Il progetto Mem.Med Memoria Mediterranea – Mémoire Méditerranée è un progetto operativo, nato sul campo, per ricercare e identificare le persone migranti morte in mare e testimoniare le violenze che accadono nel Mediterraneo. Da questo obiettivo generale, Mem.Med individua tre ulteriori obiettivi specifici che orientano e guidano la sua azione: 1. fornire supporto e consulenza legale per l’avvio e la gestione delle pratiche relative alla ricerca ed eventuale identificazione delle persone disperse ed al rimpatrio delle salme; 2. fornire supporto psicosociale, in ottica clinica e di comunità, ai familiari ed alle persone care coinvolte; 3. sviluppare attività eterogenee di advocacy, sensibilizzazione, critica socio-politica e ricerca scientifica, nonché promuovere pratiche di memoria attiva, di giustizia sociale e riparativa.

Le realtà promotrici del progetto Mem.Med – Memoria Mediterranea: Borderline Sicilia Onlus, Carovane Migranti, CLEDU Palermo, LasciateCI Entrare, Rete Antirazzista Catanese e Watch The Med-Alarm Phone  si occupano da anni del monitoraggio degli arrivi nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo e della tutela dei diritti delle persone migranti, in riferimento ai contesti di arrivo, identificazione, accoglienza e detenzione in Italia e in Europa.

Il lavoro svolto nel corso del 2022/2023 da Mem.Med è ora confluito in “La mer(e) Méditerranée”, primo Rapporto del progetto Mem.Med sulle attività di ricerca e identificazione delle vittime della frontiera del Mediterraneo, finito di redigere proprio mentre si consumava la tragedia di Steccato di Cutro a pochi chilometri da Crotone.

Dal 2014 ad oggi, secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), le persone migranti scomparse – disperse o decedute – lungo le rotte migratorie mondiali sono circa 53.659 e quasi la metà di queste morti si concentra nella rotta del Mediterraneo, dove si contano circa 25.983 persone morte o disperse. Di queste, 3.273 sono scomparse nel Mediterraneo occidentale e 2.266 nel Mediterraneo orientale. La rotta migratoria del Mediterraneo centrale – che collega le coste libiche, tunisine e algerine a quelle italiane – è la più letale al mondo a causa delle politiche migratorie di confinamento che hanno legittimato respingimenti e violenze e che hanno normalizzato la morte in frontiera di migliaia di persone. Insomma, un approccio securitario e militarizzato alla migrazione intermediterranea fa sì che i fondi e i mezzi forniti tramite cooperazione internazionale sul tema, siano principalmente dedicati alla messa a punto di sofisticati sistemi di intercettazione e respingimento, a discapito della priorità del soccorso delle persone in mare, favorendo in tal modo la crescita del numero di decessi per migrazione su questa rotta.

Davanti a questa guerra in mare, “Où sont nos enfants? Où sont nos frères?” è la principale richiesta che anima le iniziative dei familiari delle persone migranti scomparse nel Mediterraneo. Da decenni ormai il grido “Dove sono i nostri figli? Dove sono i nostri fratelli?” lanciato dalle madri e sorelle tunisine, algerine, marocchine, senegalesi e provenienti da altri paesi subsahariani, resta inascoltato: all’interno di una gestione emergenziale delle migrazioni, la normalizzazione della morte in frontiera e la riduzione dei e delle missing migrants a dati quantitativi dimostrano inoltre un’indifferenza rispetto al significato di queste morti e alla necessità di denunciarle e di raccontarle.

La maggioranza dei corpi delle persone migranti mortə in mare in questi anni, nel tentativo di arrivare in Europa, non è mai stata recuperata né identificata, si legge nel Rapporto. Spesso, anche quando i corpi vengono estratti dal mare, non avviene alcuna identificazione e quindi le salme finiscono per essere sepolte in tombe anonime contraddistinte da numeri, in cimiteri di varie città della Sicilia e in altri luoghi di approdo a sud dell’Europa. Ciò viola alcuni principi internazionalmente riconosciuti che impongono accertamenti investigativi per chiarire le cause della morte, e la redazione di verbali completi di tutte le informazioni al fine di fornire una descrizione delle modalità in cui i fatti si sono svolti, nonché la trascrizione in un registro delle morti”.

Di fronte alla sofferenza dei familiari delle vittime causata dall’attesa prolungata di risposte dalle istituzioni, dal confronto con procedure delicate e dolorose, dalla convivenza con la perdita ambigua, socialmente non riconosciuta e politicamente rimossa, Mem.Med fornisce supporto legale a famiglie, amici e comunità di persone migranti cercando di facilitare l’avvio delle procedure legali e burocratiche necessarie per ritrovare i propri cari ricercandoli nei centri di identificazione, nei centri di detenzione, nelle camere mortuarie o nei cimiteri che accolgono le vittime arrivate dal mare. Mem.Med mette inoltre a disposizione un supporto psico-sociale fondato su un lavoro di mutuo-aiuto e su pratiche collettive di cura con i familiari interessati Mem.Med sopperisce insomma alle mancanze sistemiche nell’ottica di contribuire a sostenere le richieste di verità e giustizia e di difendere il diritto alla libera circolazione attraverso la lotta contro politiche razziste e discriminatorie. Davanti alle responsabilità europee e ai suoi crimini impuniti, la Memoria Mediterranea non è sopita né indifferente: se il Mare Nostro oggi è stato reso uno spazio di silenzio, negazione e morte, Mem.Med vuole contribuire alla costruzione di un deposito di memorie, di prassi giuridiche, di strategie di ricerca e monitoraggio del confine per combattere l’oblio che avvolge il mare e le storie di chi lo attraversa.

Il primo Rapporto di Mem.Med oltre alle tante attività messi in campo raccoglie anche alcune storie che riguardano persone di origine nordafricana o subsahariana molte delle quali, prima di tentare la tragica traversata verso l’Italia, hanno vissuto numerose altre difficoltà nei Paesi di origine e di transito: gravi forme di deprivazione socio-economica, sfruttamento lavorativo, abusi, violenze sessuali e altre violazioni di diritti fondamentali.