La situazione a Gaza è ad un punto che potrebbe essere di non ritorno. Il genocidio sistematicamente perpetrato da Israele contro la popolazione civile non consiste semplicemente in un massacro generalizzato tendente ad uccidere il maggior numero di individui, ma si avvale anche di una strategia attentamente studiata, e finalizzata a creare le condizioni perché l’intera comunità palestinese venga distrutta attraverso una morte civile senza via di scampo, se non forse attraverso la dispersione o il possibile esodo di massa.

Il mostro nazista israeliano non uccide solo colpendo nel mucchio, ma sceglie anche in modo preciso gli obiettivi per distruggere i luoghi pubblici di aggregazione sociale e di convivenza civile. In pratica dalle notizie che arrivano da Gaza è certo che ad essere colpiti e distrutti sono soprattutto gli ospedali, le scuole e le moschee. Un comportamento la cui unica motivazione non può che essere il tentativo di cancellare l’esistenza di un popolo non solo uccidendo i suoi bambini, le sue donne e i suoi uomini, ma creando anche le basi di una desertificazione sociale e culturale che deve produrre il definitivo colpo di grazia.

I tempi stringono e l’ottimismo che spesso anima chi pensa che le vittime prima o poi avranno giustizia, in realtà non è giustificato dall’esperienza storica. Basterebbe fare l’esempio della distruzione sistematica delle popolazioni amerinde e della loro cultura, perpetrata dai conquistatori bianchi europei che si è compiuta senza che nessuno mai pagasse e senza che nulla sia mai stato restituito alle vittime. La situazione sociale politica e culturale delle Americhe di oggi è il prodotto di quegli antichi misfatti, ma nessuno di coloro che le abitano oggi può essere considerato colpevole. L’orrore è stato compiuto e i giochi sono stati per sempre chiusi.

Anche la stessa esistenza di Israele è figlia di un peccato originario a cui è oggi impossibile porre rimedio. Quando i primi coloni sionisti iniziarono a occupare le terre della Palestina appoggiati dall’Occidente, con il pretesto veramente vergognoso, assurdo e risibile, che su quelle terre migliaia di anni prima aveva abitato una popolazione che aveva il loro stesso credo religioso, i palestinesi e i vicini paesi arabi avevano tutto il diritto di combatterli e di ricacciarli da dove erano venuti, come in realtà cercarono di fare. Dal momento che quel tentativo non ebbe successo, settantacinque anni dopo e a tre generazioni di distanza le popolazioni israeliane che abitano la Palestina hanno di fatto acquisito il diritto di restare dove sono.  Questa sorta di diritto del più forte che storicizza i suoi delitti vanificandoli nel tempo, non si deve ripetere. Israele deve essere fermata dallo sdegno e dalla mobilitazione della comunità internazionale, e deve essere ricondotta entro i confini del 1967, gli unici riconosciuti dal diritto internazionale. L’alternativa, purtroppo tutt’altro che impossibile, è che il genocidio venga perpetrato con successo e che i suoi artefici la facciano franca, magari in attesa che la storia ristabilisca la verità con i suoi tempi, quando vittime, carnefici e testimoni saremo tutti morti.