Nel 1985 San Francisco approvò una legge che la rendeva una città santuario per i rifugiati provenienti dall’America centrale. Sostenuta dall’allora sindaco Dianne Feinstein, questa risoluzione venne estesa pochi anni dopo a tutti i migranti. Alla polizia imponeva di non collaborare con i controlli e gli arresti effettuati dall’autorità federale di controllo dell’immigrazione. Da quello storico momento, molte città su entrambe le sponde dell’Atlantico si dichiararono ufficialmente luoghi di accoglienza per i migranti.

In Europa, il fenomeno delle città di rifugio si è sviluppato in modo significativo dal 1990, guidato da gruppi cosmopoliti come il Parlamento internazionale degli scrittori. Questo ha dato vita a quella che oggi è la Rete Internazionale delle Città di Rifugio per la protezione di scrittori e giornalisti minacciati nei loro Paesi.

Allo stesso tempo, a causa del processo di decentralizzazione del potere politico, i Comuni sono diventati attori di spicco nella gestione della migrazione. Le città hanno quindi iniziato non solo a dichiararsi accoglienti sostenendo politiche di protezione e inclusione, ma soprattutto a strutturare reti con altre città che la pensano allo stesso modo in materia di asilo.

Le reti di accoglienza sono esplose dal 2015

Un recente articolo sottolinea che durante la crisi migratoria del 2015 tali reti si sono sviluppate e moltiplicate seguendo una dinamica top-down (discendente) e una dinamica bottom-up (verso l’alto). Nel primo modello, le organizzazioni internazionali sostengono l’inserimento all’ordine del giorno delle questioni di accoglienza all’interno delle reti di città preesistenti. È il caso, per esempio, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni con la sua partecipazione al Forum Globale dei Sindaci.

Il modello bottom-up, invece, è caratterizzato dal raggruppamento spontaneo di diversi Comuni, ma anche di organizzazioni, enti locali e altri attori della società civile. Questo è l’esempio della rete ANVITA in Francia, o del progetto City of Sanctuary UK nel Regno Unito, il cui principio è quello di combinare le competenze e le pratiche delle organizzazioni con l’azione politica formale dei comuni.

La società civile svolge un ruolo chiave

In generale, molte comunità di cittadini sono pronte a rivendicare l’accoglienza e l’apertura allo straniero in cerca di asilo come elementi della loro identità storica. In molti casi, il mondo associativo è all’origine della scelta di una città di dichiararsi accogliente. Le associazioni spesso si fanno carico di iniziative, campagne di sensibilizzazione e inviti all’azione rivolti direttamente alle autorità locali.

Il collettivo CNCD-11.11.11 invita i comuni belgi alla trasformazione in “comuni ospitali”.

Mentre queste idee sono generalmente ben accolte dalle autorità politiche, a volte sono limitate a una dimensione simbolica, senza dar luogo a vere politiche di protezione e inclusione.

Quali sono i limiti delle città accoglienti?

È proprio in questa dicotomia tra simbolico e politica reale, tra approccio soft e hard, che possiamo individuare un primo problema. Nel dibattito politico contemporaneo, la migrazione e l’asilo sono tra le questioni più cariche di forza mediatica e valore demagogico. Le autorità locali possono quindi dichiararsi accoglienti per ragioni strategiche, per mostrare la loro opposizione a un governo di un altro colore politico. Tuttavia, può accadere che si impegnino solo in misura limitata nell’attuazione pratica di un sistema di accoglienza alternativo.

In secondo luogo, anche quando le città adottano un approccio hard e implementano pratiche locali di accoglienza e protezione più inclusive, possono imbattersi in barriere strutturali. Ciò evidenzia i limiti dell’autonomia dell’amministrazione locale, ma soprattutto il fatto che le sole città possono confrontarsi con una limitata disponibilità di risorse. Spesso devono fare i conti con problemi preesistenti che minano l’efficacia delle politiche di accoglienza. Diversi casi identificati come modelli positivi di integrazione hanno mostrato, ad esempio, problemi di segregazione spaziale dei nuovi arrivati.

Ci sono anche ostacoli giuridici

Essere una città accogliente in senso hard e impegnarsi a proteggere i migranti in opposizione alle direttive dei governi nazionali significa agire proprio sull’apparato legale e di polizia. Questo è senza dubbio il caso nel contesto attuale, dove il fenomeno migratorio è spesso trattato come un problema di sicurezza pubblica. Come seguito al suo impegno come città accogliente, per esempio, il Consiglio Comunale di Liegi ha votato una mozione contro il piano del governo di introdurre visite a domicilio per trovare e arrestare i residenti irregolari.

Agendo autonomamente e sfidando il governo centrale, i rappresentanti politici locali rischiano spesso di oltrepassare i confini legali. Tutti gli attori coinvolti, migranti e non, possono trovarsi a violare leggi percepite come contrarie ai loro principi e obiettivi umanitari e subirne le conseguenze. In particolare, i non migranti possono essere condannati per un paradossale crimine di solidarietà. È il caso dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel suo famoso modello di accoglienza, e recentemente condannato a 13 anni di carcere.

Senza voler sminuire il contributo delle città accoglienti che continuano a sostenere nuovi paradigmi di inclusione, dobbiamo tuttavia chiederci quali sono i rischi per i migranti coinvolti in questi modelli alternativi e di protesta. Il limite dell’accoglienza delle città appare quindi un problema di responsabilità nei confronti di popolazioni estremamente vulnerabili, quando devono giustificare il loro diritto alla protezione davanti ai nostri sistemi di asilo, dimostrare il loro buon comportamento, il loro merito. I rischi, naturalmente, sono ancora maggiori nel caso dei clandestini.

Come ha osservato un richiedente asilo intervistato nel 2018 in un centro di accoglienza in Belgio:

«Non voglio cambiare il sistema, ho bisogno dei miei documenti, ho bisogno di essere riconosciuto come rifugiato. Chiunque voglia aiutarci deve capirlo […] e bisogna trovare una soluzione nel sistema, non possiamo rischiare di andare contro il sistema […]. Se vengo arrestato oggi, quali saranno le mie possibilità domani?»

Alessandro Mazzola, Sociologo culturale e politico, Università di Liegi

Traduzione dal francese di Enrica Marchi. Revisione di Thomas Schmid.

L’articolo originale può essere letto qui