I riflettori di molta stampa e di media progressisti rimangono puntati su Cuba, dopo le visite storiche di Papa Francesco e di Barack Obama, nonché l’incontro sul territorio cubano del non meno storico abbraccio tra i capi delle chiese cattolica e russa. Tutto, o quasi, è stato detto sulla Rivoluzione e il regime cubani, e sulle incognite che, nel bene e nel male, gravano sul futuro dell’isola caraibica.

Al di là di tutti i commenti ci sentiamo però di dire qualcosa fuori dagli schemi, su un aspetto crediamo poco noto della Rivoluzione cubana e che secondo noi caratterizza in modo assolutamente originale quello che questo paese è riuscito a fare. Ci riferiamo alle eccezionali conquiste di Cuba in campo scientifico e medico, ed in particolare nel campo della biotecnologia, che hanno portato questa piccola isola, povera di risorse naturali e bloccata da un embargo di più di mezzo secolo, a livelli di assoluto valore mondiale.

Dobbiamo premettere che quando parliamo di Cuba – della quale ci occupiamo da vari anni – non possiamo nascondere la nostra ammirazione, che prescinde da qualsiasi valutazione sul suo regime economico e sociale. Occorre non dimenticare che parliamo di una piccola isola che copre circa l’1 % delle terre emerse, ed ospita l’1,5 per mille della popolazione mondiale. Eppure questo lembo di terra ha giocato da quasi 60 anni un ruolo nelle vicende mondiali ben superiore alle sue dimensioni. Da quando la rivoluzione dei “barbudos”, fino allora sconosciuti, ha rovesciato nel 1959 un regime direttamente sostenuto dagli USA, per resistere poi ad ogni tentativo di invasione (Baia dei Porci, 1961), di attentati o di rovesciamento del regime, sopravvivendo infine, contro tutte le previsioni, al crollo dell’URSS, che gettò il paese in una crisi economica spaventosa. Anzi, dagli anni ’90 Cuba è divenuta un punto di riferimento per tutti i governi progressisti che si sono succeduti in America Latina, e che proprio ora vacillano sotto i colpi della feroce reazione.

Ma veniamo al punto. La giovanissima dirigenza rivoluzionaria aveva ben chiaro dall’inizio che per riscattare il paese definitivamente dalla condizione di subalternità era necessario sviluppare, partendo da condizioni tutt’altro che favorevoli, un sistema scientifico avanzato, al livello dei paesi più sviluppati: un’impresa che, va sottolineato, non è riuscita (o non è riuscita compiutamente) a paesi in via di sviluppo ben più grandi e ricchi. Anche chi è riuscito a sviluppare tecnologie avanzate, come la Corea del Sud, lo ha fatto “su licenza” del blocco geopolitico a cui apparteneva, rimanendovi praticamente dipendente; come anche i paesi del Blocco Socialista, che infatti sono crollati insieme all’URSS: a differenza di Cuba, che si era conquistata un’autonomia in questi campi vitali.

È rimasta famosa l’affermazione, in apparenza spavalda, di Fidel Castro nel 1961: “Il futuro di Cuba non può essere che di uomini di scienza”, che incredibilmente si è trasformata in realtà! Riuscendo a mobilitare con la Rivoluzione tutte le forze intellettuali del paese, moltiplicandone le potenzialità. E la sfida, e i metodi sleali, degli USA si sono trasformati in poderose sinergie, anziché indebolire la Rivoluzione. Come afferma un autorevole studio di origine non sospetta: “Dopo la rivoluzione del 1959 Cuba si diede come priorità di trovare nuovi metodi per provvedere ad una popolazione povera; parte della soluzione fu la formazione di medici e ricercatori” (D. Starr, direttore del Centro di Giornalismo Scientifico e Medico dell’Università di Boston, http://www.wired.com/2004/12/cuba/).

Per questa vera “rivoluzione scientifico -tecnica” i cubani hanno fatto ricorso in modo quasi spregiudicato a tutti i tipi di apporti. Ai sovietici nei campi della fisica e dell’elettronica, in cui l’URSS era all’avanguardia, ma aprendosi anche al contributo attivo di scienziati e istituzioni “occidentali”: con entrambi questi supporti Cuba raggiunse nel giro di 15 anni un livello paragonabile a quello dei paesi latinoamericani molto più grandi e ricchi e con maggiore tradizione scientifica. Nel campo della biologia moderna, dove la Russia per ragioni ideologiche era rimasta tagliata fuori dalla genetica e dalla biologia molecolare (da quando negli anni ’30 l’agronomo Trofim Lysenko, negando i principi fondamentali della genetica, aveva sostenuto la tesi della trasformazione delle specie provocata da cambiamenti ambientali) i cubani, pur facendo parte del Blocco dei paesi socialisti, ricorsero direttamente al supporto di scienziati occidentali. In particolare fu la giovane generazione di biologi italiani che nei primi anni ’70, con corsi appositi, formò l’attuale generazione di biologi e genetisti cubani.

