Roberto Mazzini è vicepresidente della Cooperativa Giolli con cui porta avanti le attività di formazione del Teatro dell’Oppresso. Giolli è tra i promotori del IX Incontro Internazionale del Forum Paulo Freire ,che inizia oggi a Torino e si protrarrà fino al 20 settembre.
Roberto, quali sono gli obiettivi di quest’incontro internazionale e come si svolgerà, a grandi linee?

L’incontro vuole rinsaldare i legami tra persone e gruppi che in tutto il mondo usano il metodo Freire (la pedagogia della coscientizzazione) nei campi dell’educazione formale e non formale, come legame con la politica.

Nonviolenza, umanesimo, spiritualità: quello che dice e promuove questo forum isu questi temi?

Il Forum si pone domande sulla crisi del nostro modello di sviluppo, sulla crisi della globalizzazione e delle forme precedenti di critica al capitalismo (come il comunismo) che hanno fallito nella loro realizzazione; vuole approfondire in particolare le aree dell’arte, dell’ecologia, della creazione di comunità, della partecipazione. Freire come ci può aiutare a ripensare il nostro modello di sviluppo, ad affrontare la de-umanizzazione di oggi per creare soggetti collettivi consapevoli sia dei rischi a cui siamo di fronte che delle possibilità inedite che si aprono, proprio grazie all’ampiezza della stessa crisi mondiale? Le persone che arriveranno si confronteranno su questi temi a partire dalle proprie esperienze, in un incontro partecipato, dove è stata posta enfasi sull’apprendimento dal basso, ovvero nel confronto tra chi fa pratica sociale e/o educativa ogni giorno. A partire dalla propria esperienza ci si porrà delle domande chiave, a seconda dell’area prescelta, e si cercherà di approfondire le possibili risposte. Non possiamo perciò dire a-priori cosa emergerà, non ci sono relazioni fondamentali in attesa di essere apprese, ma ci sarà la costruzione del sapere sistematizzando le innumerevoli pratiche svolte dai partecipanti stessi.

Questo modo di organizzare il Forum è peraltro coerente con il pensiero di Freire e Boal.

Puoi spiegare ai non esperti il legame originario ed attuale tra Freire e Boal, tra la Pedagogia degli Oppressi ed il Teatro dell’Oppresso?

Storicamente sono nati nel Brasile degli anni ’50 e ’60, quindi in uno stesso ambiente culturale che dava valore al popolo oppresso, come capace di entrare nella storia e dare la propria parola sul mondo. Di fatto io sostengo che il TdO e la Pedagogia di Freire siano due facce della stessa medaglia o anche che “Boal ha tradotto Freire in campo teatrale”.

Molte sono le somiglianze, a partire dall’idea chiave che non si può portare le nostre idee agli altri e convincerli, ma occorre partire dalla conoscenza che le persone hanno del proprio mondo per poi approfondirla, nel confronto, ma come ricerca comune, non come relazione gerarchica. Così mentre Freire insegna agli analfabeti a dare valore alla propria consocenza nel dialogo coi propri compagni, Boal stimola a pensare a proprie soluzioni all’oppressione e si distanzia dal Teatro Ideologico.

Purtroppo i due pensatori e attori non hanno mai lavorato strettamente a progetti comuni ma la loro sovrapponibilità e coerenza è innegabile.

Nel mondo pedagogico a volte si percepisce Freire come un personaggio del passato: qual’è secndo te invece la sua attualità e la sua forza per la trasformazione del mondo attuale?

Lo stesso è per Boal, però io dico che essendoci ancora oppressione, sia l’uno che l’altro sono utili alla ricerca di cambiamento e di liberazione, soprattutto perchè i due metodi sono creativi, non vogliono la ripetitività, quindi auspicano un aggiornamento all’attualità del mondo che è cambiato. Freire non ha mai ripetuto le stesse procedure, ma ogni volta si è interrogato su quale fosse il percorso più adatto al contesto. Boal ha rinnovato le sue tecniche nel cofnronto con la realtà, costantemente, dal Teatro-Immagine con gli indios periuviani fino al Teatro-Legislativo nel parlamento di Rio.

