La Caffaro è la storica fabbrica chimica nel cuore di Brescia che da decenni sparge veleni come policlorobifenili (PCB), le policlorodibenzodiossine (PCDD), dibenzofurani (PCDF), mercurio, arsenico, cromo esavalente e clorati in un raggio di oltre 22 km e che dal 2002 è sito di interesse nazionale in attesa di bonifica. Per 50 anni la Caffaro ha disperso ogni giorno 10 kg di Pcb, ovvero più di 150 tonnellate, quando la sua tossicità per l’uomo si calcola in nanogrammi. La Caffaro, insieme al caso Anniston in Alabama ad opera della Monsanto Company, rappresenterebbe al mondo uno dei maggiori esempi di inquinamento massivo da policlorobifenili in termini di quantità di sostanza tossica letale dispersa nelle acque e nel suolo per estensione del territorio contaminato, numerosità della popolazione coinvolta e durata della produzione.

Tra il 1982 e il 1984 in Franciacorta, propriamente nella discarica della Vallosa, vennero seppelliti i fusti delle scorie del Pcb della Caffaro. In questi anni si è parlato di bonificare la Vallosa, sempre a spese ovviamente delle collettività senza mai chiedere un soldo ai responsabili diretti e, nonostante tutto, non si è risolto il problema. I fusti di PCB della Caffaro sono uno dei punti focali di un disastro ecologico in Franciacorta poiché non durano in eterno e la sostanza che contengono è corrosiva. Oggi i Pcb percolano dal fondo e dalle pareti della discarica, arrivando in falda fino a 65 metri di profondità1. Di questo ne parliamo con Silvio Parzanini, ambientalista e presidente di Legambiente Franciacorta.

Da quando esiste il problema della discarica della Vallosa e da dove inizia la sua storia? Chi diede il permesso di seppellire i veleni della Caffaro?

Questa cava è stata scavata fin dagli anni Sessanta del secolo scorso e in assenza di leggi specifiche il privato proprietario della Caffaro ha fatto accordi personali con i produttori di rifiuti affinchè li scaricassero senza alcuna regola o precauzione. La cava di circa 45.000 m2 era aperta accessibile a tutti, vicina al casello dell’autostrada di Ospitaletto e li sono entrati rifiuti di ogni genere, dagli urbani a quelli pericolosi.

I veleni della Caffaro hanno quindi colpito anche la Franciacorta. Qual è tutt’ora il danno della contaminazione? Da dove e fin dove si estende? 

La Caffaro ha ammesso per iscritto che quella era la discarica dove conferiva gli scarti di lavorazione anche dei PCB. Nessuna autorità ha controllato. I danni derivano dal fatto che il fondo di questa cava non è assolutamente isolato perchè l’argilla che solitamente esiste sotto lo strato di sabbia in quest’area non fa da isolante ed è fratturata, consentendo così il percolamento dei veleni trascinati dalle acque meteoriche che entrano nel corpo rifiuti. il danno è dimostrato dal ritrovamento – da sempre -, attraverso le analisi dell’acqua dei piezometri installati attorno al perimetro, di sostanze pericolose e anche cancerogene come i PCB. Sostanze che sono state anche riscontrate nel sangue degli abitanti dell’attigua frazione Vallosa.

I carotaggi fatti negli anni hanno portato giovamento alla situazione?

I carotaggi fatti negli anni sono serviti perchè hanno dimostrato che i rifiuti della Caffaro (fusti contenenti i PCB) sono stati trovati. Il fatto è evidente a tutti, ma la bonifica non si è ancora fatta. Per noi di Legambiente non è più rinviabile.

I veleni della Caffaro dovrebbero essere una bonifica di “interesse nazionale”. Si parla da anni di una bonifica, ma non sembra un problema all’ordine del giorno. È ancora fattibile?

