L’agenzia stampa Interris.it ci ha inviato questa documentata analisi della proposta del Consiglio d’Europa sui migranti, che volentieri pubblichiamo:

“Negli ultimi mesi si è parlato molto dei migranti che arrivano in Europa attraverso il Mar Mediterraneo.
E non sono mancate le polemiche.

Dell’argomento si è occupato anche il Consiglio d’Europa. Il 4 ottobre scorso è stata presentata una proposta in attesa dell’approvazione definitiva. Purtroppo, ad una lettura attenta, questo documento appare privo delle novità attese. A giugno 2023, il testo proposto era diverso.

La versione finale è molto più “soft”. Chi si aspettava un documento che contenesse nuove regole da imporre a tutti i Paesi dell’UE (con tanto di sanzioni) rimarrà deluso.

A cominciare dalla sua applicabilità: riguarderebbe, infatti, “eventi eccezionali”, ma i flussi migratori non sono “eccezionali”, né in termini temporali (vanno avanti da decenni) né in termini dimensionali (nel 2016, gli arrivi di migranti furono maggiori e il numero degli arrivi è solo una percentuale minima del totale dei migranti fornito dall’IOM).

Altro punto critico, le misure contenute in questo documento dovrebbero riguardare solo l’“afflusso massiccio di cittadini di Paesi terzi o di apolidi” a seguito di operazioni di salvataggio o di perquisizione.
Premesso che resta poco chiaro il motivo dell’ostinarsi a inserire gli apolidi (categoria molto diversa dai migranti e per di più protetta da numerosi accordi internazionali ), nel documento si parla di arrivi via mare.
Ma anche i migranti che arrivano via terra sono un numero rilevante.

Secondo i dati ufficiali diffusi da Frontex, da gennaio ad agosto 2023, sarebbero stati 114.625 gli arrivi di “migranti irregolari” sulla rotta mediterranea.

Un numero non molto diverso da quello dei migranti che hanno percorso “altre rotte” (quella attraverso i Balcani, quella dalla Turchia, quella nel Nord Europa e altre).

Altro aspetto interessante, leggendo il testo del documento proposto dal Consiglio dell’Unione Europea, è l’ostinarsi a concentrare l’attenzione non sui migranti e tanto meno sui “migranti irregolari”, ma sui “richiedenti asilo” (analogamente a quanto avveniva con le prime versioni degli accordi di Dublino).

I punti del “nuovo” accordo sono stati presentati da molti personaggi politici come un successo.
Il tedesco Scholz ha parlato di “svolta storica” con un chiaro riferimento ai “movimenti secondari”.
Il regolamento dovrebbe “limitare efficacemente l’immigrazione irregolare in Europa e alleggerire in modo duraturo l’onere di Stati come la Germania”, ha scritto in un tweet.

In realtà, al di là delle polemiche tra la premier Meloni e Scholz, il nuovo regolamento non comporta sostanziali modifiche al passato: i rimpatri dai Paesi europei verso i Paesi di prima accoglienza (ammesso che così la si possa definire) c’erano anche prima. Lo stesso dicasi per l’istituzione di nuovi centri di accoglienza, finanziati in parte dall’Unione Europea, in altri Stati membri.

In questi centri dovrebbero essere accolti i richiedenti asilo – ancora una volta è a loro che ci si riferisce e non ai migranti – ma non saranno un obbligo: gli Stati potranno decidere se aprirli oppure no.

Nel testo si parla anche della possibilità di aprire questi centri in paesi del Nordafrica, ma secondo numerose norme internazionali sarebbe vietato trasferire un richiedente asilo, tanto meno in un Paese non sicuro (come hanno cercato di fare il Regno Unito e, prima ancora, la Danimarca con il Ruanda – prima che i tribunali competenti bloccassero questi tentativi).

La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola si sono dette sollevate. In realtà, la loro soddisfazione deriverebbe non dall’aver risolto un problema, ma da aver evitato (forse) che la quesitone migranti diventasse oggetto della campagna per le prossime elezioni europee.

Ma la possibilità di raggiungere un accordo prima dell’incontro dei 27 a Granada, però, non sarebbe così scontata: Polonia e Ungheria si sono dette subito contrarie al Patto sulla migrazione nel suo complesso.
Di diverso avviso Fernando Grande-Marlaska Gómez, Ministro spagnolo ad interim degli affari interni: “Oggi abbiamo compiuto un enorme passo avanti su una questione cruciale per il futuro dell’UE. Con l’accordo odierno siamo ora in una posizione migliore per raggiungere un accordo sull’intero patto di asilo e migrazione con il Parlamento Europeo entro la fine di questo semestre”.

A fargli eco la premier Meloni che si è detta molto soddisfatta del risultato raggiunto. “È passata la nostra linea, l’emendamento tedesco è stato ritirato” ha dichiarato. Quello che non ha detto è che, nella versione finale, la nota che il governo avrebbe voluto venisse cancellata (“Le operazioni di aiuto umanitario secondo gli standard europei non devono essere considerate come una strumentalizzazione dei migranti quando non hanno lo scopo di destabilizzare l’Unione o uno Stato membro”) è stata solo spostata al punto 6 delle premesse.

In questo modo il documento tutelerebbe le Ong da accuse come quelle più volte mosse da alcuni politici italiani. Un segnale evidente che, a parte le belle parole e le gite in Tunisia (peraltro senza alcun successo, ma con un costo rilevante per le casse dello Stato), con il nuovo documento è cambiato molto poco.

“Avanti verso il superamento del Regolamento di Dublino”, aveva dichiarato il ministro Piantedosi dopo la firma dell’accordo. Ma molte delle misure sui migranti presentate al termine del recente CdM non pare abbiano trovato riscontro in questo documento. Anzi.

Nel testo, ad esempio, si parla di “misure specifiche e garanzie applicabili nei confronti dei minori” e di “considerazione primaria che bisogna dare ai migliori interessi dei minori”. Un sistema di gestire il fenomeno ben diverso dallo sbatterli nei CAS (seppure per un lasso di tempo limitato).

Quanto al quibus del regolamento di Dublino, che imponeva ai Paesi di primo ingresso l’esame delle domande d’asilo e l’obbligo di farsi carico degli altri migranti, anche in questo caso non è cambiato nulla.
Anzi, per i richiedenti asilo (che – lo ripetiamo – sono cosa ben diversa rispetto ai “migranti irregolari”), il tempo entro il quale Paesi come l’Italia rimangono obbligati a riprendersi i richiedenti che nel frattempo hanno scelto di spostarsi in altri Stati UE è raddoppiato (passando da 12 a 24 mesi).

Tutto questo, come già visto in passato, non servirà all’Italia per risolvere il problema dei migranti irregolari.
Al termine degli incontri, tutti si sono detti soddisfatti dei risultati raggiunti, ma il problema della gestione dei migranti rimane. Anzi, in mancanza di regole condivise a livello internazionale per gestire i flussi migratori, la situazione potrebbe peggiorare.