A Lesbo si processano 24 attivisti umanitari. L’ennesimo esempio di criminalizzazione della solidarietà in Grecia e in Europa.

Martedì 10 gennaio, a Mitilene, sull’isola di Lesbo, è iniziato il processo contro 24 attivisti umanitari (17 greci e 7 stranieri) che hanno partecipato ad operazioni di soccorso di migranti nel mar Egeo. Si tratta di collaboratori di Emergency Response Center International (ERCI), una ONG di “search-and-rescue” (ricerca e salvataggio) regolarmente registrata e attiva dal 2016 al 2018 in acque greche. Varie sono le accuse mosse contro gli attivisti: dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a quelle ben più gravi di spionaggio, riciclaggio di denaro, associazione a delinquere e tratta di esseri umani – reato, quest’ultimo, che in Grecia è punito fino a 25 anni di carcere. Venerdì 13 gennaio la corte di Mitilene ha fatto cadere le accuse di reati minori contro tutti gli imputati – eccetto due cittadini greci, che saranno giudicati da un tribunale di grado inferiore – a causa di errori procedurali. 

Dalla Siria a Lesbo, la storia di Sarah e Yusra Mardini

Nel gruppo c’è anche chi ha già potuto conoscere le carceri greche: tre dei 24 attivisti, arrestati nel febbraio del 2018, sono stati tenuti in custodia preventiva (senza regolare processo) per 106 giorni – circa tre mesi e mezzo. Si tratta del greco Nassos Karakitsos, ex-membro della marina greca e presidente dell’ONG, del cittadino tedesco (cresciuto in Irlanda) Seán Binder e della siriana Sarah Mardini.

Quest’ultima ha una storia del tutto particolare: scappata dalla Siria sconvolta dalla guerra civile insieme alla sorella Yusra, come lei nuotatrice professionista, nel 2015 si imbarcano sulle coste turche per raggiungere il suolo europeo dell’isola greca di Lesbo. Durante il tragitto, il motore dell’imbarcazione deputata alla traversata va in avaria: sono le due sorelle, forti delle loro capacità natatorie di atlete professioniste e accompagnate dalle uniche altre due persone del gruppo che sapevano nuotare, a spingere la barca a forza di bracciate per tre lunghe ore, fino a condurla alle coste sicure dell’isola.

Mentre Yusra, continuando a percorrere la carriera di atleta, nel 2016 partecipa alle Olimpiadi di Rio con il team dei rifugiati (alla prima apparizione di sempre ai Giochi) e incontra l’allora presidente USA Barack Obama, la sorella Sarah prima si trasferisce a Berlino per studiare, per poi ritornare nel 2018 a Lesbo in qualità di attivista per aiutare chi, come lei, tenta di raggiungere le coste europee attraversando il mar Egeo. L’emozionante storia di Yusra e Sarah è stata raccontata anche in The Swimmers, film distribuito a partire dal novembre 2022 dalla piattaforma Netflix.

Un processo politico

Il processo è stato descritto da più parti come grottesco e caotico, oltre che decisamente politico. Cominciato nel novembre del 2021, è stato interrotto poco dopo, visto che la corte non possedeva la giurisdizione necessaria per giudicare uno degli imputati, avvocato di professione. A ciò si devono aggiungere delle gravi violazioni dei diritti procedurali degli imputati: in primis, gli atti processuali erano redatti esclusivamente in greco, e dunque risultavano incomprensibili agli imputati non ellenofoni; negli stessi atti, poi, gli attivisti non erano citati per nome, ma secondo una numerazione dall’1 al 24, che li costringeva dunque a cimentarsi in un gioco di ipotesi rispetto quale numero, e conseguentemente quali reati, corrispondesse alla loro persona – un esercizio decisamente sgradevole.

