Al Tribunale de L’Aquila il 2 aprile 2025 è iniziato un processo contro tre palestinesi accusati di terrorismo. Si tratta di tre cittadini palestinesi, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh, accusati di associazione sovversiva con finalità di terrorismo.
Le udienze si stanno susseguendo a ritmo serrato, con la presumibile intenzione di arrivare al più presto ad una condanna, che potrebbe comportare l’estradizione verso Israele, Stato che ne ha richiesto l’arresto, Stato dove i rischi di tortura e trattamenti inumani sono concreti, Stato a cui il governo italiano ha ubbidito prontamente.
Fin dalle prime udienze sono emerse forzature e arbitrii che conducono con ogni evidenza a una “sentenza già scritta”; in particolare: sono state ammesse al dibattimento le “prove” raccolte dalle autorità israeliane sulla base di interrogatori svolti nei territori occupati, quindi senza la presenza degli avvocati difensori, e con “il sospetto” di torture agite a scopo di estorcere le notizie; della lista dei testimoni della difesa ne sono stati ammessi solo 3 su 39, fatto che risulta ledere il diritto alla difesa degli imputati; il Giudice, durante la prima udienza, ha fatto sgomberare l’aula dalla presenza dei solidali, dopo le proteste contro il palese stravolgimento delle parole di Anan Yaeesh da parte del traduttore.
A l’Aquila è lecito ritenere pertanto che sia in corso un processo basato su manipolazioni e forzature sul piano procedurale e che sul piano politico. Le autorità italiane stanno agendo per conto delle autorità israeliane, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh non hanno commesso alcun reato in Italia; le accuse, gli indizi e “le prove” a loro carico sono prodotte dalle autorità (militari) israeliane. Emerge così anche la sottomissione delle autorità italiane agli interessi di Israele.
Questo processo inoltre avviene in un clima politico avvelenato dalle forzature del governo italiano che, ad esempio, prova ad imporre il Decreto Sicurezza per accelerare l’attuazione di strumenti repressivi contro i movimenti popolari; avviene in un contesto in cui lo Stato di Israele continua a compiere un genocidio del popolo palestinese, con la complicità nei fatti di Stati Uniti e di Europa.
L’informazione nel nostro Paese sembra non avere interesse a indagare e quindi denunciare quello che accade nelle aule di Tribunale all’Aquila. Forse questo avviene anche per evitare che attorno ad Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh si sviluppi una mobilitazione di solidarietà ampia e che “il caso” diventi una questione politica.
Puntare i riflettori su questo procedimento giudiziario, che sembra nascondere molti, troppi punti oscuri, attraverso una informazione libera e indipendente vuole essere un modo di difendere tre persone, che potrebbero e dovrebbero essere accolte come rifugiati politici (Anan Yaeesh, ad esempio, porta i segni delle torture subìte nelle prigioni israeliane) invece che essere trattate come criminali, visto che in Italia non si sono macchiati di nessun delitto.
Teniamo i riflettori puntati e proviamo a uscire dal silenzio e dalla passività, facciamo rumore, per uscire dalla collusione implicita che attraversa spesso le vicende di asse tra Israele e governo italiano.