L’Unione europea esternalizza i controlli di frontiera e legittima accordi che violano i diritti umani_

Potrebbe apparire ormai scontata l’approvazione da parte del Parlamento europeo del Patto sulla migrazione e l’asilo, in discussione dal 2020 e già condiviso dalla Commissione e dal Consiglio dell’Unione europea. Si tratta di cinque nuovi Regolamenti, con una revisione della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure per l’esame delle domande di asilo, che verrebbe rifusa in un nuovo Regolamento, dunque in un atto direttamente vincolante per tutti gli Stati membri, che invece, anche dopo una Direttiva, possono mantenere, come è avenuto, disposizioni interne notevolmente dissonanti. L’entrata in vigore della nuova normativa europea, che richiederà comunque un complesso lavoro di raccordo tecnico tra i diversi regolamenti, potrebbe essere bloccata soltanto da una residua resistenza da parte dei paesi a guida sovranista, in particolare dall’Ungheria di Orban, o da una grande mobilitazione che dia forza alla esigua rappresentanza parlamentare della sinistra europea.

I partiti europei più grandi devono presentarsi ai loro elettori con uno straccio di risultato nella “gestione comune” delle frontiere e dell’asilo e nelle politiche di rimpatrio forzato, assortite ipocritamente ad un ricorrente richiamo alla cooperazione internazionale ed alla solidarietà, che di fatto si traduce nella legittimazione di accordi già stipulati o ancora da concludere con regimi autoritari che non garantiscono alcuna tutela dei diritti umani e che ricattano gli Stati europei sulla base del proibizionismo delle migrazioni, che per molti partiti europei garantisce un sicuro incasso elettorale. Gli autocrati al potere nei paesi di transito negoziano così accordi per bloccare i migranti ed incassare vantaggi economici e legittimazione politica. Anche se poi gli arrivi delle persone in fuga verso l’Europa riprendono, non appena le condizioni meteo migliorano. Mentre le organizzazioni criminali incrementano i loro profitti perchè, al di là dei canali legali aperti sulla carta a poche categorie di migranti, la maggior parte delle persone, di diverse nazionalità, intrappolate ai confini esterni dell’Unione europea, non trovano alternative reali all’ingresso irregolare, a costo di pericolose traversate del mare e di sofferenze sempre più atroci sulle rotte dei Balcani.

Il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo salda la dimensione esterna dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, con la nuova dimensione interna, basata su maggiori poteri degli Stati nazionali nel controllo delle frontiere interne e sul forte ridimensionamento del diritto alla protezione nel caso di persone provenienti da paesi terzi ritenuti sicuri. Di fatto si potrebbe arrivare alla ratifica delle peggiori prassi amministrative che alcuni paesi, come l’Italia, hanno già introdotto sulla base di scelte politiche unilaterali o di accordi bilaterali con paesi terzi che non rispettano i diritti umani.

Gli obiettivi del nuovo Patto enunciati da Bruxelles nascondono la vera sostanza delle politiche europee di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Tra le misure da addottare nei confronti dei paesi terzi l’Unione europea si acconge a legiferare per: “azioni rafforzate e attività trasversali nella dimensione esterna della migrazione”;“una maggiore sensibilizzazione diplomatica e politica;“strategie di comunicazione coordinata”; “sostenere politiche migratorie efficaci e basate sui diritti umani nei paesi terzi”; e ancora per “promuovere la migrazione legale e una mobilità ben gestita, anche rafforzando i partenariati bilaterali, regionali e internazionali in materia di migrazione, sfollamento forzato, percorsi legali e partenariati per la mobilità”. In realtà al centro delle misure legislative che saranno adottate prima della prossima scadenza delle elezioni europee ci saranno norme per esternalizzare il diritto di asilo, aumentare la collaborazione dei paesi terzi nei respingimenti collettivi su delega, rendere più efficienti i meccanismi di rimpatrio con accompagnamento forzato e diffondere le procedure di rimpatrio volontario, che spesso diventano una scelta obbligata. Una massa enorme di risorse finanziarie destinate alla riduzione della presenza di immigrati nell’Unione europea, alla sostanziale sterilizzazione del diritto di asilo, ed al contrasto degli arrivi attraverso canali irregolari, gli unici rimasti davvero aperti per la maggior parte delle persone che sono costrette ad abbandonare il proprio paese. Nel caso dell’Italia risorse pubbliche ingenti , da integrare con i fondi provenienti da Bruxelles, ma poco tracciabili nella Relazione tecnica che accompagna la legge di ratifica del Piano Mattei per l’Africa.