Questa discarica considerata tra le più pericolose in Italia va bonificata in modo tecnicamente all’avanguardia. Ci sono sistemi che consentono la selezione dei rifiuti presenti, separandoli e dandogli una nuova, adeguata destinazione. Si ritiene che in questa discarica circa il 20% dei rifiuti siano classificabili come PERICOLOSI (PCB_DIOSSINE ECC). In Italia non possono essere smaltiti e perciò dovranno essere portati all’estero, in siti idonei. Si calcola che circa il 30% siano classificabili come rifiuti speciali, smaltibili in discariche idonee (a Brescia ce ne sono diverse). Il resto dovrebbe essere composto da rifiuti recuperabili e riusabili. Se ciò è tecnicamente fattibile, il problema Vallosa si può risolvere, il che significherebbe estirpare questo cancro che tanto danno ha già fatto a questa parte della Franciacorta.

Si era anche proposto di trasferire i rifiuti della Vallosa alla Macogna di Cazzago San Martino. Come è finita?

Il trasferimento dei rifiuti dalla discarica Vallosa di Passirano alla Macogna è stata un’opzione ventilata a margine del recente tavolo tecnico al Pirellino, che ha fatto sobbalzare sulla sedia amministratori e residenti di Berlingo2, il paese più vicino in linea d’aria alla struttura posta in frazione Pedrocca (estremità meridionale del territorio di Cazzago San Martino). Già qualche un anno fa i gestori di parte della Macogna avevano proposto di svuotare tutta la Vallosa – dove si trovano anche le peci al Pcb fuoriuscite dalla Caffaro di via Milano a Brescia -, recuperare la ghiaia e trasferire il resto nel sito della Bassa Occidentale. Quel progetto fu cassato sia per le criticità ambientali che per i lavori di capping già in corso alla Vallosa, con il conseguente rischio di danni erariali nel bloccare l’intervento in corso d’opera. Il ritorno, seppur non ufficiale, di quello scenario ha provocato una levata di scudi collettiva a Berlingo. All’unanimità venne espresso l’assoluto, fermo ed incondizionato dissenso all’ipotesi di insediamento di nuove discariche e all’ampliamento di quelle esistenti a Berlingo e territori limitrofi. L’attenzione, comunque, resta alta in tutta Berlingo, memore della battaglia ambientalista del 2015, quando in oltre 5mila sfilarono per chiedere un altro modo di gestire i rifiuti, salvaguardando il territorio3

Ad oggi come si stanno muovendo le istituzioni locali, regionali e nazionali per risolvere il problema?

Il 26 settembre 2023, il gup del Tribunale bresciano Matteo Guerrerio ha deciso che nell’aprile 2024 si aprirà un nuovo processo a carico degli amministratori di Caffaro Brescia Srl – la società che fino all’autunno 2019 ha gestito lo stabilimento – e della società CSA (incaricata delle demolizioni, smantellamenti di impianti dismessi e di parte della bonifica) con l’accusa di disastro ambientale colposo, deposito incontrollato e omessa bonifica di rifiuti industriali pericolosi, gestione illecita di rifiuti e falso. Speriamo porti a risultati soddisfacenti. Per il resto le istituzioni non si stanno muovendo. Tocca alle istituzioni predisporre il progetto di bonifica che preveda lo svuotamento totale della discarica, il risanamento dell’area e la ricollocazione dei rifiuti in siti idonei e sicuri. Non è in nessun modo accettabile sostenere che siccome non si sa dove ricollocarli, conviene lasciarli dove sono. La Vallosa rientra nel SIN Caffaro, perciò tocca allo Stato intervenire e lo deve fare anche qui, non solo nello stabilimento Caffaro di via Milano a Brescia.

Credi che anche nella popolazione bresciana e franciacortina ci sia ancora un grande problema di ignoranza, di ignavia e indifferenza sul caso Caffaro e i suoi veleni, che riguardano la salute pubblica?

Molti, purtroppo, non sanno ancora oggi nel 2023 che in Franciacorta sono sepolti i fusti di PCB della Caffaro. Questo in parte è frutto della totale mancanza di interesse per il luogo in cui si vive, ma anche di un’indifferenza indotta nella popolazione da amministrazioni che non si sono mai battute per portare avanti la causa. Ad oggi, oltre all’apertura del Processo Caffaro 2, c’è un immobilismo politico sulla questione che è a dir poco imbarazzante.