“Diritti e rovesci”, l’intenso programma organizzato a Germignaga (Varese) in occasione del 75° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, si è sviluppato tra sabato 9 e domenica 10 dicembre con grande soddisfazione degli organizzatori (Cooperativa Ballafon, Pressenza, Comunità Operosa dell’Alto Verbano, Wopu Sound Trio e Ubuntu Generation) e del pubblico.

Venerdì 9 l’avvincente docufilm “Redemption Song”, introdotto dalla regista Cristina Mantis, ha mostrato la storia di Cissoko, profugo di guerra tra la Guinea, l’Italia, il Senegal e il Brasile, alternando sullo schermo le miniere a cielo aperto a cui si cerca di strappare un po’ di oro, l’isola degli schiavi di Gorè, da cui partivano le navi negriere e i discendenti degli schiavi che in Brasile mantengono vive con orgoglio le loro origini africane. Importante anche il ricordo delle profetiche parole di Thomas Sankara, pioniere della decolonizzazione, ancora oggi così difficile da realizzare perché richiede un affrancamento dalla schiavitù come forma mentale.

La regista ha saputo coinvolgere alcuni dei giovanissimi africani presenti in sala e il racconto delle loro drammatiche storie ha aggiunto un ulteriore tocco di verità a una serata densa di emozioni.

Anche domenica 10 la presenza africana è stata fondamentale: dapprima con l’ottimo pranzo etnico cucinato dalle donne della cooperativa Ballafon e poi con l’incontro “Diritto di partire, diritto di restare”, aperto dal saluto del senegalese Pierre Sané, ex-vicedirettore generale per le scienze umane e sociali dell’UNESCO, in collegamento da Parigi, che ha definito la Dichiarazione del 1948 “una risposta a tutti i mali del mondo” e “una dichiarazione d’amore per l’umanità.”

Subito dopo è partito un breve video girato a bordo della nave Ocean Viking di SOS Mediterranee Italia, a cui si è agganciato Abdelfetah Mohamed, scrittore e presidente della Ong, per sottolineare che il video mostra ciò che è ormai la normalità nel Mediterraneo. Le persone salvate dalle navi umanitarie sono naufraghi che il diritto internazionale obbliga a soccorrere, ha ricordato.

Eritreo, nato in un campo profughi in Sudan, ha lasciato il suo Paese per sfuggire al servizio militare imposto a tutti i giovani e ha condiviso con il pubblico l’esperienza del viaggio verso l’Europa. La descrizione degli ultimi cento metri da percorrere su una spiaggia libica per arrivare alla barca in attesa, sempre con la paura che il trafficante cambiasse idea e lo lasciasse a terra – “il viaggio più lungo della mia vita”, lo ha definito –  l’immagine delle luci dei cellulari accesi per l’ultimo saluto a casa, fino a quando non c’era più rete e il terrore una volta lontani dalla costa hanno coinvolto il pubblico con un’intensità che solo le esperienze personali possono trasmettere.

E’ seguito un collegamento da Roma con Giulia Cicoli, cofondatrice insieme a Nicolò Govoni e a Sarah Ruzek di Still I Rise, che apre scuole gratuite e di altissima qualità per bambini profughi e svantaggiati in luoghi difficili e dimenticati come la Grecia, la Siria, il Kenya, il Congo e prossimamente lo Yemen e la Colombia.  Accompagnata dalle immagini dei bambini seguiti nelle varie scuole, Giulia Cicoli ha raccontato la nascita di Still I Rise come una risposta spontanea alla vergognosa situazione in cui si trovavano migliaia di profughi bloccati nell’isola greca di Samos, tra cui molti minori non accompagnati. Così è stata aperta Mazi (in greco “insieme”), la prima scuola di Still I Rise, uno spazio sicuro in un luogo in cui non c’era niente di sicuro e poi tutte le altre.

E’ intervenuto poi Seidou Konate, presidente della Ballafon originario della Costa d’Avorio, che ha illustrato le attività della cooperativa multiculturale da lui fondata – centri di prima accoglienza, assistenza domiciliare, servizi di informazione, corsi di italiano, tirocini, laboratori di introduzione al lavoro, mediazione culturale,  musicoterapia e arteterapia – e soprattutto ha voluto condividere la motivazione che lo ha spinto a questa impresa. Arrivato in Italia, è stato accolto da una famiglia napoletana con 15 figli e ha voluto ricambiare l’affetto e l’ospitalità ricevuti dando le stesse possibilità di aiuto, accompagnamento e integrazione a chi è costretto a lasciare il suo Paese.

Uno spirito simile ha portato alla nascita della Comunità Operosa dell’Alto Verbano, raccontata da Gianfranco Malagola tornando indietro a un momento preciso: un incontro pubblico organizzato nel gennaio 2019, nel clima pesante creato dai decreti sicurezza di Salvini, dal titolo “L’Europa ha un cuore?”.  Un’affluenza di pubblico enorme e inaspettata, tante realtà che hanno raccontato le loro esperienze con i  migranti e la consapevolezza della necessità di mettersi in rete… Da lì è iniziato un percorso che ha portato – come spiegato in un  intervento successivo – ad attivare un progetto di accoglienza di minori sia italiani che stranieri in una rete di famiglie e a creare uno sportello di ascolto, accoglienza e orientamento. E tutto questo con un intento chiaro: trasformare le migrazioni da un’emergenza a una risorsa, arrivando a creare un modello di integrazione sul territorio.

In un nuovo intervento Abdelfetah Mohamed ha precisato che i salvataggi in mare avvengono sempre dopo aver informato le autorità italiane, maltesi e libiche e descritto le pericolose situazioni in cui si è trovata la nave Ocean Viking, con la Guardia Costiera libica – finanziata dall’Italia – che le ha sparato più volte durante un’operazione di soccorso in mare. Una possibilità di maggiore protezione potrebbe essere offerta dalla concessione della bandiera ONU alle navi umanitarie, come chiesto dalla petizione su change.org lanciata dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, RESQ People Saving People, Pressenza, ASGI, Pax Christi, Unimondo e Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo. 

Giulia Cicoli ha quindi descritto con maggiori particolari il progetto educativo di Still I Rise, con interventi in situazioni di emergenza come il Congo, dove le famiglie ricevono ogni mese pacchi alimentari per compensare il mancato stipendio dei figli strappati alle miniere di cobalto e coltan, fino alla scuola internazionale di alto livello aperta in Kenya e alla prospettiva di aprire scuole di eccellenza anche in Italia e in India.

Un ultimo intervento di Seidou Konate ha sintetizzato lo spirito della Ballafon: non basta dare vitto e alloggio alle persone che vengono affidate alla cooperativa. Bisogna seguirle ogni giorno, ascoltare i loro bisogni e coinvolgerle.

L’incontro si è concluso con un’immagine a futuro di possibili collaborazioni tra le varie realtà presenti, in un’ottica di dialogo e appoggio reciproco.

Tavoli e sedie sono stati poi spostati dal palco per fare posto agli strumenti del Wopu Sound Trio – la chitarra di Emiliano Candida e il piano di Enrico Salvato – e alla splendida voce di Cristina Barzi, con il loro concerto “Love, Tears and Joy”. Si è poi aggiunto il cantante, griot e attore senegalese Badara Seck, accompagnato da Dino Scandale alla kora, strumento tradizionale africano, con ritmi trascinanti che hanno attirato una parte del pubblico sul palco, in un finale allegro e travolgente.