Saadia Mosbah è la presidente dell’associazione Mnemty, che in arabo tunisino significa “il mio sogno”. Un nome che richiama esplicitamente la celebre frase di Martin Luther King, “I have a dream”: il sogno di una società fondata sull’uguaglianza, sulla dignità e sulla giustizia.
Mnemty nasce proprio con questo obiettivo: contrastare il razzismo sistemico in Tunisia, difendere i diritti delle persone migranti e afrodiscendenti e smascherare le discriminazioni strutturali che attraversano lo Stato e la società tunisina.
Oggi quel sogno è sotto processo.
Saadia Mosbah è in carcere non per un reato, ma per una scelta politica: aver difeso i diritti dei migranti e aver rifiutato la deriva razzista e autoritaria imposta dal presidente Kaïs Saied, in particolare dopo il discorso del 21 febbraio 2023, in cui Saied ha apertamente criminalizzato le persone migranti subsahariane, legittimando una campagna di odio, violenza e repressione senza precedenti.
Figura di primo piano della lotta contro il razzismo in Tunisia, Saadia Mosbah, 65 anni, è stata arrestata il 6 maggio 2024 nella sua abitazione, al termine di una lunga campagna di diffamazione e incitamento all’odio sui social network, che ha preso di mira lei, l’associazione Mnemty e altri attivisti.
L’organizzazione è stata accusata, senza prove credibili, di partecipare a un presunto “complotto” per favorire l’insediamento dei migranti subsahariani in Tunisia: una narrazione costruita ad arte per criminalizzare la solidarietà e reprimere ogni voce critica.
Il suo processo, previsto il 21 dicembre 2025, si inserisce in un contesto più ampio di persecuzione giudiziaria contro oppositori politici, difensori dei diritti umani, giornalisti e attivisti. Saadia Mosbah, insieme ad altri prigionieri politici, resta detenuta nelle carceri del regime di Saied. La loro unica “colpa” è aver osato opporsi, denunciare, resistere. Prossima udienza del processo, 26 febbraio 2026.
Questo caso smaschera l’ipocrisia della narrazione europea che continua a definire la Tunisia “Paese terzo di origine sicuro”, mentre:
- gli attivisti antirazzisti vengono incarcerati,
- la solidarietà viene equiparata a un crimine,
- il razzismo di Stato diventa strumento di governo,
- la repressione politica viene normalizzata con la complicità internazionale.
Il processo a Saadia Mosbah non è un fatto isolato: è un processo alla libertà di espressione, alla giustizia sociale e alla possibilità stessa di difendere i diritti umani in Tunisia. È il simbolo di un sistema che punisce chi sogna l’uguaglianza e premia chi alimenta paura e odio.
Difendere Saadia Mosbah significa difendere tutte e tutti coloro che rifiutano il razzismo, l’autoritarismo e la criminalizzazione delle migrazioni.
Il suo sogno non è un crimine. Il crimine è reprimerlo.










