All’Alta Corte del Regno Unito, gli avvocati difensori hanno posto la domanda cruciale: in che modo denunciare crimini e torture può essere peggiore che commetterli?

Che cos’è criminale?  – si domandano – Compiere esecuzioni extragiudiziali, stragi, torture di routine di prigionieri, corruzione illegale, effettuate da uno Stato celati sotto la dicitura “segreto di Stato”, oppure denunciare tali azioni pubblicando dettagli trapelati illegalmente su come, dove, quando e da chi sono state commesse?

Questa essenzialmente la domanda posta pochi giorni fa alla Royal Courts of Justice di Londra.

Ovviamente la domanda è retorica, ma non c’è di che stupirsi perché presso la corte inglese dove si sta giudicando Julian Assange spesso si è assisto a vere e proprie scene da teatro del grottesco più che a dei lavori processuali.

Stiamo parlando di un qualcosa che è iniziato dodici anni fa, ma che solo ora forse si avvia alla sua fine. È la storia di un uomo coraggioso un giornalista che si è messo al servizio della libertà d’informazione mettendosi contro i vertici di uno Stato che più volte ha agito in modo criminale. Julian Assange che per 5 anni prima ha dovuto rinchiudersi dentro un’ambasciata ecuadoregna a Londra accusato di un reato mai commesso, accusa inesistente tramite cui 7 anni fa fu prelevato con la forza dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra e che poi ha subito sette anni di detenzione in isolamento in un carcere di massima sicurezza in attesa di essere giudicato per spionaggio nei confronti degli Stati Uniti che ne chiedono la sua estradizione.
La corte si esprimerà sull’appello mosso contro la decisione di estradizione negli Stati Uniti, dove nel caso verrebbe processato ai sensi della legge sullo spionaggio per la pubblicazione di documenti, tramite WikiLeaks, che dettagliavano le azioni illegali degli Stati Uniti in Afghanistan, Iraq, Guantanamo Bay e altrove e che erano trapelati fino a lui dall’ex militare statunitense Chelsea Manning.

La gabbia del tribunale numero cinque, dove solitamente siedono gli accusati portati dal carcere mentre viene esaminato il loro appello, era vuota. Mancava il personaggio principale, Assange, che è al quinto anno di detenzione nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nonostante non sia stato condannato per nessun crimine. Assange è malato, troppo debole e malmesso per poter assistere o anche solo guardare il procedimento da remoto.

 

Con la decisione di questo appello sono direttamente in gioco la vita di Assange e della libertà di stampa e di parola.

Tornando indietro nel tempo, 50 anni fa avvenne un qualcosa di simile quando l’ex agente della CIA, Philip Agee fece trapelare i dettagli delle attività illegali del suo paese per conto dei dittatori di destra in America Latina alla rivista londinese Time Out.   Il caso di Philip Agee è stato citato durante l’udienza dagli avvocati di Assange.
Fondamentalmente, nonostante le false affermazioni dell’accusa, secondo cui le sue rivelazioni avrebbero portato alla morte di alcune persone, Agee non fu mai stato estradato negli Stati Uniti, sebbene sia stato deportato dalla Gran Bretagna da un governo laburista nel 1977.
Nel 2007, in Germania, poco prima della morte di Agee gli fu chiesto cosa potrebbe accadere ora a qualcuno se agisse come aveva fatto lui, divulgando informazioni per denunciare la criminalità statunitense. “Penso che sarebbe molto più difficile”, rispose all’epoca Agee. “Una persona che tentasse di fare quello che ho fatto io rischierebbe il rapimento e la possibilità di essere rinchiusa in una prigione segreta per molti anni a venire.” Aveva ragione, è esattamente ciò che ha subito in questi 12 anni Julian Assange.

In tribunale durante le udienze è stato citato anche un altro eroico rivelatore della verità, Daniel Ellsberg, morto l’anno scorso e che dovette affrontare le stesse accuse di Assange nel 1973 per aver denunciato le attività statunitensi in Vietnam – e che aveva testimoniato a suo favore in una precedente udienza.  La scelta di menzionare in tribunale questi due nomi è un’indicazione dell’importanza vitale di questa udienza.
Questo processo che già ha portato Assange ad essere l’ombra di sé stesso, definirà quanto ci sia rimasto di quel concetto sbandierato ai 4 venti in occidente, chiamato “libertà di parola”.

Come ha detto l’avvocato Fitzgerald alla corte, si tratta di “un procedimento giudiziario senza precedenti dal punto di vista legale, perché si cerca di criminalizzare l’applicazione delle pratiche giornalistiche ordinarie”.

Clair Dobbin KC rappresentante l’accusa da parte degli Stati Uniti ha affermato che le accuse contro Assange non sono politiche, bensì mosse perché è andato “ben oltre le azioni di un giornalista che stava semplicemente raccogliendo informazioni” secondo Dobbin, i giornalisti “responsabili” non avrebbero agito come ha fatto lui, sostenendo anche che, alcune delle persone identificate nel materiale trapelato hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni. Tuttavia, dalle prove fornite all’udienza di condanna di Manning nel 2013, è emerso che del gruppo di 120 agenti del controspionaggio USA citati, non era stata in grado di trovare una sola persona di cui si potesse dimostrarne la morte a causa delle rivelazioni di WikiLeaks.

Julian Assange se verrà estradato rischia negli Stati Uniti una condanna a 175 anni di carcere per accuse di spionaggio.
Colpisce il silenzio delle istituzioni italiane su questo caso. Mentre si moltiplicano gli appelli della società civile, l’ingiustizia mostruosa contro un uomo innocente e la distruzione della libertà di stampa sono fatti che sembrano non riguardare la Repubblica italiana e le sue istituzioni. Colpisce anche la scelta editoriale di quasi tutte le maggiori testate giornalistiche che hanno calato un irreale silenzio su quanto verrà deciso da qui a pochi giorni, in un processo di appello, dove non si decidono soltanto le sorti di un coraggiosissimo giornalista ormai ridotto allo stremo e con gravi problemi di salute, ma si processano anche libertà di stampa e di parola. Se passa il principio con cui oggi si vuole condannare Assange, domani qualsiasi altro giornalista, in Europa come in qualsiasi altro paese, solo per il fatto di scrivere un articolo di denuncia, alla stessa stregua potrà venire condannato.