Secondo quanto si è appreso dai pochi mezzi di informazione che hanno riportato la notizia, la Procura di Roma ha chiesto l’assoluzione dei due ufficiali imputati nel processo per il “naufragio dei bambini”, tra Lampedusa e Malta, dell’11 ottobre del 2013 in cui morirono 268 persone tra cui 60 minori. Sul processo incombe anche lo spettro della prescrizione, che potrebbe verificarsi tra pochi giorni.

“Gli imputati vanno assolti perché il fatto non sussiste”, come richiesto dal procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, e dal pubblico ministero, Santina Lionetti, davanti alla seconda sezione penale. Sul processo grava anche la prescrizione: restano dodici giorni. I termini sono stati comunque sospesi e l’udienza è stata rinviata all’8 novembre per l’assenza per covid di uno degli avvocati della difesa.

Secondo la Procura di Roma, gli imputati vanno assolti perché il fatto non sussiste, “Non c’è stata alcuna volontà degli imputati nel volere la morte dei migranti – hanno dichiarato in aula i due pubblici ministeri -. Non c’è stato alcun dolo, le procedure sono state rispettate e la loro missione era salvare persone in mare. I due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all’epoca. Le modalità con cui è avvenuto il naufragio non hanno permesso di stabilire un bilancio ufficiale, c’è un deficit di conoscenza sul numero dei morti, sulle cause e sulla riconducibilità al presunto ritardo”. Unici responsabili del naufragio sarebbero, come al solito, “i mercanti di uomini” che avrebbero messo 400 persone su un barcone e poi gli avrebbero sparato contro, e qui soprattutto risalta il consueto argomento difensivo alla base di tanti abbandoni in mare: non sarebbe un processo “ai tempi e ai modi di come sono state effettuate le modalità di salvataggio poiché  – ha detto il rappresentante dell’accusa – l’intervento è stato effettuato in zona Sar Maltese dalle autorità di quel Paese e il tutto esula dalle responsabilità della giurisdizione italiana”. Quanto sia davvero esistente questo “deficit di conoscenza” lo potrà accertare chiunque voglia ascoltare le udienze dibattimentali registrate da Radio Radicale.

Dai riscontri documentali e dalle audizioni dei testimoni è emerso con chiarezza che fin dalle prime richieste di soccorso le autorità italiane erano state chiamate in causa, anche dalle autorità maltesi, per la maggiore vicinanza a Lampedusa, rispetto a Malta, del peschereccio, che già imbarcava acque ed a bordo del quale si trovavano pure alcuni feriti. E’ del resto fatto notorio che le autorità maltesi anche quando sono costrette ad assumere il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio (SAR) non dispongono o comunque non inviano loro mezzi navali al limite meridionale della loro vastissima zona SAR, quasi al limite della cd. SAR “libica” (all’epoca dei fatti neppure dichiarata all’IMO), dove invece intervengono generalmente unità italiane, della Guardia costiera o della Marina Militare. In questo senso basta consultare le varie edizioni dei Dossier annuali della Guardia costiera italiana sui soccorsi nel Mediterraneo centrale, almeno fino al 2018 anno nel quale venivano sospese le pubblicazioni, per avere la prova di come di fatto le attività di ricerca e salvataggio nella zona SAR maltese, siano nella maggior parte dei casi operate da mezzi italiani, o in precedenza da assetti navali europei, di singoli Stati o nel quadro di operazioni dell’agenzia FRONTEX.

In occasione del naufragio avvenuto alle ore 17 circa del 11 ottobre 2013, le autorità maltesi avevano comunicato la loro assunzione del coordinamento delle attività SAR, ma le autorità italiane che per prime avevano ricevuto le richieste di soccorso non avevano acquisito alcuna certezza sull’effettivo invio di una imbarcazione nella direzione del peschereccio che stava lentamente affondando, tanto che ad un certo punto non riusciva più a proseguire nella sua rotta. Solo a quel momento, attorno alle ore 16 di quello stesso giorno, dunque un ora prima del capovolgimento e dell’affondamento, le autorità maltesi chiedevano alle autorità italiane l’intervento in soccorso della nave Libra, che da ore si trovava a circa venti miglia dallo stesso peschereccio in attività di “ombreggiamento” (sorveglianza senza rendersi visibile).

