Ahmed Rabbani faceva il tassista a Karachi, in Pakistan. Nel 2002 i servizi di sicurezza locali lo catturarono e lo consegnarono alle forze Usa in Afghanistan, che però cercavano un’altra persona.

La Cia si rese subito conto dello sbaglio, ma durante la guerra al terrore, in fondo uno valeva l’altro. Così, Rabbani fu trattenuto in isolamento in Afghanistan e torturato per 545 giorni, per poi essere trasferito nel centro di detenzione di Guantánamo.

Ci è rimasto fino al 24 febbraio di quest’anno, quando è stato rimesso in libertà dopo oltre 20 anni di detenzione, senza accusa né processo. E ci è rimasto persino dopo che, nell’ottobre 2021, il comitato per la revisione periodica della situazione dei detenuti di Guantánamo aveva stabilito che poteva tornare a casa.

A casa, finalmente, Rabbani sta tornando. Per incontrare per la prima volta suo figlio Jabbar, nato cinque mesi dopo l’arresto. E per esporre i suoi quadri, dato che a Guantánamo ha iniziato a dipingere.