Questa applicazione eclettica delle conoscenze scientifiche avanzate si è associata a Cuba con la subordinazione di tutte le scelte alle necessità della Rivoluzione e ai bisogni della popolazione. In base alle quali il governo rivoluzionario ha sviluppato un sistema sanitario efficiente ed esteso a tutta la popolazione, sradicando fin dai primi anni le infermità che affliggono i paesi poveri, e portando il profilo sanitario dei cubani al livello dei paesi avanzati.

Secondo questo criterio i medici e biologi cubani si impegnarono, con sorprendente lungimiranza (e con un’intuizione dello stesso Fidel), nello sviluppo delle biotecnologie avanzate fin dai primi anni ’80, proprio quando queste erano ai primordi del loro sviluppo in tutto il mondo. Per i primi sviluppi i medici cubani si appoggiarono a specialisti stranieri, i quali rimasero sorpresi della loro capacità di assimilare rapidamente tecniche nuove e di applicarle in modo autonomo, efficace ed originale. Nel 1986 i cubani costruirono un grande Centro de Ingeniería Genética y Biotecnología (CIGB), equipaggiato con la strumentazione più moderna disponibile (affrontando costi più alti a causa dell’embargo degli Stati Uniti, anche se il Centro costò complessivamente un decimo di quanto sarebbe costato negli USA), che adottò un ciclo integrato che andava dalla ricerca, alla sperimentazione clinica, alla produzione e alla commercializzazione. Il CIGB divenne uno dei tanti centri del grande Polo Scientifico dell’Avana Occidentale, che raggruppa i 53 migliori centri scientifici, sanitari, formativi ed economici del paese. Nel 1989 vi erano a Cuba complessivamente 41.784 ricercatori (uno ogni 251,3 abitanti), dei quali 120 avevano un dottorato di ricerca e 2.192 erano candidati per conseguirlo.

È notevole l’attenzione della biotecnologia e della medicina cubane verso le malattie tipiche del Terzo Mondo, snobbate dalla logica del profitto dell’industria farmaceutica. Nonché il supporto dei medici cubani di soccorso ai paesi colpiti da disastri ambientali, o di aiuto nello sviluppo di programmi sanitari per la popolazione.

Quando il crollo dell’URSS nel 1989 mise in ginocchio l’economia cubana – e gli Stati Uniti inasprirono l’embargo (leggi Torricelli e Helms-Burton) cercando di far cadere da sola la “mela marcia”, col solo risultato di affamare ulteriormente i cubani – il governo adottò nuovamente la strategia utilizzata all’inizio della Rivoluzione di puntare sull’eccellenza in campo scientifico: molti settori furono duramente penalizzati dai colpi della crisi, ma il sistema scientifico cubano nella sostanza resse, e Fidel investì somme considerevoli per sostenere e sviluppare ulteriormente la biotecnologia. Come scrive il già citato Starr: “Di fronte alla calamità economica, Castro fece una cosa eccezionale: investì centinaia di milioni di dollari nei medicinali”. Questa scelta coraggiosa fu ancora una volta lungimirante: dagli anni ’90 i servizi collegati alla salute e i farmaci biotecnologici costituiscono una delle più importanti fonti di ingresso di valuta pregiata per Cuba.

Indubbiamente oggi Cuba si trova di fronte sfide nuove, il cui esito è assolutamente imprevedibile: l’industria biotecnologica cubana deve assolutamente aprirsi al mercato globale reperire capitali e investitori senza tradire la propria impostazione, mentre incombono simultaneamente il cambio generazionale della dirigenza, l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti, l’ulteriore liberalizzazione del mercato globale con l’approvazione del Trattato trans-pacifico di libero scambio (TPP), e l’offensiva neoliberale in America Latina fomentata dagli USA mentre aprono a Cuba. Nulla sarà più come prima. Le basi poste dalla Rivoluzione cubana si sono rivelate molto solide di fronte a diverse prove, ma la sfida del futuro sarà particolarmente forte: nessuno può prevedere oggi gli sviluppi futuri.

 

Gli autori

Angelo Baracca è stato professore di fisica e storia della fisica all’Università di Firenze. Da decenni impegnato nei movimenti anti-nucleari, contro la guerra e per il disarmo, in particolare nucleare. Da anni collabora con università cubane, ha scritto un impegnativo volume collettivo sullo sviluppo della fisica a Cuba (A. Baracca, J. Renn e H. Wendt, Eds., The History of Physics in Cuba, Springer, Berlino, 2014, http://www.springer.com/us/book/9789401780407.

Rosella Franconi è primo ricercatore presso l’ENEA Casaccia di Roma. Si occupa di biotecnologie e di vaccini terapeutici. Da anni segue i progressi di Cuba nel campo delle biotecnologie anche attraverso contatti e collaborazioni con i ricercatori del CIGB.

Entrambi stanno pubblicando un nuovo libro in collaborazione presso Springer che passerà in rassegna le conquiste della scienza cubana soprattutto in fisica, in campo medico e nelle biotecnologie: A. Baracca e R. Franconi, “Subalternity vs. Hegemony, Cuba’s Outstanding Achievements in Science and Biotechnology, 1959-2014.