Connessioni fra ricerca storica e pace nel mondo

In Italia, lo studio della storia è parte integrante di tutti i programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado. Eppure, molto spesso questa materia viene considerata non così importante, in quanto non strettamente connessa con l’attualità che viviamo. Ovviamente, questo è un pensiero radicato nelle persone comuni o in molte di esse, non da addetti ai lavori: gli storici e le storiche, che con grande fatica fanno costantemente ricerca in questo campo, inorridiscono rispetto a tale sentire.

Una delle motivazioni alla base di questa convinzione invalsa sta nel fatto che, oggi, a causa della mancanza di tempo, i programmi scolastici non riescono ad essere svolti per intero e, conseguentemente, gli studenti e le studentesse non arrivano ad approfondire, nel loro corso di studi – mi riferisco chiaramente alla platea della scuola ordinaria di secondo grado – gli accadimenti più recenti. In pratica, molte persone pensano che si dovrebbe studiare la storia del ’900 per comprendere meglio la nostra realtà e “sorvolare” su quella della età arcaica e classica, con particolare riguardo alla storia greca. Ce l’abbiamo molto con i Micenei: ma che studiamo a fare eventi accaduti nel II millennio avanti Cristo se poi non sappiamo cosa ha provocato la guerra fredda dal 1947 al 1990? E ancora, cosa c’era dietro l’attentato alle Torri Gemelle? Quest’ultimo è un argomento molto delicato e sentito fortemente dai nati nel terzo millennio ma che a scuola non si arriva nemmeno lontanamente ad affrontare.

Ebbene, i Micenei non sono poi così inutili: ci consegnano un incipit della storia dell’uomo, il momento in cui si è creata una ininterrotta continuità culturale tra l’età del bronzo e l’età classica, attraverso l’uso di una lingua per redigere documenti amministrativi e la creazione di un sistema palaziale, embrionale sistema di Stato.

Sapere come si sono creati gli Stati ha una grande importanza: ci serve per comprendere come viviamo oggi e, soprattutto, da cosa nascono le guerre. Senza l’esistenza degli Stati, infatti, le guerre non diventano fenomeno che riguarda intere popolazioni ma restano a livello di conflittualità locale tra gruppi di potere.

In Italia, nella nostra quotidianità, le guerre, pur essendo costantemente presenti nei fatti di cronaca, sembrano ancora appartenere ad altri mondi. Eppure intorno a noi sono aperti vari fronti di guerra nel mondo, oltre cinquanta. Da notare la terminologia utilizzata dagli inviati speciali e dagli stessi studiosi: oggi, non si parla più di guerra globale ma di guerra “a pezzi”. Paradossalmente, quindi, anche se in tantissimi luoghi del pianeta c’è gente che muore a causa di un conflitto bellico, a noi sembra di vivere in un’epoca di pace perenne.

Questa percezione è leggermente cambiata da quando, purtroppo, c’è stata l’invasione della Russia in Ucraina, essendo questo territorio molto vicino a noi, con tutte le implicazioni che questo comporta, anche per i legami che, dalla fine della seconda guerra mondiale, il nostro paese ha con la NATO, nonché della presenza in Italia di tante persone di nazionalità sia ucraina che russa. Il riflesso di queste dinamiche sulla vita di tutti i giorni è stato comunque estremamente residuale, se not per il fatto che esse sono confluite nel dibattito sull’approvazione, da parte dell’Unione Europea, del piano ReArm Europe. Tante sono le voci che si sono levate contro l’adozione di questa misura di intervento; ma, al di là di questo, l’impatto visibile sulla nostra vita non c’è stato. Il che costituisce sicuramente un problema, in quanto stiamo assistendo, più o meno consapevolmente, a uno spostamento delle risorse pubbliche sul rafforzamento dei sistemi di difesa e sugli armamenti. Questa, però, è un’altra questione che merita appositi approfondimenti.

Torniamo ai Micenei e alla storia della civiltà greca. Abbiamo già detto delle novità che essi hanno portato sulla terra. Un altro aspetto rilevante, che avvalora la tesi dell’importanza di effettuare studi storici sull’antichità, è dato dal fatto che, proprio in relazione alla storia greca – e anche romana – è cambiato il modo di acquisizione delle informazioni: se, fino alla seconda metà del Novecento, si attingeva prevalentemente dalle fonti letterarie – le guerre persiane immortalate da Erodoto, la guerra in Peloponneso da Tucidide, solo per fare degli esempi – oggi si ritiene fondamentale lo studio dell’archeologia, che diventa essenziale documentazione storica.