Credo che siano due strumenti potenti in quanto danno potere ai gruppi e alle persone, non indicano la soluzione ma potenziano le capacità e la voglia di cercarla, e non solo individualmente, ma insieme.

Siccome esiste l’oppressione, la Pedagogia e il Teatro dell’oppresso hanno senso.

Siccome sono metodi maieutici, che stimolano l’empowerment, hanno senso anche oggi.

Siccome sono in continua sperimentazione, perchè non applicarli per affrontare le sfide di oggi?

Con il Teatro dell’Oppresso tu svolgi e coordini numerose attività di formazione: a quali necessità senti che devi far fronte con ti tuoi allievi, soprattutto i più giovani?

C’è molta voglia di esprimersi, di esprimere i propri desideri e malesseri. C’è molta voglia di avere voce, di vedersi riconosciuti nella propria dignità di soggetti e non di consumatori. Certo, non tutti chiedono questo, ma la parte più avanzata dei giovani sì. C’è molta curiosità e fascino verso il teatro di Boal, meno verso Freire forse perchè sembra legato al lavoro con gli analfabeti, mentre in realtà, con la rete nazionale Freire-Giolli, stiamo scoprendo che ci sono molte realtà interessanti che sono ispirate da Freire pur non sapendolo.

C’è necessità di capire oggi l’oppressione che è mascherata, la distanza tra chi decide e i cittadini è elevata e sfuggente, per cui serve un metodo che aiuti a orientarsi, a scoprire i meccanismi e i soggetti che guidano le nostre vite in direzioni ormai insostenibili, sia dal punto di vista materiale che sociale e psicologico.

Infine direi che c’è bisogno di speranza e di ritrovare il piacere dello scontro di valori, non in modo settrio o violento o dogmatico, ma come affermazione di scelte di campo necessarie, dal momento che una parte di umanità è soffocata dai beni di consumo e un’altra da miseria e guerre.

Uno dei temi centrali di Freire è quello della coscientizzazione; puoi approofndire questo aspetto e come si concretizza sia nella pedagogia che nel teatro?

La coscientizzazione viene a volte confusa con la propaganda o la forzatura a convincere l’altro delle nostre idee.

Tutto il contrario del pensiero di Freire e Boal.

Coscientizzare vuol dire scoprire assieme, avviando una ricerca, non significa portare la nostra verità bella e fatta agli altri.

Significa aiure i gruppi oppressi a scoprire che il loro sapere è parziale ma che insieme ai pari e nel confronto con altri, possono approfondire la conoscenza del mondo e cambiarlo. Conoscere è potere, ma se il conoscere vien calato dall’alto è uno strumento di dominio, non di liberazione.

Per questo coscientizzare si fa nel dialogo.  Freire usa il dialogo verbale soprattutto, mentre Boal usa il dialogo teatrale, ovvero lo spett-attore che entra in scena e prova a cambiare l’oppressione, agendo.

In ambedue i casi il dialogo è fondamentale. Non come semplice discorso, ma come ascolto dell’altro, della situazione oppressiva, delle esigenze delle diverse parti in gioco, dei meccanismi oppressivi. Fino al dialogo con l’oppressore in quella specifica situazione, che a volte è a sua volta oppresso e che quindi può essere aiutato a scoprirsi oppressore e liberarsi, a volte pacificamente, a volte con la lotta nonviolenta.

Dialogo non vuol nemmeno dire accettare tutto quel che laltor dice in nome del dialogo apputo, può implicare anche lo scontro verbale così come la lotta per portarlo a dialogare quando non ne ha l’intenzione iniziale. In questo ci ricorda un po’ Gandhi e la nonviolenza.