Chi “agisce senza regole” non sono le organizzazioni non governative ma il governo italiano, com’è stato rilevato, a proposito di soccorsi in mare, dall’Unione Europea, dalla Francia e dalla Commissione europea, quando lo scorso novembre si è utilizzato il rifiuto di un porto di sbarco sicuro “nel tempo ragionevolmente più breve possibile”, previsto dal Diritto internazionale. Questo per costringere gli Stati dell’Unione Europea a procedure di redistribuzione dei naufraghi che, in base al Regolamento Dublino III, possono scattare nel paese di primo ingresso soltanto dopo lo sbarco a terra in un porto sicuro, l’identificazione dei naufraghi e la richiesta di protezione internazionale.

Così hanno affermato in più occasioni la Corte di Cassazione e i Tribunali italiani, che hanno riconosciuto nei soccorsi umanitari operati dalle ONG attività dovute in adempimento a obblighi di soccorso derivanti dal Diritto internazionale. Obblighi che l’Italia, con il supporto di Frontex, continua a violare contando sull’impunità che si pretende di far valere sulla base del consenso elettorale dato ai partiti di governo. Ma in uno Stato di diritto le regole derivanti dalla Costituzione e dal Diritto internazionale, al pari delle norme penali ed amministrative interne, in base al principio di uguaglianza ed al principio di legalità sancito dalla Costituzione valgono per tutti, cittadini e politici. Se siamo ancora in uno Stato di diritto. In uno Stato di diritto i provvedimenti amministrativi ed i “codici di condotta”, imposti dal ministro dell’interno non possono derogare le norme di legge e i principi cogenti delle Convenzioni internazionali ratificate con legge.

Secondo le risposte negative seguite alla Direttiva Piantedosi ed alle note verbali inviate lo scorso novembre dall’attuale ministro dell’interno Piantedosi ai governi francese, tedesco e norvegese, lo Stato di bandiera NON ha alcuna competenza nell’indicazione del porto di sbarco sicuro, anche se può contribuire, con gli Stati costieri più vicini al luogo dell’evento, al coordinamento delle operazioni di soccorso che gli siano tempestivamente comunicate (cosa che tutti i comandanti delle navi ONG fanno con la massima rapidità, senza possibilità di smentita).

Quanto asseriva il Viminale, che l’operato delle ONG non fosse “in linea con le norme europee”, è stato smentito frontalmente da tutti gli stati europei e dalle autorità di Bruxelles, e i decreti rivolti da Piantedosi alle due navi delle ONG fatte entrare nel porto di Catania all’inizio di questo mese citavano un Regolamento europeo che era stato abrogato nel 2020, e linee guida internazionali che affermavano l’esatto opposto di quanto affermava il ministro dell’interno (Ris IMO 167-78).

Il documento elaborato dalla Commissione europea, e proposto come Piano di azione alla riunione del Consiglio dei ministri dell’interno del 25 novembre scorso, non ha accolto nessuna delle richieste che il ministro dell’interno Piantedosi aveva rivolto ai partner europei con argomenti in stretta adesione alle linee difensive del ministro Salvini, che nel processo di Palermo, sul caso Open Arms, cerca da tempo di criminalizzare le attività di soccorso e di chiamare in causa le responsabilità degli Stati di bandiera delle navi soccorritrici.

Il tentativo di fare scattare obblighi vincolanti e sanzioni penali o amministrative con la presunta violazioni di “codici di condotta” imposti dal ministero dell’interno, come si verificò già con Minniti nel 2017, è stato respinto da tempo dalle stesse sentenze che hanno archiviato i procedimenti penali contro le ONG. Processi nei quali, in una prima fase, le accuse si basavano sulla violazione del Codice di condotta imposto da Ministero dell’interno, come nel caso Open Arms nel marzo 2018, poi archiviato dal Giudice delle indagini preliminari di Catania.

Adesso si cerca di riproporre un analogo codice di condotta,  un nuovo Codice di condotta europeo, che dovrebbe valere per i soccorsi in acque internazionali operati dalle ONG. Il presupposto di base che ricorre ancora una volta consiste nella criminalizzazione delle attività di ricerca e salvataggio operate “continuativamente” in acque internazionali dalle ONG. In quelle stesse acque in cui “continuativamente” gli Stati costieri non garantiscono più il coordinamento di un efficiente servizio SAR. Si ripescano così evidenti “errori giuridici” commessi dalle autorità di governo, che privano di credibilità e di praticabilità le proposte italiane a livello europeo.

