Le proteste entrano nella quarta settimana, dopo la morte in carcere della ragazza curda 22enne Mahsa Amini. Non hanno più la spinta dei primi giorni, ma la determinazione e il coraggio di affrontare le forze di polizia e i basiji sono alti. In questi giorni sono protagonisti gli studenti. Sui social è stato postato un video di studentesse delle superiori che hanno zittito e cacciato un miliziano basiji (la polizia studentesca del regime), chiamato dalla direzione scolastica per convincere le ragazze al rispetto delle regole. Tutte con il capo scoperto e i capelli al vento, loro hanno gridato per tutto il tempo: “Basiji vattene!”.

Il maglio del regime ha colpito senza pietà: 300 attivisti arrestati a casa, 100 studenti universitari fermati all’interno dei campus e migliaia di manifestanti in carcere, oltre alle vittime morte per le pallottole della polizia e dei guardiani della rivoluzione islamica.

Ma questa ondata di proteste spaventa il regime per la sua vastità e capillarità nei territori e per le parole d’ordine che sfidano il potere tirannico e le sue leggi oscurantiste e misogine. I familiari delle vittime hanno rivelato che i servizi di sicurezza li hanno sequestrati dopo la morte dei loro cari, liberandoli soltanto dopo la registrazione di un video dove affermavano che la morte dei loro parenti era avvenuta per altri motivi o per incidenti in casa e non durante le manifestazioni. Questa pratica, che serve a dare una versione rassicurante all’opinione pubblica interna, con una narrazione imperniata sul complotto esterno, è stata denunciata dalla famiglia di Nika Shakrami, sequestrata il 20 settembre durante le manifestazioni e trovata alcuni giorni dopo morta in un cantiere edile. Una zia è stata costretta ad andare in Tv per raccontare che si era trattato di un incidente. Lo stesso trattamento hanno subito altre famiglie per i casi di tre ragazze minorenni uccise durante le manifestazioni.