Come succede da qualche anno, i lavoratori portuali in Italia riescono a coniugare la lotta per i diritti, contro ogni discriminazione e sfruttamento, con le iniziative concrete a fianco dei popoli oppressi. Hanno costruito una rete tra tutti i portuali e da anni, nel totale silenzio dei media, boicottano il trasporto di armi che partono o passano dai porti italiani.

Nel 2021 assieme ai Portuali di Livorno e Napoli abbiamo boicottato un carico di missili italiani diretti a Israele da usare contro la popolazione di Gaza. Ieri i sindacati palestinesi hanno lanciato un appello per tentare di bloccare la macchina bellica israeliana. Noi ci siamo sempre distinti per quanto riguardo la solidarietà internazionale a favore di quei popoli che alzano la testa contro gli oppressori. Siamo lavoratori che non si arrendono e che stanno a fianco di tutti i popoli in lotta.” Così scrive il Calp (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) in un suo comunicato. Più volte si sono rifiutati di essere complici del genocidio in Yemen, individuando e denunciando le navi saudite che trasportavano gli strumenti di morte.

Una rete consolidata, quella del Calp, in tutti i porti italiani, che meglio e più efficacemente di tanti bei discorsi, di tanti tentativi di analisi spesso demagogiche e dietrologiche, sintetizza con estrema chiarezza il filo rosso che unisce indissolubilmente la coscienza di classe, universale, alla lotta alle guerre e all’oppressione.

E mentre il governo italiano, prima la miscellanea Draghi, quindi il passaggio di testimone a Meloni, senza alcuna opposizione di rilievo, decideva l’invio di armi all’Ucraina e l’incremento delle spese militari, i portuali organizzavano scioperi contro la cobelligeranza dell’Italia.

Il 25 febbraio, alla manifestazione organizzata dal Calp di Genova, si univa anche la mobilitazione nazionale già indetta da USB Mare e Porti con sciopero di 24 ore in tutta Italia per la sicurezza sul lavoro, affinché i soldi destinati all’escalation bellica venissero destinati a tutelare la salute dei lavoratori e perché venisse stroncato il passaggio di armi nei porti italiani. E proprio il Comune di Genova, unica istituzione in tutta Italia, ha approvato una condanna del genocidio a Gaza, grazie al consigliere di “Uniti per la Costituzione” ed ex senatore Mattia Crucioli, che ha esibito in aula la bandiera palestinese.

Il collettivo dei portuali era presente anche alla manifestazione nazionale antimilitarista di Roma del 4 novembre, per denunciare la complicità dell’Italia nello sterminio di tantissimi civili in Palestina e indicare una modalità pacifica di lotta: il boicottaggio economico-commerciale, lo sciopero civile. Ognuno di noi, nel nostro piccolo, può dare un suo contributo: cercate i prodotti di Israele o le aziende che fanno affari con Israele e segnalateli, non comprateli.

Venite ad aiutarci e a sosteneteci il 10 novembre a Genova”, ha chiesto il Calp alla grande mobilitazione di sabato 4 novembre “Le guerre si fermano, non si festeggiano”, con la massiccia presenza di bandiere palestinesi. “L’appello a bloccare il varco di San Benigno, a Genova, all’alba di venerdì 10 novembre, è solo l’ennesimo atto di una lotta, quella contro il transito di armamenti dal porto, che il Collettivo autonomo dei lavoratori portuali porta avuti da oltre cinque anni”, riporta il Fatto Quotidiano.

“La catena logistica è necessaria ad alimentare i conflitti rifornendoli di armamenti e noi on vogliamo fare parte di questo ingranaggio”. La mobilitazione dei portuali genovesi, che oltre al sindacato di base Usb e al SiCobas trova il sostegno di diversi movimenti e associazioni pacifiste, nonviolente e umanitarie, segue analoghe proteste che in questi giorni si sono viste in Belgio e negli Stati Uniti, dove attivisti e sindacati contestano l’invio di armi verso il Medio Oriente. “La compagnia marittima Zim ha messo a disposizione la sua flotta per portare armi verso Israele – spiega Josè Nivoi, referente Mare e Porti dell’Unione sindacale di base.

“Forse siamo diversi, ma noi pensiamo che, soprattutto in periodi di crisi, si debba stare uniti tra lavoratori e non identificarsi col punto di vista del padrone.

Noi pensiamo che ci si debba organizzare, fare fronte comune, contro le condizioni di lavoro che peggioreranno, contro i licenziamenti che cominciano ad arrivare. La storia del porto è fatta di lavoro, di solidarietà, di lotte e di lavoratori che hanno saputo dire “NO” alle ingiustizie, al fascismo e alla guerra. Se si perde questo coraggio, se si rinuncia a interrogarsi sul proprio ruolo in questa società, ad avere la capacità di non collaborare, allora si rinuncia alla coscienza. Diventa tutto giustificabile e la storia ha già dimostrato fin dove si può arrivare.

Pensiamo anche ai traffici di armi che sono tornati prepotentemente nel porto; anche su questo non siamo e mai saremo indifferenti. La guerra la sappiamo combattere anche noi e non passa giorno o notte in cui i lavoratori non discutono e reagiscono. La solidarietà è tanta e la voglia di combattere altissima. I risultati sono e saranno difficili da ottenere, ma non ci lamentiamo.

Sarà dura.
Sarà rischioso.
Sarà quello che decidiamo.”

 

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