Sarà importante considerare, dal punto di vista delle competenze di coordinamento, la normativa internazionale (Convenzione di Amburgo del 1979- SAR e relativi allegati) che impone precisi obblighi di collaborazione tra gli Stati costieri titolari di zone SAR confinanti e la normativa derivante della legge Bossi Fini del 2002 che stabilisce doveri di coordinamento tra le diverse autorità statali coinvolte nelle attività di controllo delle frontiere marittime di fronte al fenomeno dell’immigrazione cosiddetta “clandestina”, e in qualche modo preposte anche per le rispettive aree di competenza alle attività di ricerca e salvataggio. Sono queste autorità che dispongono i tempi degli interventi, a seconda della qualificazione dell’evento oggetto di una chiamata di soccorso. Rileva a tale proposito la distinzione tra le diverse tre fasi delle attività svolte da Guardia Costiera e Marina Militare in occasione dell’ avvistamento di imbarcazioni cariche di migranti in navigazione verso le coste italiane tradizionalmente riconducibili alle tre fasi di incertezza (INCERFA) di allerta (ALERTFA) e di pericolo (DESTREFA), nozioni individuabili nel Piano SAR nazionale del 1996, in vigore all’epoca dei fatti oggetto del procedimento. Si tratta a tale riguardo di accertare quali fossero le autorità chiamate a decidere sulla qualificazione dell’evento da ricondurre ad una di queste tre diverse fasi e quindi determinare, se non un’attività di controllo da lontano, cosiddetto ombreggiamento, un intervento di soccorso nei tempi e con le modalità più tempestive possibili, come previsto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Di certo nel caso di specie, il principio assoluto di salvaguardia della vita umana in mare non poteva essere sacrificato da un evidente rimpallo di responsabilità tra le diverse autorità marittime italiane e maltesi che ricevevano le prime chiamate di soccorso ben quattro ore prima del rovesciamento e dell’affondamento del peschereccio.

La richiesta di assoluzione dei due ufficiali sotto processo si fonda su una determinazione particolare di un evento di soccorso come “evento Sar”, che come tale impone un intervento immediato di qualunque autorità che ne venga a conoscenza, rispetto a quelli che vengono comunemente definibili come “eventi migratori” nei quali le autorità marittime si limitano a svolgere un’attività di controllo di frontiera, secondo la pratica del cosiddetto ombreggiamento, senza attivare immediatamente operazioni di soccorso al fine del recupero delle persone e della salvaguardia della vita umana in mare. Si tratta di una questione cruciale ancora oggi perché ancora oggi anche dopo il nuovo piano Sar nazionale del 2020 che riassume le regole operative di intervento dei mezzi della marina militare della Guardia Costiera permane questa definizione di “evento migratorio” che in qualche modo rende assolutamente incerto, e comunque discrezionale, l’intervento di soccorso e salvataggio tempestivo da parte delle autorità preposte alla tutela della vita umana in mare.

In numerose deposizioni raccolte nel corso del dibattimento, tanto degli imputati, quanto dei testi appartenenti alla Marina Militare o al Corpo delle capitanerie di porto emerge come, fino ad un’ora prima della notizia dell’avvenuto capovolgimento del barcone carico di migranti, dopo le ore 17 del 11 ottobre 2013, le autorità italiane continuassero a considerare la presenza dell’imbarcazione dalla quale già quattro ore prima erano arrivate precise e circostanziate richieste di soccorso, come un mero “evento migratorio”, da seguire secondo le regole del contrasto dell’immigrazione irregolare. Come se fino a quel momento non fossero comunque scattati obblighi di intervento immediato per salvare i naufraghi che da cinque ore chiedevano aiuto anche alle autorità italiane. È questa la base della richiesta di assoluzione degli imputati, già formulata dalle difese e ripresa ancora una volta dalla Procura di Roma.

 

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