L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del mondo del lavoro, nel suo recente  rapporto “Prospettive occupazionali e sociali nel mondo: Tendenze 2024” (Profits and poverty: The economics of forced labour), analizzando il mercato del lavoro nell’attuale scenario globale ha rivelato come i guadagni illeciti ottenuti dal lavoro forzato ammontino ogni anno a 236 miliardi di dollari, con un incremento del profitto illegale tratto dal lavoro forzato negli ultimi 10 anni di 64 miliardi di dollari (pari al 37%). Un aumento vertiginoso spinto sia dall’aumento delle persone sfruttate che dai maggiori profitti per vittima. Stiamo parlando di trafficanti e di criminali che guadagnano quasi 10.000 dollari per vittima, rispetto agli 8.269 dollari (al netto dell’inflazione) di dieci anni fa. Nello scorso anno, nonostante una crescita leggermente superiore alle previsioni e la riduzione della disoccupazione, i salari reali sono diminuiti, contribuendo all’aumento della povertà lavorativa: l’occupazione informale ha raggiunto i 2 miliardi di persone nel 2023, mentre le fragilità finanziarie minacciano occupazione, condizioni di lavoro e salari. E nel 2024, poi, circa il 58% dell’occupazione globale sarà informale/in nero ed è probabile che la povertà lavorativa persista.

Secondo il rapporto, gli shock di reddito e la povertà sono i due principali fattori economici che spingono gli individui verso il lavoro forzato. Altri fattori di rischio e di vulnerabilità comprendono la mancanza di istruzione, l’analfabetismo, la parità di genere e la migrazione. Il 2023 ha visto poi un forte peggioramento del contesto economico internazionale, con tensioni geopolitiche persistenti e una crescente inflazione che ha spinto le banche centrali di molti paesi a reagire con aumenti dei tassi di interesse senza precedenti, innescando rallentamenti economici significativi, soprattutto nelle grandi economie emergenti come Cina, Turchia e Brasile.

I guadagni illegali annuali massimi si registrano nel Vecchio Continente e in Asia Centrale (84 miliardi di dollari), seguiti da Asia e Pacifico (62 miliardi), Americhe (52 miliardi), Africa (20 miliardi) e Paesi arabi (18 miliardi). Oltre due terzi (73 %) del totale dei profitti illeciti provengono dallo sfruttamento sessuale commerciale, nonostante rappresenti solo il 27% del numero totale di vittime di lavoro forzato imposto da privati. E le prospettive globali indicano un aumento contenuto della disoccupazione nel 2024, con una stima di un tasso del 5,2%.

E’ lo sfruttamento sessuale forzato a fini commerciali a rappresentare più di due terzi (73%) del totale dei profitti illegali, anche se rappresenta solo il 27% del numero totale di vittime del lavoro imposto da privati.
E ciò è dovuto all’enorme differenza nei profitti per vittima tra il lavoro forzato generato dallo sfruttamento sessuale e altre forme di sfruttamento del lavoro forzato nel settore privato: profitti di 27.252 dollari per vittima per il primo contro 3.687 dollari per vittima per il secondo. Subito dopo il lavoro forzato per sfruttamento sessuale a fini commerciali come settore che annualmente trae i maggiori profitti illegali, abbiamo il lavoro forzato nell’industria che frutta 35 miliardi di dollari americani di profitti, i servizi (20,8 miliardi di dollari), l’agricoltura (5,0 miliardi di dollari) e il lavoro domestico (2,6 miliardi di dollari). Si tratta di profitti illegali derivanti dai salari dei lavoratori che gli sfruttatori trattengono in maniera coatta.

Il rapporto mette in evidenza l’impellente necessità di investimenti e di misure in grado di arginare i flussi di profitti illegali e di perseguire gli sfruttatori, raccomandando il rafforzamento del quadro normativo, di una maggiore e più efficace formazione per i funzionari delle forze dell’ordine, l’allargamento delle attività ispettive ai settori ad alto rischio e un maggior coordinamento tra le autorità responsabili per il lavoro e quelle penali. E’ certamente possibile porre fine al lavoro forzato, ma non basta la sola applicazione della legge. Le azioni di contrasto devono essere parte integrante di un approccio globale che dia priorità all’affrontare le cause profonde e alla protezione e tutela delle vittime.

E proprio nei giorni scorsi l’accordo  raggiunto nel corso di un incontro di esperti sulle politiche salariali,  a febbraio, è stata approvata dall’organo direttivo dell’ILO. Un accordo che stabilisce  che il salario dignitoso: è il livello salariale necessario per garantire un tenore di vita dignitoso ai lavoratori e alle loro famiglie, tenendo conto delle circostanze del paese e calcolato per il lavoro svolto durante il normale orario di lavoro; è calcolato secondo i principi dell’ILO sulla stima del salario dignitoso; è da raggiungere attraverso il processo di fissazione dei salari in linea con i principi dell’ILO sulla fissazione dei salari.