Non mancano poi accuse manifestamente infondate, come quella di spionaggio, motivata dall’uso di un “servizio di messaggi criptati” – ovvero WhatsApp – e dall’ascolto delle comunicazioni radio della guardia costiera greca – intercettazioni dettate dall’urgenza di ottenere informazioni sui punti di naufragio e praticabili da chiunque possegga una radio VHF, apparecchio standard utilizzato per le comunicazioni marittime. La stessa Sarah Mardini, in quanto interdetta dall’ingresso sul territorio greco, non ha potuto essere in aula durante il processo.

Solo il 13 gennaio la corte, anche in seguito a numerose pressioni internazionali (fra cui quelle dell’ONU e della Commissaria del Consiglio d’Europa per i diritti umani, Dunja Mijatovic), ha ammesso che il processo è stato viziato da gravi errori procedurali, in particolare la già citata mancata traduzione degli atti processuali e la vaghezza dell’accusa di spionaggio.

Nessuna assoluzione, dunque, ma solamente il riconoscimento della violazione del diritto degli imputati ad un processo equo. Senza dimenticare che le accuse più gravi – come quelle di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, associazione a delinquere e frode – rimangono pendenti per tutti gli imputati e saranno oggetto di futuro giudizio.

Criminalizzazione della solidarietà: un fenomeno ellenico ed europeo

Il processo contro i 24 membri di ERCI è solo la più recente tappa del processo di criminalizzazione della solidarietà portato avanti da Atene. Un recente rapporto del Relatore Speciale ONU per i diritti umani denuncia il preoccupante clima di paura e di crescente ostilità nei confronti degli operatori umanitari creatosi in Grecia a partire dal 2019, del quale sono esempio le quotidiane campagne diffamatorie a mezzo stampa, nelle quali gli attivisti vengono definiti come traditori della patria, agenti turchi, trafficanti di esseri umani.

A ciò si deve aggiunge il carattere oppressivo e disfunzionale – oltre che contrario al diritto internazionale – della legislazione greca nell’ambito dell’operato delle ONG umanitarie: ne sono un esempio le leggi emanate durante il 2020 che hanno introdotto nuovi, ristrettivi criteri per operare in Grecia, restringendo così enormemente lo spazio della società civile in tale ambito. Nello stesso anno, poi, sono stati processati 33 membri di diverse ONG che operavano con i migranti e i richiedenti asilo. Il processo che si sta svolgendo in questi giorni, dunque, si pone non solo come elemento di continuità di un fenomeno già in atto da diversi anni, ma anche come sua espressione più manifesta, almeno fino ad ora: in tal senso, dunque, va letto il recente report del Parlamento Europeo, nel quale il processo viene definito come “la più grande criminalizzazione della solidarietà in Europa”.

Il fenomeno, tuttavia, non si ferma alla sola Grecia. Basti pensare alle intimidazioni rivolte a ONG in Croazia; ai processi a Carola Rackete e all’equipaggio della nave Iuventa in Italia; alle condanne di coloro che aiutano i migranti a raggiungere Francia e Svizzera attraverso i sentieri alpini; e ancora a molti altri casi in Ungheria, Belgio, Malta, Regno Unito, Spagna. Numerosi report di organizzazioni umanitarie e istituzioni europee denunciano un crescente trend di criminalizzazione della solidarietà in tutta l’Unione Europea, tanto che Amnesty International – pur stimando che nel solo triennio 2015-2018 siano state processate 158 persone e 16 ONG – ritiene che sia impossibile risalire al numero esatto di casi, in quanto molto spesso non vengono segnalati per non incorrere in ulteriori sanzioni. Il giudizio di Amnesty è lapidario: gli Stati europei hanno ripetutamente e deliberatamente abusato della legislazione contro il traffico di essere umani per reprimere operatori umanitari e migranti.

La fortezza Europa, insomma, non solo chiude sempre più fermamente le sue porte, ma ostacola e imprigiona chi, in quelle porte, tenta coraggiosamente di aprire un piccolo spiraglio di umanità. Il processo nei confronti dei 24 attivisti di ERCI ne è solo l’ennesimo, triste esempio.

 

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