Dopo aver sentito Matteo Garavoglia all’inizio di quest’anno, torniamo a parlare con lui per capire come si è evoluta la situazione in Tunisia a seguito delle ondate di protesta che stanno scuotendo il paese in questi ultimi mesi.

Matteo in questo momento sei in Tunisia?

Si, ormai vivo qui come giornalista freelance e collaboro con varie testate italiane.

L’ultima volta che ci siamo sentiti, a gennaio scorso, dicevi che c’erano delle prime avvisaglie di “giro di vite” nell’atteggiamento della polizia durante le manifestazioni. È continuata questa tendenza?

Si, diciamo due cose: il Ministero degli interni è sempre rimasto lo stesso dalla caduta di Ben Ali, nel 2011, quindi la struttura, le persone e i metodi hanno una certa continuità con le dittature precedenti al 2011. Inoltre il governo attuale ultimamente ha promulgato nuove norme nei confronti di giornalisti, ricercatori e società civile che limitano la loro libertà. Vi sono state proteste formali da parte della federazione dei giornalisti, ma senza grande esito.

Tu vivi a Tunisi, ma ti sposti all’interno del Paese?

Sì, di recente sono stato a Zarzis, un importante “crocevia” sulla costa da dove partono buona parte delle imbarcazioni per l’Italia. Come avrete saputo, nelle ultime settimane vi sono state enormi proteste a seguito della scomparsa di 18 persone che erano partite. Quello che ha scatenato la rabbia è stata la reticenza delle autorità tunisine e scoprire che dei corpi erano stati raccolti e fatti subito sparire. La tensione è ancora molta. Vi è molta insoddisfazione contro il governo. I morti in mare non sono una novità, dal 2011 a oggi i tunisini scomparsi in mare sono stati 5.000, ma non vi era mai stata  una tale sollevazione contro delle autorità che si erano rifiutate di condividere le informazioni. Non si sono mosse: quando hanno trovato i corpi non hanno avvisato le famiglie e non hanno fatto l’esame del DNA. Dopo tre settimane di inerzia sono stati i pescatori di Zarzis ad andare in mare e a trovare due corpi. A tutto questo si aggiunge che tutti e 18 i giovani partiti e scomparsi erano proprio di Zarzis, quindi tutti sapevano di loro. Il 18 ottobre tutta la città ha scioperato. La rabbia accumulata in questi anni è comunque molta, ci sono madri che cercano ancora i loro figli dopo oltre 10 anni dalla loro scomparsa.

Sullo sfondo vi è comunque una crisi economica e sociale che cresce…

Sicuramente, la crisi economica nel Paese è molto forte, cominciano a mancare generi di prima necessità, l’inflazione è altissima. I prezzi di carne e pesce crescono di giorno in giorno e vi sono prodotti di base come benzina, burro, latte, pane, zucchero che spesso non si trovano neppure. La crisi economica si somma a quella politica, per non parlare del tasso di disoccupazione. Questa mancanza di beni di prima necessità è dovuta al fatto che il governo non ha più risorse interne per importare questi beni. I creditori esterni non fanno più credito, dal momento che le agenzie di rating hanno portato la Tunisia in fondo alla classifica. A questo si somma una speculazione interna generata da grandi potentati economici che approfittano della crisi per incrementare i propri guadagni.

Poco più di due settimane fa la Tunisia ha stretto un accordo con l’FMI in cambio di un prestito da 1,9 miliardi di dollari: presto ci saranno delle ristrutturazioni tali per cui il sistema di stato sociale sarà tagliato duramente. In particolare, le sovvenzioni che facevano sì che il pane avesse un prezzo contenuto rischiano di essere spazzate via.

Dalla Tunisia partono soprattutto tunisini o è un punto di partenza per altri migranti provenienti dal resto dell’Africa?

Da una parte c’è da dire che il numero dei tunisini che partono negli ultimi 3 anni è stato alto e costante, circa 12.000 persone ogni anno. Ma da qui partono anche molti migranti provenienti dall’Africa subsahariana, anche perché la situazione in Libia è sempre più complicata. In ogni caso le intercettazioni in mare sono tantissime: l’anno scorso sono state 25.000 le persone fermate, soprattutto di origine subsahariana. Sepre l’anno scorso sono stati 15.000 i tunisini sbarcati in Italia. E anche lo stereotipo del migrante tunisino – il giovane ventenne autonomo che parte quasi senza salutare – sta vacillando: certo, tutti questi giovani ci sono, ma sono anche veri e propri nuclei familiari a partire, e succedono cose che colpiscono molto: qualche giorno fa è arrivata una bimba di 4 anni senza genitori, mentre la famiglia si trova al momento in stato di fermo nel centro della Tunisia. Da quello che si evince pare che questa bimba viaggiasse con il certificato medico della sorella più grande, che soffre di cardiopatia. Pare che l’idea fosse quella di mandare la bimba avanti per poi raggiungerla. In ogni caso sembra che i minori non accompagnati siano sempre di più. Potremmo dire che questo è un termometro della totale sfiducia dei tunisini nei confronti del proprio paese e del proprio governo.

Tutta questa rabbia e malcontento riesce a trasformarsi in un’alternativa costruttiva o rischia di esplodere e basta?

C’è davvero il rischio che esploda senza produrre un’alternativa. Quando la situazione scoppierà – e possiamo dire che l’incertezza è sul QUANDO, non sul SE scoppierà – bisognerà capire quali saranno le rivendicazioni. Anche nel 2011 la protesta si diffuse in maniera spontanea, poi venne raccolta e trovò delle risposte. Certo è che oggi le condizioni, dal punto di vista sociale ed economico, sono ancora peggiori rispetto al 2011.

A dicembre ci saranno delle elezioni.

Si, e non si capisce ancora, a livello procedurale come funzioneranno. Certo la tendenza è verso un sistema sempre più autoritario, a partire da quel “famoso” atto di forza del luglio 2021, quando fu congelato il parlamento. Da allora i poteri si stanno concentrando nelle mani del presidente.

Il meccanismo delle prossime elezioni è davvero complicato. Di fatto non si presenteranno dei partiti, invece le nomine dovranno essere su base individuale e ogni candidato dovrà trovare un certo numero di firme, necessarie per candidarsi. Dopo tutto questo la sensazione è che il parlamento sarà qualcosa di “accessorio”: il vero potere sarà altrove.

Il rischio di una scarsa partecipazione è altissimo. D’altra parte, anche il referendum del luglio scorso ha mostrato il fianco: se in passato vi erano stati 2.000 osservatori internazionali durante le elezioni, all’ultimo referendum sono stati 200. Il rapporto tra potere interno e osservatori internazionali si è rapidamente deteriorato in questi ultimi anni. E gli organismi preposti a questo compito se ne sono via via disinteressati. C’è da dire infine che al referendum del 25 luglio scorso ha votato solo il 30% degli aventi diritto. La sfiducia nei confronti della classe politica resta altissima.

Rimani tranquillo rispetto al tuo lavoro e alla possibilità di esprimerti, di esporti?

Si, è importante continuare ad esserlo, sicuramente c’è da fare parecchia attenzione nei confronti delle persone che coinvolgi.

Intanto i rimpatri dai CPR italiani nei confronti dei tunisini, continuano…

Si, eccome. Sono stati 1.500 nel 2021.