La condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo per i trattenimenti arbitrari a Lampedusa e per i respingimenti collettivi in Tunisia, ha in parte oscurato le conclusioni di una Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite che nei mesi scorsi si è recata in Libia ed ha accertato, con un rapporto molto dettagliato, estese violazioni dei diritti umani in danno di cittadini libici e della popolazione migrante presente nel paese, con una grave complicità in crimini contro l’umanità da parte degli Stati europei e dell’Unione Europea. Che supportano le diverse istituzioni libiche, tra queste la sedicente Guardia costiera “libica”,per tentare di bloccare le partenze e favorire i respingimenti collettivi illegali verso i paesi di origine. Secondo gli ispettori ONU, gli Stati europei non sarebbero direttamente responsabili, ma “il sostegno da loro fornito ha favorito i crimini commessi“. Si aggiunge dunque un ulteriore tassello alle accuse di concorso in crimini contro l’umanità, che da tempo sollecitano un accertamento delle responsabilità penali internazionali degli Stati e dei loro agenti istituzionali. Una responsabilità che potrebbe essere accertata anche in capo all’Italia, ed alle autorità politiche e militari che hanno concluso, confermato ed eseguito gli accordi bilaterali con la Libia.

Si tratta di un rapporto molto importante perché sollecita anche l’adozione di misure concrete da parte delle entità di governo libiche, e quindi degli Stati che vi hanno concluso accordi, e delle istituzioni europee, per interrompere rapporti economici e di sostegno politico-militare che, secondo quanto rilevato dalle Nazioni Unite, si traducono in complicità nella commissione di gravi crimini contro l’umanità, su cui da tempo sta indagando anche la Corte Penale internazionale.

Occorre anche considerare quanto rilevato dalle Nazioni Unite su un piano geopolitico piu ampio, perché sono sempre più frequenti i casi in cui persone che riescono a passare dalla Libia vengono trasferite in Tunisia e da lì imbarcate su carrette del mare, che spesso fanno naufragio in alto mare, se non vengono intercettate dalle motovedette tunisine con modalità che in diversi casi hanno provocato il naufragio delle imbarcazioni e la perdita di molte vite umane. Eppure nell’attività diplomatica dispiegata dal governo italiano guidato da Giorgia Meloni si continua a trattare con il governo di Tripoli e con le autorità tunisine con frequenti missioni diplomatiche finalizzate esclusivamente al rafforzamento della sorveglianza in mare, e delle misure di blocco delle partenze verso l’Italia, in territorio libico o tunisino. Da cui ormai parte un numero sempre più consistente di migranti forzati, costretti alla fuga via mare, e dunque al ricorso a trafficanti e scafisti, per la situazione di crescente persecuzione e discriminazione nella quale si trovano, con caratteri sempre più simili, in Libia ed in Tunisia, e per la mancanza di canali legali di ingresso. I corridoi umanitari che sono rimasti aperti hanno garantito salvezza a poche centinaia di persone, ma anche rifugiati riconosciuti e registrati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR) in Libia e Tunisia non riescono ad ottenere documenti di soggiorno né hanno prospettive concrete di essere rilocati in paesi sicuri. Ancora peggiore la condizione delle persone migranti non registrate dall’UNHCR che spesso finiscono nelle mani di padroni che li schiavizzano, o in centri di detenzione nei quali, anche in quelli gestiti dalle autorità di governo, sono esposti ad abusi ed a violenze quotidiane che il rapporto dell’ONU documenta ancora una volta. Perchè non si tratta di un rapporto che aggiunge elementi che non si conoscevano in passato, quando gli Stati europei, e l’Italia in testa, hanno concluso accordi con la Tunisia, con la Libia e con la sedicente Guardia costiera libica, accordi che sono stati rinnovati nel corso degli anni, con il voto favorevole di una maggioranza trasversale, sia al Parlamento italiano che in sede europea. La Libia, del resto, non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e la Tunisia non vi dà praticamente attuazione, non consentendo la presentazione di istanze di asilo e procedendo ad espulsioni indiscriminate di migranti subsahariani, senza alcuna possibilità di ricorso e di tutela legale. Una politica di negazione dei diritti umani, soprattutto contro i profughi sub-sahariani, in corso da anni, aggravata dal regime autocratico dell’attuale presidente Sayed, che “fa muro” contro i migranti subsahariani, e sta portando all’isolamento internazionale della Tunisia ed alla sospensione degli aiuti internazionali, diventando così un fattore di aggravamento della crisi economica, e dunque moltiplicatore delle fughe per la sopravvivenza.

