Rete Disarmo chiede al governo maggiori dettagli e una supervisione parlamentare e della società civile sull’invio di materiale bellico alle forze curde.

Nell’ambito della discussione sul “Decreto Missioni” in corso in Parlamento il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha fornito qualche dettaglio sulle armi che il governo intende inviare in Iraq. Nel Decreto sarà inserito un emendamento per la copertura finanziaria dell’operazione.

Rete Italiana per il Disarmo sottolinea la carenza delle informazioni fornite – in particolare sul materiale militare derivante dal “sequestro Jadran” – e rilancia le proprie richieste a governo e Parlamento affinché questa scelta (che continuiamo a ritenere errata) non si trasformi in un ulteriore problema. Le armi spedite dall’Italia arriveranno in una regione in cui sono documentate continue violazioni dei diritti umani e sono molto alte le possibilità di contribuire ad alimentare un mercato illecito già fiorente ed attivo.

Nei giorni scorsi il governo, come aveva annunciato durante il dibattito nelle Commissioni parlamentari di agosto, ha cercato di fornire qualche dato ulteriore sulla prevista fornitura di armi alle forze curde in Iraq. Il passaggio è inserito nella discussione sul Decreto per le missioni militari all’estero, che dovrà essere emendato per garantire la copertura finanziaria alla spedizione di materiale d’armamento. Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti ha quindi fornito uno scarno elenco (in calce) di quelle che saranno le armi e le munizioni che si intende inviare, sia derivanti da magazzini delle forze armate italiane che dalle armi sequestrate due decenni fa nell’ambito di un’operazione contro i traffici di armi verso i Balcani.

La Rete italiana per il Disarmo considera questo primo “sforzo” di trasparenza del tutto insufficiente. “Non è con un elenco limitato e riassuntivo, senza dettagli opportuni, che si potranno evitare le problematiche connesse all’invio di armi in quella regione – commenta Francesco Vignarca coordinatore della Rete – Ricordiamo che stiamo per inviare armamenti in un’area molto problematica sia dal punto di vista della violazione di diritti umani sia dal punto di vista del mercato nero. E se consideriamo che nella lista fornita dal Ministro c’è il grossolano errore di inserire gli inesistenti lanciatori Rpg-9 la nostra preoccupazione appare ben fondata”.

Il primo elemento da sottolineare riguarda però la provenienza degli armamenti. Nei giorni scorsi Rete italiana per il Disarmo ha esplicitato la propria contrarietà all’invio di armi, un passo che non riteniamo soluzione alla questione irachena, ma soprattutto si è detta contraria ad utilizzare proprio le armi derivanti dal sequestro Jadran.

Va ricordato che queste particolari armi e munizioni, che dovranno essere prelevate nei depositi in Sardegna dove sono state conservate negli ultimi anni, derivano da una confisca a seguito di un’azione giudiziaria di circa 15 anni fa contro trafficanti di armi. La Magistratura, già nel 2006, ne aveva poi ordinata la distruzione, che non è mai avvenuta. C’è quindi una precisa responsabilità nella scelta politica – da noi criticata – di non distruggere quelle armi e anzi di utilizzare oggi proprio quelle.

Per poter realizzare questa spedizione il governo, con dichiarazione esplicita del Ministro Pinotti, ha fatto riferimento ad una legge del 2009 che permette alla Difesa, senza obbligo, l’utilizzo di materiale d’armamento, anche sequestrato in precedenza, per non chiari “fini istituzionali”. Ma non sembra che ad oggi siano stati assolti tutti i passaggi di legge per poterlo fare.

“La Legge 108 del 3 agosto 2009 richiamata dal Ministro – sottolinea Sergio Finardi dell’Istituto di ricerca statunitense Transarms che si è occupato della vicenda del sequestro Jadran sin dal 2011 – prevede che gli armamenti sequestrati possano entrare nella disponibilità del Ministro della Difesa solo dopo un Decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con i  Ministri  della  Difesa, dell’Economia e delle Finanze. Un passaggio normativo che ad oggi non risulta ancora compiuto. Quando il Parlamento se ne accorgerà e ne chiederà conto?” conclude Finardi.

Riteniamo quindi grave che proprio tali armi vengano oggi utilizzate per una fornitura ad una parte in conflitto in Iraq (contro lo spirito della legge 185/90). “Ci chiediamo perché nessuno abbia mai motivato al Parlamento la mancata distruzione di questi materiali militari quando ordinato dalla Magistratura: è stata solo una motivazione economica? – sottolinea Giorgio Beretta di OPAL – Sarebbe importante avere informazioni dettagliate sul costo di tale distruzione, che da notizia di stampa pare ora sia nelle intenzioni del governo”.

Rete Italiana per il Disarmo ribadisce la propria richiesta affinché venga subito aperta un’inchiesta parlamentare, considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi apponendo da parte dell’allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di stato” (del quale la nostra Rete aveva chiesto conto al Presidente della Repubblica Napolitano senza ricevere alcuna risposta).

