sbarramento di disinformazione diffuso dai cosiddetti ‘esperti’.

Quella è stata la volta in cui i canali giornalistici occidentali e Al-Jazeera riferivano della ‘ribellione’ nella capitale.

Il mio cameraman locale, Mr. Azmera, ha sintetizzato l’evento: “Mentre stava avendo luogo il ‘colpo di stato’ stavo appena lasciando il complesso presidenziale, dopo averci lavorato per un certo tempo. Sono uscito, ho consumato il pranzo … Poi alle quattro del pomeriggio sono stato chiamato e mi è stato detto: ‘Al-Jazeera sta riferendo che c’è stato un colpo di stato ad Asmara!’ Mi sono limitato a ignorare la cosa e sono andato a casa a piedi.”

Gli attacchi contro l’Eritrea sono sfrontati, ma le lodi sono rare. “Può scoprire quanto abbiamo realizzato se legge rapporti specializzati dell’ONU” spiega il dottor Misray Ghebrehiwet. “Ma i media di massa non citano mai tali rapporti e così il pubblico in generale all’estero riceve prevalentemente invenzioni e propaganda negativa sul nostro paese”.

Carri armati sacrificatisi durante la battaglia per Massawa. (foto di Andre Vltchek)

L’Eritrea lavora con estrema intensità per costruire il proprio paese nonché un sano modello alternativo di sviluppo per il resto dell’Africa. E’ uno dei paesi che affronta, con coraggio e dignità, il più potente avversario della terra.

Anche se l’Eritrea è abituata a grandi prove, merita sostegno da paesi molto più grandi che stanno attualmente affrontando sfide simili. E’ perché il popolo eritreo non sta lottando solo per sé, ma anche per tutti noi, che non vogliamo arrenderci all’imperialismo.

Di Andre Vltchek, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta.

Traduzione per Z-Net Italy di Giuseppe Volpe

L’articolo originale può essere letto qui