“Non vedo in cosa l’elezione diretta del capo del governo significhi togliere potere al capo dello Stato, dato che noi abbiamo scelto di non toccare i poteri del capo dello Stato si crea secondo me un equilibrio che è un buon equilibrio, si rafforza la stabilità dei governi”. Queste affermazioni sono della Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante la conferenza stampa del 4 gennaio scorso.

Leggendo il testo del disegno di legge di revisione costituzionale predisposto dall’attuale governo si comprende senza dubbio che al Presidente della Repubblica verrebbero tolte almeno tre prerogative: ovviamente la nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri (visto che verrebbe eletto direttamente dai cittadini), la possibilità di sciogliere il Parlamento (che passa di fatto dal capo dello Stato al premier eletto) e la scelta di alcuni senatori a vita (istituto che verrebbe abolito). Pertanto, è evidente che la prima parte dell’affermazione di Giorgia Meloni è palesemente falsa.

La seconda parte del ragionamento, per la quale l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri rafforzerebbe “la stabilità dei governi”, non sembra corrispondere alla realtà storica. Infatti, se andiamo a vedere i motivi per i quali i governi di solito cadono, anche questa previsione appare errata. Ad esempio, i governi presieduti da Berlusconi, Prodi, Letta, Conte e Draghi sono venuti meno per le divisioni interne alle coalizioni che li sostenevano.

In effetti, se Giorgia Meloni fosse stata eletta direttamente a capo del governo, che cosa sarebbe cambiato? Di fatto nulla, poiché l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri rimarrà in carica fino a quando la coalizione di maggioranza resterà unita e darà la fiducia al governo da lei presieduto. In realtà, con l’introduzione del premierato ci sarebbe una differenza, perché se un governo non ottiene la fiducia delle Camere è previsto lo scioglimento automatico del Parlamento.

Secondo il testo della riforma costituzionale in caso di cessazione di un governo resterebbe la possibilità di formarne un altro senza ricorrere a nuove elezioni, ma soltanto se fosse guidato ancora dal Presidente del Consiglio dimissionario o da un altro parlamentare della stessa coalizione, con il vincolo di dover attuare il programma del governo appena caduto. Si tratta di un evidente controsenso, poiché non si comprende per quale ragione il governo uscente sarebbe stato sfiduciato.

Di conseguenza, l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri non darebbe maggiore (e nemmeno minore) stabilità al governo, ma aumenterebbe la probabilità e il rischio di ricorrere più spesso a nuove elezioni politiche. In altre parole, se sarà approvata la revisione costituzionale che introduce il premierato, di fatto non verrà condizionata o alterata la stabilità del governo, ma il sistema istituzionale nel suo complesso diventerà più instabile e precario.

Il possibile ricorso più frequente alle urne inciderebbe sicuramente sulla continuità dell’azione del Parlamento e di conseguenza del governo, di fatto rendendo più frammentaria la situazione politica e istituzionale. Che questo si possa definire “un buon equilibrio” appare francamente eccessivo.