Con tutte queste premesse e problematiche emergenti la nostra Rete avanza la richiesta di poter essere parte attiva (anche contestualmente ad analoga iniziativa parlamentare) di un monitoraggio dell’invio di armi in Iraq, che dimostri nei fatti la volontà di trasparenza espressa dal governo. “Chiediamo accesso a tutti i documenti per poter eseguire una registrazione del materiale inviato secondo gli standard impiegati in casi analoghi da organismi e nostri partner internazionali – dichiara Francesco Vignarca – il tutto nell’ottica di una reale ed effettiva tracciabilità delle armi e delle munizioni che verranno spedite”. Un controllo esercitato in questi termini costituirebbe anche una salvaguardia rispetto a possibili perdite di informazioni su invii precedenti (l’ipotetica e mai chiarita spedizione in Libia) i cui dettagli risultano opachi ed in contrasto con quelli forniti oggi dal governo. Non si capisce ad esempio come le armi di “provenienza Jadran” possano oggi essere considerate “perfettamente funzionanti” dal Ministro Pinotti se invece nel 2011 ci si permetteva di trasferirle su traghetti civili senza quindi particolari precauzioni di sicurezza.

Ma al di là delle questioni più prettamente tecniche, è sulla scelta di fondo che le perplessità rimangono robuste. “Dobbiamo ricordare che stiamo inviando armi (seppure in un certo senso a delle Forze armate riconosciute) in una zona ad alto rischio di sviamento e in cui organismi ed ONG internazionali hanno sottolineato continue violazioni dei diritti umani e crimini di guerra, anche a carico delle Forze Armate Irachene e di gruppi di miliziani sciiti che collaborano con esse. Se il governo nazionale di Baghdad fungerà formalmente da intermediario per l’invio d armi ai Peshmerga kurdi, come ha dichiarato ilMinistro Mogherini, i rischi quindi aumentano”. sottolinea Martina Pignatti Morano presidente di “Un ponte Per”.

Non si sta ipotizzando un semplice “rischio”: la sparizione di armi in quella regione è un dato di fatto ampiamente documentato dai rapporti del Pentagono e di centri di ricerca autorevoli come il SIPRI di Stoccolma. Già nel 2007 un rapporto del Pentagono rivelava che a fronte di oltre 13mila armi consegnate all’esercito iracheno se n’era persa traccia di più di 12mila: tra quelle armi figurano pistole, fucili d’assalto, mitragliatrici e lanciagranate. Una simile situazione si è verificata in Afghanistan. Non a caso una specifica ricerca del SIPRI definisce questi due paesi come “gli esempi più evidenti dei rischi collegati alla fornitura di armi a Stati fragili”.

Senza adeguate misure e controlli vi è quindi l’altissimo rischio che anche le “nostre” armi possano finire nelle mani sbagliate. Aggiungendo problemi ad una situazione già drammatica.

Rete Italiana per il Disarmo rilancia alle Istituzioni una serie di richieste

Al governo

1.     Rivedere la decisione di inviare armi e sistemi militari alle parti in conflitto, in particolar modo le armi confiscate (come il cosiddetto “arsenale Zhukov”) o non utilizzabili dalle nostre forze armate e bloccare l’invio di armi e sistemi militari verso tutti i paesi in conflitto.

2.     Nell’eventualità di un invio, garantire la massima trasparenza su tutta l’operazione in particolare fornendo dettagli e documentazione dei quantitativi e dei tipi di armamento spediti.

3.     Consentire alla società civile e ai tecnici nazionali ed internazionali da essa indicati la supervisione sui quantitativi di armamento in spedizione e sulle iniziative intraprese per garantirne una futura tracciabilità.

Al Parlamento

1.     Richiedere, qualora il governo intenda inviare armi e sistemi militari in Iraq, un resoconto preventivo dettagliato di tutti i sistemi militari e di armi che si intendono spedire e sottoporre al parere consultivo delle Camere ogni invio di armi.

2.     Appoggiare la richiesta delle organizzazioni della società civile e della nostra Rete Disarmo in particolare per un monitoraggio tecnico su contenuti e criteri di tracciabilità della spedizione di materiale d’armamento che il governo intende compiere verso l’Iraq.

3.     Intraprendere iniziative di sindacato ispettivo per avere conferma dell’esistenza o meno del decreto del Ministero della Giustizia che effettivamente assegna al Ministero della Difesa per fini istituzionali le armi derivanti dal “sequestro Jadran”.

4.     Porre all’esame, nelle competenti commissioni parlamentari di Camera e Senato, le recenti Relazioni sulle esportazioni di sistemi militari italiani, valutare attentamente le autorizzazioni rilasciate dagli ultimi governi e il grado di trasparenza della relazione governativa, in confronto anche con le associazioni impegnate da anni nel controllo del commercio degli armamenti.

5.     Favorire un’inchiesta parlamentare su tutte le armi confiscate e detenute nei vari arsenali militari e predisporre tutte le misure necessarie per la loro pronta distruzione (alcune operazioni sono forse attualmente in corso ma non possono essere gestite, vista la loro rilevanza, solo per “via amministrativa”

L’elenco della fornitura italiana prevista:

Materiale nazionale

–       100 MG 42/59 + 100 treppiedi

–       100 mitragliatrici 12.7

–       250.000 munizioni per ciascuna delle due tipologie di armi

Materiale confiscato

–       1000 razzi RPG 7

–       1000 razzi RPG 9

–       400.000 munizioni per mitragliatrici di fabbricazione sovietica

In base all’evolversi della situazione contingente, non è esclusa altresì la possibilità di individuare, qualora richiesto, ulteriori forme di cooperazione/supporto a favore delle autorità irachene, sempre in coordinamento con la Comunità Internazionale.