Come emerge dai più recenti documenti diffusi da Statewatch, il significato della parola solidarietà sarà ormai capovolto quando l’Unione europea tradurrà l’intesa politica già maturata lo scorso dicembre a Bruxelles in atti legislativi, quindi in Direttive e Regolamenti, che ratificheranno le peggiori prassi di esternalizzazione dei controlli di frontiera già avviate sulla base di accordi bilaterali interstatali, come il Memorandum d’intesa Gentiloni con il governo provvisorio dei Tripoli del 2017, o di intese unionali, come gli accordi con la Turchia del 2016 o il più recente Memorandum d’intesa UE-Tunisia, fortemente sostenuto dal duo Meloni-Von der Leyen. Non si tratterà più di solidarietà verso chi fugge da paesi in guerra permanente, o per effetto di disastri climatici, o per una povertà che rende impossibile la sopravvivenza, ma di cooperazione tra gli Stati europei e tra questi ed i cd. paesi terzi, per bloccare le partenze e rendere effettive le misure di espulsione, con la esternalizzazione persino della detenzione amministrativa, come si progetta con il più recente Protocollo d’intesa tra Italia ed Albania.

Bersagli designati di queste politiche europee e nazionali(stiche) saranno il diritto di asilo ed il principio di non discriminazione, riconosciuti tanto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, quanto nelle Costituzioni nazionali, in Italia agli articoli 2,3 e 10 della Costituzione italiana, che rimarranno comunque un argine contro l’applicazione di quanto previsto a livello europeo dal nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, quando si tratterà di adottare la legislazione nazionale derivata e di applicare le conseguenti prassi amministrative. La ventata tossica della nuova legislazione europea diretta principalmente alla esternalizzazione dei controlli di frontiera, senza l’apertura di canali legali di ingresso ed il riconoscimento effettivo del diritto di asilo, anche attraverso il ricorso alla categoria dei cd. “paesi terzi sicuri”, non riguarderà due importanti atti della legislazione europea che, seppure regressivi al momento della loro adozione, costituiscono oggi un baluardo contro le nuove norme europee e le prassi violente che ne deriveranno quando saranno affidate alla cooperazione di polizia (law enforcement) con paesi che non rispettano i diritti umani e gli abblighi di soccorso sanciti dalle Convenzioni internazionali.

La Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri non sarà modificata dalle misure legislative che saranno adottate sulla base del nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, per la semplice ragione che sulla sua rifusione i partner europei non sono riusciti a trovare un accordo, per la prevalenza delle politiche sovraniste e delle prassi di rimpatrio con accompagnamento forzato adottate a livello nazionale. La “Direttiva delle vergogna”, così definita nel 2008 al momento della sua approvazione, contiene norme importanti come le garanzie nelle procedure di accompagnamento forzato, una consistente limitazione, trascurata dagli Stati membri, nel ricorso alla detenzione amministrativa, che andrebbe appllicata come misura residuale e non automatica, il riconoscimento effettivo del diritto di difesa e del diritto di chiedere asilo prima dell’esecuzione dell’allontanamento forzato in frontiera. Le nuove norme europee non modificheranno sostanzialmente neppure il Regolamento Dublino III del n.604 2013, che prevede precise garanzie in favore dei richiedenti asilo in caso di movimenti secondari ed impedisce la redistribuzione dei nauftraghi sbarcati in Italia e in altri paesi costieri dell’Unione Europea, se non acquistano prima la veste formale di richiedenti asilo, rendendo ancora illegali le prassi imposte in passato da un ministro dell’interno che chiedeva i “pieni poteri”, per subordinare la concessione di un porto di sbarco alla redistribuzione in Europa di tutte le persone soccorse in mare, e non soltanto di coloro che avrebbero formalizzato una richiesta di protezione.

