Tra una cinquantina di giorni sarà un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, o meglio dalla fase generalizzata di un conflitto iniziato nel 2014 nel Donbas, che a partire dall’invasione russa ha assunto il  volto di una vera e propria guerra, con migliaia di morti. Una vicenda che ha lacerato le coscienze, rimescolato gli schieramenti, soprattutto a sinistra, dove mentre i crimini delle truppe di Putin erano sotto gli occhi del mondo, si dibatteva in modo spesso acceso tra chi unilateralmente si è fin dall’inizio schierato non solo giustamente contro l’aggressione, ma anche a favore dell’invio delle armi da parte delle maggiori potenze occidentali, Usa in testa e chi, pur condannando l’avventura militare, criticava la scelta di armare le forze militari ucraine, del resto già addestrate ed equipaggiate dal 2014. Questi sostenevano la necessità di una mediazione, soprattutto dopo che, smentendo le previsioni, l’esercito russo non aveva conquistato facilmente il territorio ucraino, incontrando prima una forte resistenza, poi facendo i conti con la controffensiva di chi era stato invaso.

All’interno di questa posizione si sono registrate varie “sfumature”, fino alla linea pacifista tradizionale da sempre contraria a qualunque forma di opposizione militare in nome di una visione nonviolenta. Di fronte al grande dramma della guerra è difficile sottrarsi alla ferrea logica degli schieramenti, a provare a ragionare senza lo spirito ultras, tentare di porre punti interrogativi invece dei tanti esclamativi che viceversa anche in questo caso si sono riscontrati nel confronto tra le varie parti.

Un importante contributo per fare crollare certezze consolidate ci viene da una recente pubblicazione delle Edizioni Malamente, nuovo marchio editoriale nato un anno e mezzo fa, emanazione dell’omonimo trimestrale di area libertaria, frutto di un collettivo redazionale nato nel 2015 nelle Marche che si avvale anche di contributi e collaborazioni extraregione.

“Qui siamo in guerra”, sottotitolo eloquente “Anarchia, antifascismo e femminismo in Ucraina, Russia e Bielorussia. Scritti e testimonianze”, propone una ricca antologia di documenti e interviste ad attivisti e attiviste soprattutto ucraini, ma anche russi: un preziosissimo contributo non solo per capire alcuni aspetti cruciali dell’attuale conflitto, ma soprattutto per comprendere il punto di vista di chi è in prima linea e nello stesso tempo da anni è impegnato contro ogni forma di fascismo e nazionalismo in Ucraina e soprattutto nella Russia putiniana.

Inoltre il testo riporta due scritti provenienti dal Chiapas e dal Rojava, dove zapatisti e curdi si schierano contro l’invasione e in sostegno alle milizie libertarie che si oppongono all’esercito russo. Quasi tutti i contributi, al di là di alcune sfumature, si riconoscono in alcuni punti fondamentali: innanzitutto sulla necessità di resistere all’occupazione russa combattendo in prima fila, pur nella consapevolezza del contesto in cui ci si muove: ”Siamo i nemici del dominio imperiale, che è ora presente in Ucraina con il brutale esercito putiniano. Combattiamo per il bene della società ucraina contro la distruzione, contro la morte che gli occupanti russi le procurano. Se oggi lo Stato ucraino partecipa a questa lotta, non significa che siamo diventati suoi sostenitori. Non consideriamo nostri nemici i popoli della Russia e della Bielorussia Invitiamo tutti i russi e i bielorussi dalla mentalità libera a combattere  con noi contro la dittatura”.

E’ un passo del documento del “Comitato di resistenza”, “spazio di dialogo e coordinamento di iniziative anarchiche, libertarie e antiautoritarie”, che porta la data del 20 maggio del 2022. Un documento assai importante ed emblematico perché non si sofferma esclusivamente sulla stretta e drammatica attualità, dove tra le attività si sottolinea l’impegno anche nel  “volontariato civile”, ma propone, con uno sguardo lungo, una vera e propria piattaforma politica, dalla cancellazione del debito ucraino “cappio al collo del Paese, mantenuto dalle istituzioni finanziarie  internazionali e dagli Stati ricchi”, al condono creditizio per i cittadini ucraini di ceto medio basso, dalla concessione della cittadinanza a tutti gli stranieri presenti nel territorio alle politiche di welfare.