Nel 2017, l’ASGI pubblicava un importante documento che smentiva la natura vincolante del Codice di condotta Minniti, basandosi su solide ragioni derivanti dal diritto internazionale ed interno. Nel documento vengono sottolineati i principali rischi derivanti dalla approvazione e sottoscrizione di un tale codice di condotta, soprattutto a causa degli evidenti contrasti dello stesso con i basilari principi del diritto internazionale del mare, della situazione di forte insicurezza che riguarda la Libia e del trattamento disumano lì riservato alle persone provenienti da altri Paesi. Secondo il documento, la richiesta fatta alle ONG di rispettare le regole internazionali di sicurezza della navigazione e di ottemperare alle istruzioni ricevute dal MRCC di Roma appare superflua: non vi è alcun elemento che provi che le navi in questione si siano comportate diversamente.  D’altro canto, una richiesta alle navi delle ONG di cooperare attivamente con la c.d. “Guardia costiera libica” all’evidente fine di consentire il ritorno in Libia dei migranti salvati potrebbe sollevare questioni gravi di rispetto del diritto internazionale e appare oggi in contrasto con l’obbligo di garantire lo sbarco in un porto sicuro alle persone salvate in mare.

Dopo la creazione di una zona SAR “libica”, a fine giugno del 2018, si ritiene forse che si possa imporre alle ONG, e soltanto alle loro navi umanitarie, l’obbligo di cooperare con la sedicente “Guardia costiera libica”, ma sono le sentenze della Corte di Cassazione e dei Tribunali italiani che escludono che la Libia possa essere considerata un paese in grado di garantire “porti sicuri di sbarco”, Ancora oggi, del resto, in violazione delle prescrizioni dell’IMO, che dovrebbero valere per tutti gli Stati che dichiarano una propria zona SAR, la Libia non ha ancora una centrale di coordinamento dei soccorsi (MRCC), e mentre il paese è diviso in diverse aree di influenza, regna l’incertezza su chi coordina davvero a livello centrale le operazioni delle sempre più numerose motovedette libiche donate nel tempo dai diversi governi italiani. Se arrivano chiamate di soccorso di persone in pericolo in acque internazionali poi, non si può intendere che le Centrali di coordinamento si scarichino a vicenda le responsabilità di intervento, come successo in passato. La prescrizione non cancella le responsabilità.

La Risoluzione MSC.167(78) del 2004, che Malta non ha mai ratificato, individua il principio del Centro di coordinamento di «primo contatto» stabilendo che (punto 6.7) Se del caso, il primo RCC contattato dovrebbe iniziare immediatamente gli sforzi per il trasferimento del caso al RCC responsabile della regione in cui l’assistenza viene prestata. Quando il RCC responsabile della regione SAR in cui è necessaria assistenza è informato della situazione dovrebbe immediatamente assumersi la responsabilità di coordinare gli sforzi di salvataggio, poiché le responsabilità correlate, comprese le disposizioni relative a un luogo sicuro per i sopravvissuti, cadono principalmente sul governo responsabile di quella regione. Il primo RCC, tuttavia, è responsabile per aver coordinato il caso fino a quando l’RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità. Lo stesso principio è ribadito dal paragrafo 3.6.1 del Manuale IAMSAR, Vol. 1, dove si prevede che un RCC (Rescue Coordination Center) dopo la ricezione di una chiamata di soccorso, diventa responsabile nella gestione delle relative operazioni SAR fino a quando altra autorità competente non assuma il coordinamento.

Le pressioni del governo Meloni hanno ottenuto l’unico risultato di una richiesta che l’Unione europea indirizzerà all’IMO di Londra (Organizzazione internazionale del mare delle Nazioni Unite), sulla falsariga di una Proposta della Commissione UE nel 2020 rimasta senza esito, per una futura risoluzione che dovrebbe disciplinare a livello europeo le attività di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali delle Organizzazioni non governative. Non si vede davvero come Organizzazioni internazionali che fanno capo alle Nazioni Unite possano modificare le regole dei soccorsi in mare soltanto con riferimento ad una peculiare categoria di soccorritori, che danno particolare fastidio a qualche governo che considera le navi umanitarie come un pull factor, contro l’evidenza dei fatti ed i principi inderogabili del diritto internazionale e dei Regolamenti europei.

Se il Viminale procederà con altri atti amministrativi nella “guerra” contro le Ong e contro i soccorsi umanitari in acque internazionali, ci sarà molto lavoro non solo per i giudici amministrativi ma anche per i tribunali penali e per le Corti internazionali, che già hanno sanzionato decisioni di governi precedenti che hanno adottato misure di respingimento collettivo in mare e di trattenimento arbitrario negli Hotspot.