In Italia si sono rinnovati accordi e impegni finanziari con il governo di Tripoli che, in base a quanto accertato sulla situazione in Libia da importanti sentenze della nostra giurisprudenza, confermate anche della Corte di Cassazione, avrebbero dovuto essere revocati, perché la Libia, ancora oggi, non può essere definita un “paese terzo sicuro. A livello europeo, al di là del sostegno economico che l’Unione garantisce agli Stati membri puù esposti per concludere accordi di riammissione o di respingimento con i paesi terzi della sponda sud del Mediterraneo, le prassi operative dell’agenzia Frontex comportano una continua collaborazione con le autorità libiche e tunisine per il tracciamento e l’intercettazione in acque internazionali delle imbarcazioni stracariche di migranti che tentano di raggiungere le coste italiane. Già nel 2017, nel Report annuale di attività della Guardia costiera si dava atto di “accordi con il paese africano” (Tunisia) e della “concentrazione di assetti aereonavali nella zona di Lampedusa (particolare menzione merita il velivolo Osprey del Progetto MAS di Frontex”. Si tratta di una collaborazione che viene ancora oggi mediata dalle autorità marittime italiane, ed in minima parte maltesi, con l’esclusivo obiettivo di contrastare quelli che vengono considerati come meri eventi di immigrazione irregolare, cd. Law Enforcement, anche quando le imbarcazioni sono in evidente pericolo di affondamento, secondo gli stessi indici di distress stabiliti dal Regolamento europeo n.656 del 2014Ma per Salvini si tratta soltanto di difendere la sedicente Guardia costiera “libica”che, secondo quanto ha dichiarato, ha salvato migliaia di vite.

Il Rapporto delle Nazioni Unite si rivolge direttamente alle diverse autorità libiche che controllano milizie e guardie costiere, perché pongano fine agli abusi commessi ai danni delle minoranze e della popolazione migrante presente in Libia. Questa richiesta non può non coinvolgere quegli Stati come la Tunisia, o l’Italia, che collaborano con il governo di Tripoli e condividono con la Libia confini terrestri o hanno accordi di esternalizzazione dei controlli di frontiera, che di fatto estendono la giurisdizione italiana fino alle acque internazionali affidate alla responsabilità di ricerca e salvataggio delle autorità libiche. In quelle acque, che comprendono le rotte migratorie più pericolose del mondo, si dovrebbe intervenire con missioni internazionali o europee di soccorso, Ancora oggi però il ministro Tajani si dichiara contrario ad una operazione Mare Nostrum europea.

Di fronte alle sollecitazioni delle Nazioni Unite per interventi che pongano fine agli abusi documentati in territorio libico ed alla collaborazione con autorità libiche (ed in parte tunisine) che sono direttamente responsabili di gravi crimini contro l’umanità, il governo Meloni si appresta ad un ulteriore giro di visite e di contatti diplomatici, ed alla cessione di altre motovedette, che hanno l’unico scopo di aumentare il sostegno ai nuclei anti immigrazione del governo di Tripoli e la capacità di intercettazione in alto mare e di contrasto delle partenze, anche se questa politica comporta la sicura conseguenza che il numero delle persone esposte ad abusi in territorio libico e tunisino continuerà ad aumentare. Di certo aumenteranno ancora le vittime dei naufragi “effetto collaterale” dell’ allontanamento dal Mediterraneo centrale delle navi umanitarie delle ONG, di nuovo esposte a fermi amministrativi in base al Decreto legge n.1 del 2023, e non cambieranno le modalità di riconoscimento di una zona SAR (di ricerca e salvataggio) “libica”, che si traduce anche in attacchi armati alle navi umanitarie del soccorso civile. Sono queste le ragioni di un numero crescente di naufragi, che nessuno si può illudere di evitare ,”bloccando le partenze”, o aumentando le capacità di intercettazione dei libici e dei tunisini in alto mare. Anche perchè non si vedono risultati ai tentativi di eliminare la diffusa corruzione, che giunge fino ai livelli più alti, che, tanto in Libia, come in Tunisia, costituisce la vera condizione che permette la partenza di un numero tanto elevato di persone, in poche ore e da punti ormai ben conosciuti, senza che le autorità locali riescano, o vogliano intervenire, per bloccare i trasferimenti verso la costa ed i successivi imbarchi.

Per quanto possiamo fare come cittadini solidali, non rimane che continuare a denunciare quanto avviene in Libia, in Tunisia e nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, restando vicini alle persone che sarebbero meritevoli di protezione ma che vengono considerate come “migranti illegali” già nei paesi di transito. Da troppo tempo le richieste di visti umanitari, per l’apertura di canali legali di evacuazione, che non possono essere confusi con i flussi di ingresso per lavoro, vengono sistematicamente respinte. Nessuno dichiara apertamente di volere revocare gli accordi stipulati con il governo di Tripoli. Sono anni che si denunciano i crimini commessi in Libia ai danni dei migranti ma le istituzioni sembrano non accorgersene. Le responsabilità degli autori di queste politiche di morte sono ormai evidenti e le Nazioni Unite le individuano in modo sempre più circostanziato. Al di là delle denunce di una società civile verso cui il ministro dell’interno Piantedosi si dichiara insofferente, occorre impegnarsi perché la magistratura italiana e la giurisdizione europea accertino e sanzionino tutti i casi di abusi finora impuniti e i crimini contro l’umanità che sono diventati ormai crimini di sistema. E su tutto questo occorre combattere il raggelante senso comune diffuso nella popolazione italiana, sempre più caratterizzato da assuefazione ed indifferenza.

 

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