Il libro non elude alcune questioni che hanno suscitato un ampio dibattito, come la presenza di formazioni naziste all’interno delle forze militari ucraine, a partire dal noto e famigerato battaglione Azov. Ne parla Sergey Movchan di Solidarity Collectives di Kiev in una intervista del 9 luglio a Vittorio Sergi, già uscita sul periodico. A partire dal 2014 con la rivolta di Maidan le forze di estrema di estrema destra hanno acquisito un indubbio credito perché sono state dentro quel movimento di massa. Successivamente con l’inizio del conflitto nel Donbas “ i fascisti hanno formato i battaglioni volontari Aidar, Donbas, Azov” e altri ancora. Avvalendosi della debolezza dell’esercito ufficiale questi sono diventati degli “eroi, “sono stati capaci di influenzare l’agenda pubblica verso il nazionalismo e hanno silenziato le voci che erano contro di esso”.

Successivamente, quando Azov ha creato un omonimo partito politico, i suoi capi hanno fondato anche il Corpo nazionale, soggetto molto pericoloso. Così il battaglione si è in parte svuotato degli elementi più oltranzisti arruolando persone non politicizzate, seppur con “idee nazionaliste e patriottiche ma non naziste”. L’analisi è stata avvalorata da altri studi e mesi fa confermata da Elia Rosati, noto studioso delle formazioni fasciste e naziste in Europa.

Dicevamo del contributo dei movimenti femministi. Il manifesto delle femministe ucraine rivendica l’impegno portato avanti anche in tempo di pace e sottolinea tra l’altro la necessità della autodeterminazione e del diritto alla autodifesa (anche armata) per il popolo ucraino contro l’aggressione imperialista, giustizia internazionale contro i crimini di guerra, diritti sociali, “protezione contro la violenza di genere, diritti delle persone LGBTQI”.

Sul versante russo i documenti di base sottolineano la necessità di sconfiggere Putin per favorire un processo di democratizzazione, testimoniano l’oppressione del regime putiniano e solidarizzano con le organizzazioni libertarie che si oppongono all’invasione.  In questo senso colpisce la sintonia tra i vari gruppi sulla necessità di arrivare a una “vittoria contro la Russia”.

Unico documento a differenziarsi da tutti gli altri, proponendo una visione “classica” dei movimenti anarchici e libertari è “Il manifesto internazionalista contro la guerra e la pace capitalista in Ucraina”.

“Ci schieriamo per lo sviluppo del terzo campo…quello del proletariato rivoluzionario internazionalista che si oppone a tutti i campi borghesi guerrafondai presenti… Ci rifiutiamo di schierarci con uno dei due belligeranti borghesi –sia “l’aggredito” ucraino “occupato” che “l’aggressore” russo “occupante”.

“Qui siamo in guerra” è sicuramente un testo importante, che, sottolineiamo nuovamente, fa vacillare certezze che si credeva acquisite, che ci interroga, in particolare ci porta a conoscere realtà ignorate dai media mainstream, esperienze che in piena autonomia,  in un contesto dove si muore tutti i giorni, sotto le bombe russe nelle città e al fronte,  lotta per affermare un punto vista altro, cercando anche di non farsi infettare dalla retorica nazionalista e patriottica.

Le uniche osservazioni critiche che ci sentiamo di rivolgere al libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto gli attivisti e le attiviste dei movimenti, riguarda due aspetti anche questi trascurati: il contributo dato alla resistenza ucraina sul fronte della disobbedienza civile, delle forme di opposizione nonviolenta, soprattutto da parte delle donne. Una questione spesso trascurata dalla stessa storiografia, molte volte “distratta” rispetto a una tradizione importante che è stata ben presente nella storia delle guerre recenti e passate. Tra le poche eccezioni i lavori della compianta Anna Bravo, in particolare “In guerra senza armi”, uscito nel 1995 e il più recente “La conta dei salvati”.

L’altra questione, anche questa ampiamente trascurata in questi dieci mesi di guerra, il fenomeno delle diserzioni su entrambi i fronti. Si contano sulle dita di una mano gli articoli su tale dinamica, di chi cioè ha scelto di sottrarsi ai “guerrafondai presenti”, per dirla con il manifesto internazionalista, e di chiamarsi fuori. Una scelta che si può condividere o meno, ma che non andrebbe sottaciuta, soprattutto per quanto riguarda il fronte russo.