Il Regolamento europeo n.656 del 2014, che rimarrà in vigore, anche per effetto del successivo richiamo contenuto nel Regolamento UE n. 1896/2019, disciplina le operazioni di ricerca e soccorso in mare svolte dall’agenzia Frontex, e riguarda direttamente anche gi Stati che ospitano i mezzi utlizzati dall’agenzia, dettando limiti precisi alla collaborazione con i paesi terzi che non risconoscono effettivamente i diritti umani e gli obblighi di soccorso in mare, con un espresso richiamo alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e alle Convenzioni internazionali di diritto del mare che fissano gli obblighi di ricerca e salvataggio a carico degli Stati. Si deve anche ricordare che l’art.53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati vieta accordi internazionali, comunque denominati, che violino i principi cogenti di Diritto internazionale. E’ nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale.

Per resistere all’applicazione delle nuove misure legislative adottate a livello europeo per la esternalizzazione dei controlli di frontiera diventa sempre più importante il ricorso alla giurisdizione, dunque ai giudici internazionali, che dovranno essere sottratti all’influenza dei governi nazionali, ed alla magistratura nazionale, per la quale si dovranno difendere i principi cositituzionali di indipendenza ed il principio di legalità, contro la ricorrente intrusione di decisioni politiche che arrivano ad aggirare anche la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, come si è verificato dopo la condanna subita dall’Italia nel 2012 sul caso Hirsi, per i respingimenti collettivi illegali in Libia. E lo stesso tentativo di aggiramento delle pronunce degli organi giurisdizionali si verifica in Italia, non appena un giudice adotta una decisione che non collima con l’indirizzo politico del governo, lo si è visto in un passato ormai lontano (dal 2001 al 2004) rispetto alle pronunce della Corte Costituzionale in materia di detenzione amministrativa, e lo stamo vedendo ancora oggi dopo lo stop imposto dai giudici italiani alle procedure “accelerate in frontiera” per i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”.

‘La questione della giurisdizione non può tradursi in una fuga dalle responsabilità in acque internazionali, anche dove si afferma la giurisdizione nazionale per il perseguimento di reati come l’agevolazione dell’ingresso irregolare. Oltre alla dimensione interna della giurisdizione sarà ancora più importate affermare il rispetto della giurisdizione nazionale ed europea ai confini esterni dell’Unione, ovunque si voglia portare avanti il processo di esternalizzazione dei controlli di frontiera, che non può tradursi nella totale esclusione di una qualsiasi giurisdizione effettiva che possa garantire i diritti fondamentali delle persone migranti, a partire dal diritto alla vita, con il conseguente diritto di ottenere soccorso in mare e di chiedere protezione in un paese sicuro. Anche dove ci sia soltanto cooperazione operativa, assistenza tecnica, formazione congiunta e cessione di mezzi di controllo delle frontiere o di attrezzature tecnologiche, non si può escludere la giurisdizione (magari concorrente) degli Stati europei sulle violazioni subite dalle persone in movimento che ne sono vittima ad opera di entità statali o di formazioni militari di paesi terzi che non riconoscono loro alcun diritto. Dove lo Stato si riserva un potere coercitivo esercitato con sanzioni penali, o misure amministrative, anche al di fuori delle proprie acque territoriali, con delega di poteri di respingimento a paesi terzi e sulla base di una articolata cooperazione operativa supportata dall’Unione europea con l’agenzia Frontex, si deve affermare una correlata responsabilità nazionale e internazionale a fronte delle violazioni dei diritti umani subite dalle persone migranti alle frontiere esternalizzate e per i casi di omissione di soccorso o di abbandono in mare. Qualsiasi modifica possa essere apportata dal nuovo Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, non potrà scalfire il nucleo irridicibile dei diritti umani sanciti dalle Convenzioni internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali e dai Trattati dell’Unione europea e dalle Costituzioni nazionali. E per ogni violazione di questi diritti che si possa accertare ci dovrà essere una corrispondente sanzione. Lo richiede lo Stato di diritto, alla base delle Costituzioni nazionali e dei Trattati europei. Non si tratta di difendere soltanto soggetti deboli, è in gioco la democrazia in Europa e in Italia.