L’avvento dell’euro e la stagnazione italiana. Nel libro “Eurosuicidio” Gabriele Guzzi riflette sulle politiche monetarie europee e sugli errori delle classi dirigenti che hanno svalutato il lavoro.
Di Francesco Barbagallo, il Corriere del Mezzogiorno
È stato appena pubblicato un libro importante di un giovane studioso e politico che fornisce una analisi originale della profonda crisi che attanaglia l’Italia dall’anno della sua nascita, il 1993, che coincide non a caso con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, da cui scaturirà nel nuovo millennio l’euro.
L’Europa vive da decenni una crisi profonda, segnata dalla stagnazione economica, il crollo demografico, la caduta della partecipazione politica. Non si tratta di un incidente della storia, ma dell’esito di scelte strutturali compiute fin dalle origini dell’Unione Europea. L’Italia è il Paese che ha pagato il prezzo più alto, perché era il più lontano dal modello imposto all’Unione Europea. La terribile stagnazione italiana dell’ultimo trentennio trova nel processo di integrazione nell’Unione la causa istituzionale più rilevante. Nel trentennio post-bellico l’Italia era cresciuta in modo straordinario, aveva creato un sistema di Welfare (Stato Sociale) grazie a una efficiente economia mista, si era imposta come una delle economie più dinamiche al mondo, aveva ridotto le disuguaglianze.
Dopo il “Trentennio glorioso” (1945-1975) è subentrato il “Trentennio maledetto” seguito al Trattato di Maastricht. È cambiato tutto, i giovani sono stati i più colpiti. Altro che generazione Erasmus. È stata la generazione Maastricht. Rispetto a prima dell’Unione Europea i giovani italiani sono oggi più poveri, più disoccupati, più spesso costretti a emigrare. Nell’ultimo ventennio l’Italia ha perso il 20% dei propri giovani, 3 milioni e mezzo sotto i 35 anni.
Questa generazione ha visto lo smantellamento dell’industria pubblica, le privatizzazioni, gli investimenti ridotti per sanità e istruzione, ricerca e sviluppo, il predominio della finanza sul lavoro, la crisi profonda della politica. Altro che la posticcia ideologia dell’Unione Europea a 27 Paesi in grado di minacciare l’egemonia degli Stati Uniti! Dal 1950 al 1991 (l’anno prima del Trattato di Maastricht) il PIL pro capite italiano era cresciuto di più del 420%; dal 1999 al 2022 la crescita si è quasi azzerata, solo il 5%.
La modifica del sistema monetario con l’avvento dell’euro ha bloccato l’economia italiana, la produttività italiana è divenuta stagnante, calando addirittura del 2%. L’integrazione europea ha cambiato la struttura della nostra economia, indirizzandola ancor più verso settori a basso valore aggiunto, scarsa innovazione e bassi salari. La rinuncia alla sovranità monetaria e quindi alla manovra sui tassi di cambio ha sbarrato all’Italia tutte le porte aperte dalle sue tradizionali leve di crescita.
Il miraggio del modello nordico nell’integrazione europea non è stato certo l’unica causa del declino italiano, ma è stato il più rilevante sul piano istituzionale. Le classi dirigenti italiane hanno tentato di correggere le debolezze della nostra economia, ma hanno finito per smantellarne i punti di forza per seguire la dominante ideologia neoliberista e il mito della Germania che intanto accumulava enormi saldi commerciali a spese dei Paesi europei più deboli e degli Stati Uniti.
Il fatto incredibile è che tutti i maggiori economisti, liberali, neokeynesiani, monetaristi, marxisti, neoclassici, sraffiani, americani, europei, avevano indicato, per una unica volta concordi, i pericoli esiziali della moneta unica europea. Una moneta senza Stato era un progetto senza testa. “L’Unione Europea, scrive Guzzi, è diventata un ircocervo (assurdo) giuridico dove alcune prerogative sono state delegate a livello continentale mentre altre sono rimaste a livello nazionale. Ma questa parzialità nella costruzione non fu un errore. L’apparato culturale dell’epoca ricercava questo risultato, in quanto si fondava su una concezione impolitica, antistatuale ed elitaria dei rapporti tra democrazia e capitalismo”.