Sanzioni più efficaci, come quelle che promette il Viminale, potrebbero arrivare non per le Ong, che rispettano il diritto internazionale, ma per le autorità di governo che lo violano sistematicamente. Speriamo che finisca presto lo spaccio di notizie false come il ruolo di “condizionamento” che le Ong potrebbero esercitare sul governo italiano. È una menzogna che Ocean Viking abbia deciso di puntare sulla Francia per alimentare uno scontro politico. Per giorni le autorità italiane non rispondevano alle richieste di assegnazione di un porto sicuro. La decisione di chiedere un porto alla Francia arrivava dopo oltre 30 richieste “a tutti i Centri di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Rcc) competenti”, ma senza ricevere risposta, come dichiarato da rappresentanti della ONG Sos Mediterraneé In un silenzio assordante la nave ha poi contattato, come previsto dal diritto marittimo, il centro di coordinamento più idoneo a fornire un Porto sicuro, ossia l’Italia. Ma il nuovo governo ha imposto un divieto discriminatorio, sebbene implicito perché mai comunicato alla nostra nave, all’ingresso della Ocean Viking nelle acque territoriali, così come a tutte le navi di ricerca e soccorso gestite dalle Ong. Questo ci ha costretti ad allargare ancora una volta le nostre richieste di assistenza per trovare un Porto sicuro ai centri di coordinamento più vicini: Grecia, Spagna e Francia.

I servizi segreti non sono a disposizione delle ONG, “per fare litigare la Francia e l’Italia, semmai hanno preparato e continuano a preparare prove fasulle per criminalizzare i soccorsi umanitari, prove che non reggeranno nei processi, come si vedrà nel processo IUVENTA a Trapani, e come si accerterà presto a Palermo, nel processo Salvini. Dove, dai cassetti dei servizi di informazione, con la testimonianza di un funzionario del ministero dell’interno, è improvvisamente spuntato fuori un “video segreto” nel quale è visibile un sommergibile che avrebbe assistito, senza intervenire, come avrebbe dovuto in base al Piano SAR nazionale, ai soccorsi operati dalla Open Arms il primo agosto del 2019. Da quella attività di sorveglianza tenuta segreta per anni è scaturita una relazione di servizi(o) nella quale si adombrano dubbi sulla legittimità del comportamento della ONG, che in base a tutti gli atti del procedimento è stato assolutamente conforme alle Convenzioni internazionali ed ai Regolamenti europei. Come rilevava peraltro la stessa Procura di Agrigento nel provvedimento di dissequestro della nave. Si dovrebbe spiegare semmai quale ruolo abbia avuto il sommergibile, emerso come una “mina vagante” nel processo Salvini a Palermo, nei complessi rapporti di collaborazione tra le autorità di Tripoli ed il governo italiano nel tracciamento dei barconi carichi di migranti e dei mezzi di soccorso, inviati dalla società civile per adempiere ad obblighi di ricerca e salvataggio che gli Stati non garantivano.

La conferma del coordinamento italo-libico, almeno fino al 2020, si rinviene nella sentenza del GIP di Catania sul caso Open Arms nel marzo del 2018. Le notizie sulla collusione tra Guardia costiera libica e trafficanti si ritrovano in numerosi articoli che a Nello Scavo, coraggioso giornalista di Avvenire, sono costati pesanti minacce di morte. Un’indagine del quotidiano francese Le Monde ha svelato le pesanti responsabilità di Frontex nelle sue attività di coordinamento delle milizie costiere libiche. Attività che sono previste da piani operativi segreti concordati con le autorità italiane che ospitano la missione Themis di Frontex a Lampedusa ed a Catania.

Al “rispetto delle regole” dovrebbero essere richiamati quegli Stati europei come l’Italia, o Malta, che stipulano accordi o Memorandum d’intesa con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, gli stessi Stati europei che, con la complicità dell’agenzia europea Frontex, omettono tempestivi interventi di soccorso in acque internazionali, che finanziano guardie costiere e milizie spesso colluse con i trafficanti, gli stessi Stati terzi che trattano con autorità politiche e militari di governi che non garantiscono porti sicuri di sbarco o sanzioni certe per chi abusa, violenta, estorce le persone migranti, donne e bambini inclusi, in transito sui loro territori o in mare. Altro che “soccorsi in autonomia”, o ricerca di naufraghi per svolgere una attività di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, se non anche di propaganda ideologica, come si contesta alle ONG.