All’Archivio comunale di Palermo l’antologica di Martino Zummo “Memorie di vagabondaggi”. La mostra resterà visitabile fino al 18 febbraio, dal lunedì al venerdì tra le 9.00 e le 13.00, il mercoledì dalle 9.00 alle 17.00, il sabato e la domenica tra le 10.00 e le 17.00. Ingresso libero

 

“Ognuno prende i limiti del suo campo visivo per i confini del mondo.” L’aforisma di Arthur Schopenhauer, contenuto in Parerga e paralipomena, ci porta dentro il tema della mostra fotografica “Memorie di vagabondaggi” di Martino Zummo, da poco inaugurata all’Archivio Storico del Comune di Palermo, che rimarrà in esposizione sino al 14 Febbraio. La mostra antologica, la prima di una rassegna di sei, organizzate e curate dal Collettivof e programmate nel corso del 2023, raccoglie trenta fotografie in bianco e nero che Zummo ha realizzato nell’arco della sua biografia artistica, vagabondando per il Mediterraneo. La proposta fotografica dell’autore si colloca nella lunga tradizione della fotografia di viaggio ma, in termini di riflessione culturale e attualizzata, il mediterraneo più che un paradigma che si nutre nel senso comune di miti, narrazioni, immagini (ricordiamo che per due millenni l’immagine del mondo ha corrisposto all’immagine del mediterraneo), rappresenta oggi una realtà geopolitica complessa, caratterizzata da uno stato di emergenza pressoché permanente. 

In “Memorie di vagabondaggi” Zummo ritrae una interessante e significativa dimensione umana ed esistenziale sullo sfondo dei paesi che ha privilegiato nelle sue frequenti visite: Turchia, Grecia, Marocco, Tunisia. Non manca l’entroterra siciliano che l’autore recupera anche in termini documentari e antropologici, tracce di religiosità popolare e quel che rimane della dicotomia arcaica e greca tra lo spazio fisico e la dimensione atemporale, esperienze di trasfigurazione della realtà materiale che simultaneamente ci allontanano e ci avvicinano ad essa. Ognuna delle trenta immagini può essere fruita singolarmente, nella sua unicità secondo un filo che lega insieme tutti nella comunità culturale che con queste radici intrattiene un legame stretto, stimolando la possibilità di pescare nel nostro vissuto  archetipi familiari, radici nella memoria personale e collettiva, qualcosa che in termini di narrazione o descrizione compiuta non appare possible ma ci riguarda ancora come attesa ed espressione di appartenenza.

La vocazione di Martino Zummo, ascritta dentro l’esperienza del vagabondare, è stata sovente oggetto di interesse filosofico.  Nella figura del viandante elaborata da Heiddegger, non più viaggiatore e mai turista, il soggetto va alla ricerca di un senso complessivo del mondo che si scopre non corrispondente ad una realtà oggettiva; il viandante nella sua ricerca, scoprendo l’apertura nel linguaggio e nell’interpretazione, rinuncia al mondo effettuale ed alla luce definitiva che illumina la realtà, accontentandosi di sostare nelle radure, luoghi insoliti che ci ristorano nel nostro peregrinare e lasciano trapelare solo parzialmente la luce, ospitando anche l’imprevisto che non ci aspettavamo di vedere sotto i nostri occhi. Il mediterraneo di Martino Zummo crea stupore, un senso originario di meraviglia e sollecita l’intuizione immediata più che una discorsività analitica, finalizzata alla lettura composta e ordinata dell’immagine.

Nel suo modo di fotografare ci sono le radici greche, si percepiscono sincronicamente; vi è anche l’esigenza di recuperare il delicato equilibrio tra caos e ordine, un legame che non è presente solo nella genesi dell’occidente filosofico ma permea anche la ricerca scientifica contemporanea (pensiamo alla fisica quantistica, alla nozione di entropia o alla teoria della complessità di Prigogine e Morin). Dentro il mediterraneo niente è causale, niente è mondo, inteso come ordine senza l’imprevisto e il disordine; niente è casuale, se si rinuncia alla possibilità di rintracciare un senso unitario. In questa direzione l’analisi introspettiva di ciò che rimane del Mediterraneo, sforzandoci di archiviare però i nostri archetipi e un atteggiamento nostalgico dell’impossibile correlazione tra mediterraneo effettivo e mediterraneo ideale, si è arricchita di spunti interessanti nel corso del talk che si è svolto Sabato 11 Febbraio, sempre presso l’archivio storico e a cura del collettivof, sul tema ”La cultura mediterranea attraverso le immagini”. Al talk hanno partecipato oltre che Martino Zummo, Anna Fici (in presidente del Collettivof) e Mario Azzolini, giornalista rai. 

Azzolini ha evidenziato la difficoltà a trovare nella narrazione giornalistica del Mediterraneo una componente unitaria che possa restituire valore alle emergenze più importanti che ne compromettono il futuro. “E’ ormai impossibile realizzare videoreportage o fotoreportage nei luoghi di maggiore criticità del Mediterraneo – sottolinea Azzolini – in quanto la documentazione visiva è a cura del personale delle istituzioni che assistono e sono testimoni dell’evento. Tutto ciò svilisce il lavoro giornalistico.”

Per Zummo il mediterraneo assume il valore di un personale e rinnovato sposalizio con il mondo, corrispondendo all’essenza del lavoro di ogni fotografo umanista. “Essere testimoni della bellezza del mondo sotto varie forme e saperla raccontare è una specie di impegno civile e la narrazione del Mediterraneo richiederebbe un’attenzione straordinaria. Da molti anni – prosegue l’autore -,  frequento questa zona del mondo. Prima per incarichi professionali, poi come luogo privilegiato dove la storia, gli uomini e i riti, il paesaggio e la luce sono elementi determinanti e momento unificante. Certo la globalizzazione ha stravolto decisamente negli ultimi anni quello che era stato costruito in millenni, ma il biancore  e gli uomini ancora vivono di luce intatta. I miti, le danze e le canzoni tristi o allegre ancora risuonano a Fez come ad Istanbul.” 

Il Mediterraneo, viene in mente, parafrasando J. Derrida, forse costituisce una nuova turba dell’identità, una condizione di allineamento asimmetrico ai soggetti culturali e alle istituzioni (L’Ue ma anche la Francia e la Germania e, più recentemente, la Cina, la Turchia, la Russia) che ne esercitano il pieno controllo attuando di fatto un regime culturale che favorisce forme di sudditanza sempre più forti. Solo ponendo una questione identitaria, a partire dal basso e dalle spinte sociali che caratterizzano nelle diverse realtà territoriali il desiderio di autodeterminazione, si può immaginare un futuro di diritti e di libertà, affrancato dall’autocrazia e dai condizionamenti del mercato finanziario.

Anna Fici vede invece il destino del mediterraneo attraverso la metafora del nulla, espressa da Michael Hende ne La storia infinita: il nulla che avanza divorando la realtà. “Il grande nulla è la perdita delle differenze, delle identità, dei contrasti, delle peculiarità – afferma la Fici – un grande grigio che assorbe tutti i colori, scioglie i contrasti in una uniforme nebbia. È la globalizzazione che avanza producendo omologazione. Una nebbia opaca in cui non c’è fotografia significante, in cui non c’è ossigeno, nutrimento per lei. Perché da sempre la fotografia interpreta le increspature del tempo, i confini, le fratture… la luce accanto all’ombra.