L’Italia rinunciava alle svalutazioni riequilibratrici, doveva quindi svalutare la forza-lavoro. Per competere sui mercati internazionali dovevano perciò crescere la disoccupazione e ridursi i salari. La classe dirigente italiana ha fatto ammenda delle tradizionali svalutazioni monetarie, ma ha realizzato una terribile svalutazione del lavoro. Per tenere in vita un’area monetaria che non funzionava si è scelto di rinunciare alla crescita.
Come scrisse il Premio Nobel Joseph Stiglitz, nel 2011 “la crisi dell’euro l’ha creata l’euro. La vulgata secondo cui la crisi dell’euro sarebbe da ascrivere al disavanzo pubblico dei Paesi è falsa, come avrebbe dovuto essere ovvio”. Contemporaneamente l’altro Premio Nobel Paul Krugman stigmatizzava le scelte masochistiche delle classi dirigenti italiane: “adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò implica”.
Il giudizio, drammatico e incontrovertibile, di Guzzi è che l’adesione all’euro ha comportato che “il potere monetario è stato ceduto a un ente che non è chiamato a garantire nessun debito pubblico, non risponde a nessun organo statuale, non fornisce alcuna protezione finanziaria e, soprattutto, esercita un’indebita e pressante forma di potere indiretto verso i parlamenti e i governi democraticamente eletti”. L’equilibrio di potere tra politica e finanza è stato spostato tutto a vantaggio della finanza. Entità private internazionali possono togliere ai poteri pubblici le risorse finanziarie necessarie al loro funzionamento.
Perciò parlamenti e governi hanno perduto i loro attributi di decisori politici e si sono ridotti a ruoli di impotenti mestieranti. Se ne sono accorti gli elettori, che in Italia e in Europa avevano conosciuto ben altri confronti politici, e da tempo non partecipano più a queste spettrali messinscene. Le classi dirigenti europee hanno dimostrato completa sfiducia nei processi democratici, mentre hanno coltivato l’illusione malefica della neutralità del potere monetario.
La Banca Centrale Europea, che si favoleggiava quale neutrale organo tecnico, è diventato l’organo più politico e decisivo dell’Unione Europea. Una decina di tecnici al di sopra di ogni regola democratica decidono del destino di Paesi e della sopravvivenza di istituti finanziari. Gli Stati europei dell’Unione non hanno il controllo della valuta in cui si indebitano, il che ne ha ridotto profondamente la sostanza democratica e ha anche aggravato le crisi finanziarie, come dimostrò nel 2015 il vergognoso comportamento della Germania e dell’Unione Europea nei confronti della Grecia. “L’Italia, scrive Guzzi, ha fatto così più austerità degli altri, ha privatizzato più degli altri, ha liberalizzato più degli altri. Il nostro declino non è un effetto collaterale dell’Unione Europea. È un suo prodotto. È proprio perché si è adeguata ai suoi dettami che l’Italia ha messo in atto un’efficace strategia per la propria marginalizzazione”.
Le privatizzazioni hanno indebolito lo Stato che in Italia con le sue partecipazioni faceva maggiormente ricerca e sviluppo. Quindi il nostro Paese è rimasto soffocato in un assetto che ha devastato la prosperità economica, ha depresso la dinamica della produttività e ha ridotto i salari reali in una misura impressionante. La rinascita dell’Italia, conclude Guzzi, richiede “un’opera rifondativa di natura filosofico-culturale. L’Italia ha una vocazione universale. È stata grande quando si è pensata al di là della sua identità. Anzi, la sua stessa identità è questa sua vocazione all’universale”.
La generazione di Maastricht non deve essere solo una vittima della storia. “Può diventare un soggetto capace di rinnovare il contesto politico e culturale”.
Gabriele Guzzi, Eurosuicidio. Come l’Unione Europea ha soffocato l’Italia e come possiamo salvarci, prefazione di Lucio Caracciolo, Fazi Editore, Roma 2025
Fonte: La Zona Grigia