Per citare Marco Bettalli: “Un conto è avere una forma mentis che stabilisce comunque una graduatoria… (tra fonti), altra cosa è servirsi dell’archeologia per fare storia nel senso più completo del termine; un tipo di storia senza avvenimenti, ma con l’ambizione di ricostruire modelli e strutture in cui operavano date comunità in un dato periodo”.

In pratica, questa corrente storiografica ritiene che sia centrale acquisire le informazioni attraverso l’analisi delle stratificazioni fisiche che l’uomo ha prodotto nei luoghi. Quindi, sul campo.

Però, affinché gli scavi siano effettivamente realizzabili, oltre ad avere disponibilità di risorse finanziarie da dedicarvi, è necessario che vi sia la possibilità di effettuarli: in particolare, che vi sia una cooperazione internazionale tra i governi in cui i siti sono presenti. A sua volta, la cooperazione internazionale può avvenire solo dove c’è la pace.

In alcuni luoghi, ciò non solo è impossibile ma, addirittura, l’archeologia viene usata come arma: è il caso dello Stato di Israele, dove lo studio dell’archeologia viene effettuato secondo un metodo che viene definito “archeologia biblica”, in base al quale “l’archeologia è stata, cioè, chiamata a rinforzare le connessioni tra il moderno Stato e l’Israele antico che esiste nelle Scritture. Era questo il suo ruolo principale. Per ottenere questo obiettivo si è concentrata sui siti menzionati nella narrazione biblica, per poter fornire quei simboli nazionali e per creare una nuova narrazione che legasse gli israeliani di oggi all’antico popolo biblico. Questa si è rivelata, col tempo, un’operazione problematica. A segnalare l’esistenza di incongruenze non siamo stati solo noi archeologi palestinesi. Oggi ci sono anche archeologi israeliani, soprattutto giovani, che riscontrano problemi… Ecco, per un palestinese studiare archeologia in un’università ebraica rappresenta decisamente una sfida, perché bisogna continuamente scendere a patti con la propaganda sionista.” (Intervista a Mahmoud Hawari, 2011).

È evidente che, in questo caso, si va in controtendenza rispetto a quanto affermato da Bettalli: la produzione storica non viene effettuata a partire dall’analisi dei reperti con metodo scientifico; a priori, è orientata a confermare tesi presenti in fonti letterarie (in questo caso specifico, testi religiosi) e funzionali all’affermazione di un tipo di politica o di ideologia.

Ed allora: ri-studiare la storia è necessario. La storia, in questo senso, rappresenta un vero e proprio anticorpo contro i disastri della geopolitica. Non serve solo a farci sapere come siamo arrivati fino a qui, ma soprattutto a renderci consapevoli che il modo in cui vengono ricostruiti gli avvenimenti del passato – è nota l’affermazione secondo cui la storia la scrivono i vincitori – influenza il modo in cui interpretiamo i fatti di oggi. Per questo motivo, la storia arcaica è tanto importante quanto quella contemporanea e dovrebbero essere soprattutto le persone giovani a essere messe in condizione di desiderare di studiarla.

https://www.corriere.it/opinioni/23_aprile_28/importanza-studiare-storia-vite-altri-memoria-fd2de200-e5db-11ed-b98e-227d9ceb5d4e.shtml
https://youtu.be/_UdWqR5WPYk?si=ZuZBsw0DJ1Qqw4bm
https://www.geopop.it/panoramica-dei-56-conflitti-in-corso-nel-mondo-e-davvero-la-terza-guerra-mondiale-a-pezzi/
https://www.consilium.europa.eu/it/policies/european-defence-readiness/
https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/rearm-europe-la-svolta-storica-nella-difesa-ue-e-il-ruolo-chiave-dellitalia/
https://altreconomia.it/rearm-europe-muove-il-primo-passo-ecco-come-si-costruisce-uneconomia-di-guerra/
https://www.youtube.com/live/DyELm603Bao?si=sfJWuW_N7g81Cc8g
https://www.unacitta.it/it/intervista/2168-